Segue:” Caduta di Babilonia; Inni di Trionfo”
CADUTA DI BABILONIA
(Ap. 18, 1-24)
1. Dopo ciò, vidi un altro angelo discendere dal cielo con grande potere e la terra fu illuminata dal suo splendore.
2. Gridò a gran voce: “E’ caduta, è caduta Babilonia la grande ed è diventata covo di demòni, carcere di ogni spirito immondo, carcere d’ogni uccello impuro e aborrito e carcere di ogni bestia immonda e aborrita.
3. Perchè tutte le nazioni hanno bevuto del vino della sua sfrenata prostituzione, i re della terra si sono prostituiti con essa e i mercanti della terra si sono arricchiti del suo lusso sfrenato”.
4. Poi udii un’altra voce dal cielo: “Uscite, popolo mio, da Babilonia per non associarvi ai suoi peccati e non ricevere parte dei suoi flagelli.
5. Perchè i suoi peccati si sono accumulati fino al cielo e Dio si è ricordato delle sue iniquità.
6. Pagàtela con la sua stessa moneta, retribuitele il doppio dei suoi misfatti. Versatele doppia misura nella coppa con cui mesceva.
7. Tutto ciò che ha speso per la sua gloria e il suo lusso, restituiteglielo in tanto tormento e afflizione. Poichè diceva in cuor suo: Io seggo regina, vedova non sono e lutto non vedrò;
8. per questo, in un sol giorno, verranno su di lei questi flagelli: morte, lutto e fame; sarà bruciata dal fuoco, poichè potente Signore è Dio che l’ha condannata”.
9. I re della terra che si sono prostituiti e han vissuto nel fatto con essa piangeranno e si lamenteranno a causa di lei, quando vedranno il fumo del suo incendio,
10. tenendosi a distanza per paura dei suoi tormenti e diranno: “Guai, guai, immensa città, Babilonia, possente città; in un’ora sola è giunta la tua condanna!”
11. anche i mercanti della terra piangono e gemono su di lei, perchè nessuno compera più le loro merci:
12. carichi d’oro, d’argento e di pietre preziose, di perle, di lino, di porpora, di seta e di scarlatto; legni profumati di ogni specie, oggetti d’avorio, di legno, di bronzo, di ferro, di marmo;
13. cinnamòmo, amòmo, profumi, unguento, incenso, vino, olio, fior di farina, frumento, bestiame, greggi, cavalli, cocchi, schiavi e vite umane.
14. “I frutti che ti piacevano tanto, tutto quel lusso e quello splendore sono perduti per te, mai più potranno trovarli”.
15. I mercanti divenuti ricchi per essa, si terranno a distanza per timore dei suoi tormenti; piangendo e gemendo, diranno:
16. “Guai, guai, immensa città, tutta ammantata di bisso, di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pietre preziose e di perle!
17. In un’ora sola è andata dispersa si grande ricchezza!”. Tutti i comandanti di navi e l’intera ciurma, i naviganti e quanti commerciano per mare se ne stanno a distanza,
18. e gridano guardando il fumo del suo incendio: “Quale città fu mai somigliante all’immensa città?”.
19. Gettandosi sul capo la polvere gridano, piangono e gemono: “Guai, guai, immensa città, del cui lusso arricchirono quanti avevano navi sul mare! In un’ora sola fu ridotta a un deserto!
20. Esulta, o cielo, su di essa, e voi, santi, apostoli, profeti, perchè condannando Babilonia Dio vi ha reso giustizia!”.
21. Un angelo possente prese allora una pietra grande come una mola, e la gettò nel mare esclamando: “Con la stessa violenza sarà precipitata Babilonia, la grande città e più non riapparirà.
22. La voce degli arpisti e dei musici, dei flautisti e dei suonatori di tromba, non si udrà più in te; ed ogni artigiano di qualsiasi mestiere non si troverà più in te; e la voce della mola non si udrà più in te;
23. e la luce della lampada non brillerà più in te; e voce di sposo e di sposa non si udrà più in te. Perchè i tuoi mercanti erano i grandi della terra; perchè tutte le nazioni dalle tue malìe furono sedotte.
24. In essa fu trovato il sangue dei profeti e dei santi e di tutti coloro uccisi sulla terra”.
Commento esegetico.
In questa sezione del libro non si parla più di giudizi parziali, ma definitivi. Tuttavia Giovanni sa molto bene che la caduta di Roma non è ancora la fine della storia: restano la bestia e il dragone, che nessuno sa - neppure Giovanni – quante volte torneranno nella storia a incarnarsi. Ma non è il numero delle loro incarnazioni storiche che interessa: ciò che conta è che il loro destino è segnato. Scompariranno come scompare Babilonia.
Il giudizio di Dio sulla “grande città” è descritto principalmente mediante un cantico di lamentazione, cioè attraverso reazioni e commenti di diversi spettatori. Non una narrazione della caduta di Babilonia, ma un coro di commenti e di valutazioni. Intervengono personaggi diversi, celesti e terrestri, e le loro reazioni sono, ovviamente, differenti.
Il primo personaggio è un angelo e annuncia la caduta della città: pone il tema, o il fatto, attorno a cui si sviluppano le reazioni (vv. 1-3).
Il secondo personaggio è ancora un angelo e lancia un avvertimento al popolo di Dio a fuggire dalla città ormai condannata (vv. 4-8).
A questo punto intervengono i re della terra, cioè coloro che avevano tratto profitto dalle stravaganze della potenza, del commercio e dello sfarzo romano (specialmente re, mercanti e marinai). Le loro voci esprimono stupore, paura e lamento (vv. 9-20).
Infine di nuovo un angelo, con un gesto simbolico sigilla per sempre l’annientamento dell’impero (vv. 21-24).
Non c’è nessuna descrizione delle fasi successive della distruzione, perché l’attenzione è rivolta sulle contrastanti reazioni dei pagani e dei cristiani. Espressioni prese dall’A.T. si susseguono continuamente in questo capitolo, esse sono tratte principalmente dai poemi sarcastici composti dai profeti contro le città orgogliose di Babilonia, Tiro e Ninive (Is. 23-24-47; Ger. 50-51; Ez. 26-27). Roma è il simbolo di tutti i peccati e i vizi delle antiche città. Roma è l’incarnazione del concetto giovanneo di “mondo”, che rivendica una struttura e una vitalità indipendenti da Dio. Ma la sventura si abbatterà su di essa “in un attimo” (il ritornello nei vv. 10.17.19), perché il giudizio efficace di Dio la colpirà come un fulmine.
“La terra illuminata dal suo splendore”: tutti gli esseri celesti hanno lo stesso splendore della divina maestà.
“Covo di demoni”: Roma diventerà una terra desolata, come le antiche città condannate da Dio (Is. 34, 11-15), sarà la dimora dei demoni (Baruc 4,35), delle belve (Is. 13,22; Ger. 9,10; 50,39; Sf. 2,14) e degli uccelli immondi (Is. 13,21).
“Tutte le genti hanno bevuto”: un richiamo all’immoralità della città senza Dio (14,8; 17, 2.4 ss.), per evidenziare la giustizia della sua condanna.
“Uscite popolo mio...”: anche gli episodi biblici più antichi insistono sulla separazione dai peccatori: la chiamata di Abramo (Gen. 12,1), la liberazione di Lot (Gen. 19,12 ss.), la ribellione di Datan e Abiram (Num. 16,26). In particolare, quest’ingiunzione fu fatta ad Israele verso la fine dell’esilio (Is. 48,20; 52,11; Ger. 50,8; 51,6.45). Divenne in seguito un elemento tradizionale nell’apocalittica (Mt. 24, 16-20).
Sarebbe un errore interpretare questa pericope come un consiglio alla comunità romana di evacuare la città a un’ora ben stabilita immediatamente prima della distruzione. La “fuga” consiste nel rifiuto a prendere parte ai peccati dei Romani. Paolo ammette che noi siamo incapaci di lasciare il mondo (1 Cor. 5,10), ma ci sollecita a rifuggire da qualsiasi partecipazione alle opere delle tenebre (2 Cor. 6, 14-18).
“Pagatela con la stessa moneta”: la legge del taglione (Es. 21,24 ss.) fu applicata a Babilonia, la persecutrice d’Israele (Ger. 50,29; Sal. 137,8). Il doppio risarcimento (Es. 22, 4.7.9) è già stato riscosso da Gerusalemme (Is. 40,2; Ger. 16,18).
“Io seggo regina”: il peccato principale di Roma e di tutti gli imperi pagani consiste nella asserzione che il loro potere e la loro autorità derivano esclusivamente da se stessi, che con hanno padroni al di sopra di se stessi, e che non riconoscono quindi alcuna legge da cui dipendere.
Lamentazione sulle rovine di Babilonia. (18, 9-19).
Tre gruppi la cui prosperità dipendeva da Roma piangono sul loro destino:
1) “I re della terra” (vv. 9-10).
2) “I mercanti della terra” (vv. 11-17a).
3) “I marinai” (17b-19).
I loro lamenti sono ispirati all’egoismo, perché la prosperità di Roma era la chiave dei loro profitti. L’intero brano, basato su Ez. 26-27 (che si riferisce a Tiro), si richiama alla potenza, alla ricchezza e allo splendore di Roma, e il contrasto rende ancora più tragica la sua fulminea devastazione.
“I re della terra”: (Ez. 26, 16-18). Sono i re alleati e assoggettati (17,2; 18,3).
“I mercanti della terra”: (Ez. 27, 9b-36) sono i più gravemente colpiti dal crollo di Roma.
“Perchè nessuno comprerà”: questa frase mette a nudo la ragione egoistica del lamento dei mercanti (v. 19).
“Le loro merci”: questo impressionante elenco di oggetti di lusso riflette il commercio romano del tempo.
“Legni profumati”: Un legno profumato importato dall’Africa, usato per tavoli da pranzo e opere d’arte. “Frumento”:
“Frumento”: la massima parte del grano che si consumava a Roma era prodotta in Egitto. “Vite umane”: un’espressione presa da Ez. 27,13 e si riferisce agli schiavi - bestiame umano – venduti dai mercanti perché facessero i servi nelle case dei ricchi, o usati come strumenti di piacere nei bordelli e nell’anfiteatro.
“I frutti”: metaforicamente il risultato di una lunga fatica e che si è sul punto di gustare.
“Bisso”: (lino finissimo). I re erano colpiti dalla potenza di Roma (v. 10); i mercanti dalle sue ricchezze (vv. 16 ss.).
“Esulta o cielo”: questo invito alla gioia sarà ripetuto in 19, 1-10.
“Apostoli e profeti”: tra i “santi”, cioè, i martiri, questi sono i principali rappresentanti della Chiesa (1 Cor. 12,28).
Un’azione simbolica segnala la scomparsa di Babilonia (18, 21-24).
“La gettò nel mare”: Il libro di Geremia che annunciava la distruzione di Babilonia era stato legato a una pietra e gettato nell’Eufrate (Ger. 51, 63-64). Proprio come una pietra gettata nel mare scomparirebbe senza lasciar traccia, così Babilonia, vale a dire Roma, sarà annientata (Es. 15,5; Lc. 17,2).
“Non si udrà più”: la distruzione di Babilonia sarà talmente completa che la città non darà più alcun segno di vita. Questo tema della punizione divina, concretizzata nella distruzione totale di una città dominata dalla colpa, era già stato applicato a Gerusalemme (Is. 24,8; Ger. 7,34, 16,9), a Babilonia (Ger. 25,10), e specialmente a Tiro (Ez. 26,13).
“Voce di sposo”: cfr. Ger. 7,34; 16,9; 25,10; 33,10 ss.; Baruc 2,23.
“Perché i tuoi mercanti”: il punto dell’accusa è probabilmente il fatto che Roma aveva abusato della sua potenza commerciale, servendosene per propagare i suoi falsi modelli di vita.
“Tue malìe”: (pratiche magiche, incantesimi), cfr. Is. 47,12. Roma aveva ammaliato e contaminato il mondo con i suoi vizi e la sua idolatria (21,8; 22,15). Questo passo potrebbe essere un’allusione alla pratica romana della magia nera.
“Fu trovato il sangue”: la colpa di Roma viene ricordata ancora una volta. Ciò che Giovanni ha in mente sono probabilmente i massacri del 64 d.C. e del regno di Domiziano. Cristo lanciò un’accusa analoga contro Gerusalemme (Mt. 23,34; Mt. 27,25).
“Furono uccisi sulla terra”: essi furono sgozzati come l’Agnello (5,12).
In sintesi: alla morte di Gesù i Giudei avevano riecheggiato le parole di Dio a Caino: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli”. L’Inferno è proprio l’Amore di Dio rifiutato che diventa maledizione per libera scelta dell’uomo. L’Inferno è eterno perché il peccato è eterno.
Commento spirituale.
La caduta di Babilonia, richiama una data della nostra storia recente, 1989, forse passata inosservata: è la caduta del “muro” di Berlino, e il crollo dell’ideologia comunista in tutti i Paesi dell’Est. Il Concilio chiama questa lettura critica della storia “segni dei tempi” (Concilio Vatticano II, Gaudium et spes, 4).
I segni dei tempi sono i germi del regno di Dio che crescono nella storia, gli eventi in cui si manifesta la divina Provvidenza.
Il mondo, distinto e dipendente da Dio, è storia protesa al compimento in lui. Quanto di buono cresce nella storia fiorisce nell’eternità. Tutto è prezioso, anche “un bicchiere d’acqua fresca” (Mt. 10,42) dato con amore.
In quanto preparazione e anticipo del Regno, la storia è il luogo dove agisce la Provvidenza divina e di questa azione è possibile discernere i segni indicatori: “Quando si fa sera, voi dite: bel tempo, perché il cielo rosseggia; e al mattino: oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi?”(Mt. 16, 2-3). I segni, ai quali Gesù fa riferimento, sono la sua stessa presenza, la sua predicazione e le sue opere. Ne preannuncia altri in un prossimo futuro: la rovina di Gerusalemme e la diffusione del vangelo attraverso la Chiesa (Mt. 24, 1-36).
I segni pubblici e non ambigui si riducono in definitiva a uno solo: Cristo annunciato e testimoniato dalla Chiesa. In base a questo criterio occorre operare il discernimento riguardo a tutte le altre realtà storiche, per evitare di confondere i germi del regno con le linee di tendenza prevalenti in una determinata epoca. Altrimenti il discorso sui segni dei tempi si ridurrebbe a un’ideologia, per giustificare l’adeguamento al mondo e benedire ogni presunto progresso. La Chiesa deve orientare la storia non andarne a rimorchio. Insieme al grano cresce ancora la zizzania (Mt. 13, 24-30); Cristo combatte ancora contro le potenze ostili (1 Cor. 15, 24-25).
D’altra parte, se Dio creatore e redentore agisce nella storia e in lui “viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At. 17,28), bisogna ritenere che “tutto quello che è vero, nobile, giusto” (Fil. 4,8) deriva da lui e manifesta le ricchezze del mistero di Cristo.
Procedendo secondo queste indicazioni, è possibile individuare i segni della Provvidenza nel nostro tempo. Il Concilio Vaticano II considera tali il rinnovamento della liturgia (Conc. Vat. II, Sacrosantum Concilium, 43), l’ecumenismo (Conc. Vat. II, Unitatis Redintegratio, 4), il riconoscimento del diritto alla libertà di religione (Conc. Vat. II, Dignitatis Humanae, 15), il crescente senso di solidarietà tra tutti i popoli (Conc. Vat. II, Apostolicam Actuositatem, 14). Ovviamente se ne potrebbero addurre molti altri.
Ciò che è dono della Provvidenza è anche frutto della libera cooperazione dell’uomo che contribuisce a preparare il futuro e a disegnarne la figura: “L’attesa di una terra nuova non deve indebolire, ma piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova, che già riesce a offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo” (Conc. Vat. II, Gaudium et Spes, 39). Se i contenuti tecnici, economici e politici del progresso appartengono alla figura di questo mondo che passa, invece i beni morali, in essi incorporati, sono destinati ad essere assunti e perfezionati: “Non sappiamo il modo con cui sarà trasformato l’universo”; ma resterà “la carità con i suoi frutti” e ritroveremo “purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati” i valori che avevamo diffuso nel mondo, “quali la dignità dell’uomo, la fraternità e la libertà”.
La speranza cristiana non fa concorrenza alle speranze terrene autentiche, anzi risveglia e mette a loro disposizione preziose energie. A chi cerca la salvezza eterna, i beni storici sono dati in aggiunta” (Mt. 6,33).
INNI DI TRIONFO
(Ap. 19, 1-21)
1. Dopo ciò, udii come una voce potente di una folla immensa nel cielo che diceva: “Alleluia! Salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio;
2. Perchè veri e giusti sono i suoi giudizi, egli ha condannato la grande meretrice che corrompeva la terra con la sua prostituzione, vendicando su di lei il sangue dei suoi servi!”.
3. E per la seconda volta dissero: “Alleluia! Il suo fumo sale nei secoli dei secoli!”.
4. Allora i ventiquattro vegliardi e i quattro esseri viventi si prostrarono e adorarono Dio, seduto sul trono, dicendo: “Amen, alleluia”.
5. Partì dal trono una voce che diceva: “Lodate il nostro Dio, tutti voi suoi servi, voi che lo temete, piccoli e grandi!”.
6. Udii poi come una voce di una immensa folla simile a fragore di grandi acque e a rombo di tuoni possenti, che gridavano. “Alleluia. Ha preso possesso del suo regno il Signore, il nostro Dio, l’Onnipotente.
7. Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria, perchè son giunte le nozze dell’Agnello; la sua sposa è pronta,
8. le hanno dato una veste di lino puro splendente”. La veste di lino sono le opere giuste dei santi.
9. Allora l’angelo mi disse: “Scrivi: Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell’Agnello!”. Poi aggiunse: “Queste sono parole veraci di Dio”.
10. Allora mi prostrai ai suoi piedi per adorarlo, ma egli mi disse: “Non farlo! Io sono servo come te e i tuoi fratelli, che custodiscono la testimonianza di Gesù. E’ Dio che devi adorare”. La testimonianza di Gesù è lo spirito di profezia.
11. Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava “Fedele” e “Verace”: egli giudica e combatte con giustizia.
12. I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; porta scritto un nome che nessuno conosce all’infuori di lui.
13. E’ avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è Verbo di Dio.
14. Gli eserciti del cielo lo seguono su cavalli bianchi, vestiti di lino bianco e puro.
15. Dalla bocca gli esce una spada affilata per colpire con essa le genti. Egli le governerà con scettro di ferro e pigerà nel tino il vino dell’ira furiosa del Dio onnipotente.
16. Un nome porta scritto sul mantello e sul femore: Re dei re e Signore dei signori.
17. Vidi poi un angelo, ritto sul sole, che gridava a gran voce a tutti gli uccelli che volano in mezzo al cielo:
18. “Venite, radunatevi al grande banchetto di Dio. Mangiate le carni dei re, le carni dei capitani, le carni degli eroi, le carni dei cavalli e dei cavalieri e le carni di tutti gli uomini, liberi e schiavi, piccoli e grandi”.
19. Vidi allora la bestia e i re della terra con i loro eserciti radunati per muover guerra contro colui che era seduto sul cavallo e contro il suo esercito.
20. Ma la bestia fu catturata e con essa il falso profeta che alla sua presenza aveva operato quei portenti con i quali aveva sedotto quanti avevan ricevuto il marchio della bestia e ne avevano adorato la statua. Ambedue furono gettati vivi nello stagno di fuoco, ardente di zolfo.
21. Tutti gli altri furono uccisi dalla spada che usciva di bocca al Cavaliere; e tutti gli uccelli si saziarono delle loro carni.
Commento esegetico.
Questa visione è strettamente legata e contrapposta (“dopo ciò”) alla precedente: là la costernata reazione del mondo (re, mercanti e marinai) di fronte alla caduta di Babilonia, qui la reazione del cielo e dei suoi abitanti (angeli, martiri e santi) che partecipano con passione alle vicende terrene e reagiscono di fronte a tutto ciò che succede. La comunità non deve sentirsi sola.
Il presente brano contiene due inni; il primo è cantato dagli angeli e celebra la giustizia di Dio manifestatasi nella punizione di Babilonia considerata ormai come un dato di fatto (vv. 1-4); il secondo, cantato dall’intera Chiesa, ci permette di intravedere le nozze dell’Agnello come una speranza più immediata. Queste nozze simboleggiano l’unione del Messia con la comunità degli eletti.
“Alleluia”: il fatto che questa esclamazione di lode (“lodate Jahwè”) sia frequente nei salmi attesta la sua importanza nella liturgia giudaica. Nel N.T. si trova solo in questo brano, dove è però ripetuta quattro volte; dev’essere pertanto già stata in uso nella liturgia cristiana.
“Veri e giusti”: il resto di questo versetto ricorda i due principali delitti della “grande meretrice” (17, 1-5) che motivarono la divina condanna: l’idolatria e la persecuzione.
Corrompeva la terra”: per mezzo dell’idolatria (11,18; 14,8; 17,2.5; 18,3.
“Il sangue dei suoi servi”: i santi e i profeti (18,24), la totalità della Chiesa e i suoi capi. La persecuzione dei cristiani contrassegna il massimo vertice dell’iniquità di Babilonia.
“I vegliardi”: come nelle precedenti scene di liturgia celeste (4, 8-11; 5, 8.14), gli esseri viventi e i vegliardi, che rappresentano l’universo fisico e la Chiesa, si associano alle lodi angeliche (11, 15-18).
Voi tutti suoi servi”: vale a dire, l’intera Chiesa. Essa unisce il suo cantico di lode a quello degli angeli (vv. 5-8).
“Alleluia”: (v. 6) il tema dell’inno della Chiesa è identico a quello degli angeli, ma mentre il canto di questi sottolineava l’aspetto negativo - la punizione e la distruzione di Babilonia – quest’inno tratta della restaurazione del regno di Dio (11,15.17; Sal. 97,1).
“Rallegriamoci ed esultiamo”: Mt. 5,12; Lc. 6,23; Sal. 98,4; 117,24.
“Sono giunte le nozze dell’Agnello”: questo motivo, che include l’esultanza della Chiesa, è un’anticipazione della visione conclusiva del libro (20, 11-22,5). Il tema del matrimonio che unisce Dio al suo popolo era già ben radicato nell’A.T. (Os. 1, 1-23; Is. 54, 4-8; Ez. 16,7 ss.); nel N.T. l’immagine è utilizzata per esprimere l’unione vitale tra Cristo e la sua Chiesa (Mt. 22, 1-14; Mc. 2,19, Gv. 3,29; 2 Cor. 11,2; Ef. 5, 23-32). Il simbolo esprime l’unione intima e indissolubile con la comunità che Cristo si è acquistata con il suo sangue (1,5; 5,6.9; 7,14; 14, 3-4). Nell’Apocalisse la Chiesa è presentata contemporaneamente come madre (12,1 ss.) e come sposa, ma la sua rivale è condannata come meretrice (17,1 ss.).
“Lino puro splendente”: questa stoffa semplice, leggera, e tuttavia di gran pregio contrasta con l’abbigliamento sfarzoso e scintillante della meretrice (17,4; 18,16). Nessuno è ammesso allo sposalizio se non indossa questo abito (Mt. 22, 11-13), lavato nel sangue dell’Agnello (7,9.14).
“Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell’Agnello”: non è più semplicemente una questione di riposo (14,13), ma di piena partecipazione al banchetto messianico (Is. 25,6, Mt. 8,11). Gli invitati sono i fedeli compagni dell’Agnello (14,4; 17,14).
“Queste sono parole veraci”: si riferiscono alle ultime rivelazioni (17, 1-19,9). L’immutabilità delle parole di Dio sarà riaffermata (21,5; 22,6).
“Per adorarlo”: il veggente è tentato di identificare il messaggero che trasmette queste rivelazioni, con Dio. L’angelo glielo impedisce, rammentandogli che Dio solamente è degno di adorazione (15,3 ss.; Deut. 6,13). La ripetizione di questa scena in 22, 8-9 sembra essere una forte reazione contro il culto eccessivo che veniva prestato agli angeli. Gli ammonimenti di Col. 2,18; Eb. 1,13 ss.; 2,5 e la testimonianza della Chiesa primitiva sembrano provare che un simile culto esagerato degli angeli si era infatti sviluppato nelle Chiese dell’Asia.
“Io sono un servo come te”: la missione dell’angelo, del tutto simile a quella dei profeti, è di comunicare la rivelazione di Dio. Per questa ragione si annovera nel gruppo dei profeti e si dà l’appellativo, come essi, di servo di Dio (1,1; 10,7; 11,18; 22,6.9).
“La testimonianza di Gesù è lo spirito della sua profezia”: questa difficile espressione sembra significare che la parola di Dio, in quanto rivelata e attestata da Gesù (1,2; 20,4), continua ad essere udita nella Chiesa, grazie all’azione dello Spirito (Gv. 14,26; 16,13 ss.) che parla attraverso le labbra dei profeti.
La venuta di Cristo e il compimento della storia (19, 11-22,5).
Quasi tutti gli elementi di questa scena trionfale sono stati presi dai capitoli precedenti (12,5; 14, 6-20; 16, 13-16; 17,14).
Nella tradizione apocalittica, la restaurazione del regno di Dio sarebbe stata preceduta da una violenta battaglia in cui il Messia avrebbe trionfato sopra le potenze del male (2 Esdra 13; Sal. 17, 23-27; Ez. 38 ss.; Gioele 4, 1-3.15-17; Zc 12,14).
All’inizio del presente brano Cristo appare come giudice e guerriero. Le tre immagini della “spada affilata”, della “verga di ferro” e del “tino dell’ira di Dio” indicano che egli viene per giudicare. Non è più il bambino che deve fuggire di fronte al dragone (12,5), ma il cavaliere che affronta il drago e lo abbatte. Nella sua prima venuta ha percorso la via della Croce, nella sua seconda venuta percorrerà la via della vittoria. Non due vie contrapposte però, la seconda non farà che mostrare ciò che la prima nascondeva. Si tratta sempre, infatti, di una vittoria legata alla Croce, come sembra indicare l'immagine del "mantello intriso di sangue”: nella visione di Isaia era il sangue di nemici.
Giovanni intende attirare l’attenzione sull’identità del cavaliere vincitore e per questo costruisce attorno al suo nome una sorta di contrasto. Per un verso il suo nome rimane nascosto, per un altro è svelato. Il mistero di Cristo rimane incomprensibile come il mistero di Dio, irraggiungibile nella sua profondità: tuttavia molto di Lui ci è dato conoscere. Egli è la “vivente garanzia” che Dio è fedele alle sue promesse (“si chiama Fedele e Verace”); è certo che i suoi disegni si realizzano sempre: di questo il Cristo (con la sua morte e risurrezione) è la garanzia.
“Cavallo bianco”: simbolo di vittoria.
“Fedele e verace”: questi due titoli sono qui rievocati (1,5; 3,7.14) perché Cristo sta compiendo la sua promessa di combattere e giudicare i nemici di Dio (1 Cor. 15, 24-28).
“Con giustizia”: la giustizia è una nota caratteristica del Messia (Is. 11, 3-4; Sal. 96,13; Atti 17,31).
“I suoi occhi”: simboli della perfetta conoscenza di Cristo giudice della Chiesa e del mondo.
“Molti diademi”: Egli è, infatti, il re dei re (v. 16). I suoi diademi contrastano con quelli del dragone (12,3) e della bestia (13,1).
“Scritto un nome”: nel mondo semitico, il nome di una persona corrispondeva alla sua essenza; pertanto, dato che Cristo è un essere divino, il suo nome trascende ogni umana conoscenza (Mt. 11,27). Il cristiano, avendo parte all’essere di Cristo, riceve un nome ineffabile, da non potersi esprimere a parole (2,17; 3,12; cfr. Gen. 32,29; Gdc. 13,18).
“Mantello intriso di sangue”: Giovanni applica al Messia ciò che era stato detto di Dio (Is. 63, 1-3). Il sangue non è quello di Cristo, ma quello dei suoi nemici (v.15), perché tutto il contesto verte sul giudizio più che sulla redenzione..
“Il suo nome è Verbo di Dio”: questo nome è il perno attorno a cui ruota tutta l’Apocalisse. E’ la Parola, infatti, che rivela il piano di Dio nella storia (apre i 7 sigilli), è la Parola che annuncia il messaggio di salvezza (le 7 trombe), è la Parola che, rifiutata, diventa il “boomerang” più esplosivo con i 7 flagelli.
“Gli eserciti del cielo”: il Messia era comunemente raffigurato accompagnato dai suoi angeli al momento della parusìa (Mc. 8,23; 13,27; 2 Tess. 1, 7-8). Gli angeli, che furono al servizio di Cristo durante la sua vita terrena (Mt. 4,11), saranno con lui anche nel giorno della sua esaltazione (Mt. 13,41 ss.; 16,27). Nel nostro contesto, tuttavia, gli eserciti sono i martiri (17,14), con le loro caratteristiche vesti bianche (3,5; 6,11; 19,8).
I prossimi tre elementi specificano lo scopo della venuta di Cristo.
“Dalla bocca...”: questa è la parola con cui i decreti fatali di Dio saranno attuati contro i suoi nemici (2 Tess. 2,8).
“Verga di ferro”: Cfr. 2,27; 12,5; Sal. 2,9; Is. 11,4. Il Messia è qui rappresentato nel suo ruolo di guerriero.
“Il tino del vino”: 14, 8-10.19 ss.: è il segno della collera di Dio.
“Un nome scritto sul mantello”: diversamente dalla bestia che è ricoperta di nomi blasfemi (17,3), Cristo mostra apertamente il titolo attribuitogli da Dio: “Re dei re”, e “Signore dei signori”. Il primo titolo è riservato a Dio nell’A.T. (Deut. 10,17; cfr. 1 Tim. 6,15); significa che la gloria di Cristo domina tutta la creazione (Fil. 2, 9-11).
“Mangiate le carni...”: l’esito della battaglia è talmente certo che vengono convocati in anticipo gli uccelli rapaci affinché si cibino dei cadaveri di tutti i nemici di Dio (6, 15-17). Questo macabro banchetto sembra essere una controparte del banchetto nuziale dell’Agnello (19,9).
“Il falso profeta”: Cfr. 13, 11-18.
“Uno stagno di fuoco”: indica la dannazione eterna (14,10 ss.; 20,10.14 ss.; 21,8). “Ardente di zolfo”: un’allusione a Sodoma e Gomorra (Gen. 19,24; cfr. Ez. 38,22).
“Tutti gli altri furono uccisi”: i re della terra (v.19) e le loro genti, cioè, i re dei popoli pagani di cui si è parlato in 17, 12-14. Sono tutti abbattuti dalla spada di Cristo, in seguito essi verranno gettati nello stagno del fuoco (20,15).
In sintesi: l’immagine del banchetto (di cui l’Eucarestia è anticipo reale) risponde al bisogno di vivere; l’immagine delle nozze risponde al bisogno di amare e di essere amati. L’Agnello-Gesù sazia per l’eternità e in modo assoluto questi due bisogni fondamentali dell’uomo. La Bestia che comandava gli avversari di Dio, i re della terra al suo servizio e gli eserciti potenti al suo seguito sono disfatti: non c’è stata vera battaglia perché Dio non ha bisogno di combattere se non con la sua Parola.
Commento spirituale.
I due Inni di questo brano, attraverso il simbolismo delle nozze, mettono in luce la speranza della comunità degli eletti, di unirsi allo Sposo. Ma per cantare il nostro “Alleluia” nelle celeste Gerusalemme, dobbiamo “lavare le nostre vesti rendendole bianche col sangue dell’Agnello”, cioè dobbiamo “purificarci” dai nostri peccati, e se su questa terra, il tempo che Dio ha destinato per la nostra conversione non è stato sufficiente, nell’altra vita continuerà questa purificazione. Questo stato di purificazione, noi lo chiamiamo: “Purgatorio”.
Su questa terra siamo chiamati a conformarci sempre più a Cristo, crescendo nella carità,, orientando al bene tutte le nostre energie, purificandoci dai nostri peccati.
Il tempo del pellegrinaggio terreno ci è dato perché, attraverso i sacramenti, la preghiera, le opere buone e le sofferenze liberamente accettate, possiamo avvicinarci a Dio e prepararci ad accogliere il dono di sé che egli vuol farci nell’eternità.
Ma l’esistenza terrena può non bastare. Chi al termine di essa non è in piena sintonia con il Signore Gesù, dovrà proseguire la propria liberazione dal peccato, per essere “senza macchia né ruga” (Ef 5,27). Tutto in noi deve essere degno della sua compiacenza. Si chiama “Purgatorio” la completa purificazione dal peccato di quanti muoiono in grazia di Dio, ma non sono ancora pronti per la comunione perfetta e definitiva con lui.
Poco prima dell’era cristiana si diffuse nel mondo ebraico l’intercessione per la purificazione dei defunti, rimasti sostanzialmente fedeli all’alleanza ma con qualche incoerenza: Giuda Maccabeo, dopo una battaglia, fa pregare e manda ad offrire un sacrificio al tempio, perché i caduti siano purificati dai peccati, in vista della risurrezione nell’ultimo giorno (2 Macc. 12, 38-45). Gesù stesso sembra alludere a una possibilità di perdono nel secolo futuro (Mt. 5,26; 12,32).
Il Cristianesimo antico, in continuità con la tradizione ebraica, coltiva la pietà verso i defunti: preghiera, elemosina, digiuno e soprattutto celebrazione dell’eucarestia. Col passare dei secoli si sovrappongono credenze popolari e vivaci rappresentazioni riguardanti il luogo, la durata e la natura del Purgatorio. Ma l’insegnamento del magistero ecclesiale, soprattutto nei Concili di Firenze e di Trento, si mantiene estremamente sobrio e si può così riassumere: al termine di questa vita terrena, è concessa ai defunti, che ne hanno ancora bisogno, una purificazione preliminare alla beatitudine celeste, nella quale possono essere aiutati dai suffragi della Chiesa e dei singoli cristiani, soprattutto dalla santa Messa.
Se consideriamo l’infinita santità di Dio, appare del tutto ragionevole che la perfetta comunione con lui in Cristo comporti un rinnovamento assai più esigente di quello che ci è dato osservare ordinariamente nelle stesse persone generose e impegnate. Occorre un risanamento totale.
Appare ragionevole ammettere anche l’efficacia dei suffragi, se la collochiamo nel contesto della socialità dell’uomo, che si attua pienamente nella comunione dei santi. Solo in relazione agli altri si vive e si cresce. Per questo la solidarietà dei credenti e della comunità cristiana ha un potere di intercessione presso Dio per facilitare la purificazione dei defunti.