Interpretazione del libro " Apocalisse"

Moderatore: berescitte

Re: Interpretazione del libro " Apocalisse"

Messaggioda francocoladarci » ven mar 13, 2009 8:22 pm

Segue:” Caduta di Babilonia; Inni di Trionfo”


CADUTA DI BABILONIA

(Ap. 18, 1-24)
1. Dopo ciò, vidi un altro angelo discendere dal cielo con grande potere e la terra fu illuminata dal suo splendore.
2. Gridò a gran voce: “E’ caduta, è caduta Babilonia la grande ed è diventata covo di demòni, carcere di ogni spirito immondo, carcere d’ogni uccello impuro e aborrito e carcere di ogni bestia immonda e aborrita.
3. Perchè tutte le nazioni hanno bevuto del vino della sua sfrenata prostituzione, i re della terra si sono prostituiti con essa e i mercanti della terra si sono arricchiti del suo lusso sfrenato”.
4. Poi udii un’altra voce dal cielo: “Uscite, popolo mio, da Babilonia per non associarvi ai suoi peccati e non ricevere parte dei suoi flagelli.
5. Perchè i suoi peccati si sono accumulati fino al cielo e Dio si è ricordato delle sue iniquità.
6. Pagàtela con la sua stessa moneta, retribuitele il doppio dei suoi misfatti. Versatele doppia misura nella coppa con cui mesceva.
7. Tutto ciò che ha speso per la sua gloria e il suo lusso, restituiteglielo in tanto tormento e afflizione. Poichè diceva in cuor suo: Io seggo regina, vedova non sono e lutto non vedrò;
8. per questo, in un sol giorno, verranno su di lei questi flagelli: morte, lutto e fame; sarà bruciata dal fuoco, poichè potente Signore è Dio che l’ha condannata”.
9. I re della terra che si sono prostituiti e han vissuto nel fatto con essa piangeranno e si lamenteranno a causa di lei, quando vedranno il fumo del suo incendio,
10. tenendosi a distanza per paura dei suoi tormenti e diranno: “Guai, guai, immensa città, Babilonia, possente città; in un’ora sola è giunta la tua condanna!”
11. anche i mercanti della terra piangono e gemono su di lei, perchè nessuno compera più le loro merci:
12. carichi d’oro, d’argento e di pietre preziose, di perle, di lino, di porpora, di seta e di scarlatto; legni profumati di ogni specie, oggetti d’avorio, di legno, di bronzo, di ferro, di marmo;
13. cinnamòmo, amòmo, profumi, unguento, incenso, vino, olio, fior di farina, frumento, bestiame, greggi, cavalli, cocchi, schiavi e vite umane.
14. “I frutti che ti piacevano tanto, tutto quel lusso e quello splendore sono perduti per te, mai più potranno trovarli”.
15. I mercanti divenuti ricchi per essa, si terranno a distanza per timore dei suoi tormenti; piangendo e gemendo, diranno:
16. “Guai, guai, immensa città, tutta ammantata di bisso, di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pietre preziose e di perle!
17. In un’ora sola è andata dispersa si grande ricchezza!”. Tutti i comandanti di navi e l’intera ciurma, i naviganti e quanti commerciano per mare se ne stanno a distanza,
18. e gridano guardando il fumo del suo incendio: “Quale città fu mai somigliante all’immensa città?”.
19. Gettandosi sul capo la polvere gridano, piangono e gemono: “Guai, guai, immensa città, del cui lusso arricchirono quanti avevano navi sul mare! In un’ora sola fu ridotta a un deserto!
20. Esulta, o cielo, su di essa, e voi, santi, apostoli, profeti, perchè condannando Babilonia Dio vi ha reso giustizia!”.
21. Un angelo possente prese allora una pietra grande come una mola, e la gettò nel mare esclamando: “Con la stessa violenza sarà precipitata Babilonia, la grande città e più non riapparirà.
22. La voce degli arpisti e dei musici, dei flautisti e dei suonatori di tromba, non si udrà più in te; ed ogni artigiano di qualsiasi mestiere non si troverà più in te; e la voce della mola non si udrà più in te;
23. e la luce della lampada non brillerà più in te; e voce di sposo e di sposa non si udrà più in te. Perchè i tuoi mercanti erano i grandi della terra; perchè tutte le nazioni dalle tue malìe furono sedotte.
24. In essa fu trovato il sangue dei profeti e dei santi e di tutti coloro uccisi sulla terra”.

Commento esegetico.

In questa sezione del libro non si parla più di giudizi parziali, ma definitivi. Tuttavia Giovanni sa molto bene che la caduta di Roma non è ancora la fine della storia: restano la bestia e il dragone, che nessuno sa - neppure Giovanni – quante volte torneranno nella storia a incarnarsi. Ma non è il numero delle loro incarnazioni storiche che interessa: ciò che conta è che il loro destino è segnato. Scompariranno come scompare Babilonia.
Il giudizio di Dio sulla “grande città” è descritto principalmente mediante un cantico di lamentazione, cioè attraverso reazioni e commenti di diversi spettatori. Non una narrazione della caduta di Babilonia, ma un coro di commenti e di valutazioni. Intervengono personaggi diversi, celesti e terrestri, e le loro reazioni sono, ovviamente, differenti.
Il primo personaggio è un angelo e annuncia la caduta della città: pone il tema, o il fatto, attorno a cui si sviluppano le reazioni (vv. 1-3).
Il secondo personaggio è ancora un angelo e lancia un avvertimento al popolo di Dio a fuggire dalla città ormai condannata (vv. 4-8).
A questo punto intervengono i re della terra, cioè coloro che avevano tratto profitto dalle stravaganze della potenza, del commercio e dello sfarzo romano (specialmente re, mercanti e marinai). Le loro voci esprimono stupore, paura e lamento (vv. 9-20).
Infine di nuovo un angelo, con un gesto simbolico sigilla per sempre l’annientamento dell’impero (vv. 21-24).
Non c’è nessuna descrizione delle fasi successive della distruzione, perché l’attenzione è rivolta sulle contrastanti reazioni dei pagani e dei cristiani. Espressioni prese dall’A.T. si susseguono continuamente in questo capitolo, esse sono tratte principalmente dai poemi sarcastici composti dai profeti contro le città orgogliose di Babilonia, Tiro e Ninive (Is. 23-24-47; Ger. 50-51; Ez. 26-27). Roma è il simbolo di tutti i peccati e i vizi delle antiche città. Roma è l’incarnazione del concetto giovanneo di “mondo”, che rivendica una struttura e una vitalità indipendenti da Dio. Ma la sventura si abbatterà su di essa “in un attimo” (il ritornello nei vv. 10.17.19), perché il giudizio efficace di Dio la colpirà come un fulmine.
“La terra illuminata dal suo splendore”: tutti gli esseri celesti hanno lo stesso splendore della divina maestà.
“Covo di demoni”: Roma diventerà una terra desolata, come le antiche città condannate da Dio (Is. 34, 11-15), sarà la dimora dei demoni (Baruc 4,35), delle belve (Is. 13,22; Ger. 9,10; 50,39; Sf. 2,14) e degli uccelli immondi (Is. 13,21).
“Tutte le genti hanno bevuto”: un richiamo all’immoralità della città senza Dio (14,8; 17, 2.4 ss.), per evidenziare la giustizia della sua condanna.
“Uscite popolo mio...”: anche gli episodi biblici più antichi insistono sulla separazione dai peccatori: la chiamata di Abramo (Gen. 12,1), la liberazione di Lot (Gen. 19,12 ss.), la ribellione di Datan e Abiram (Num. 16,26). In particolare, quest’ingiunzione fu fatta ad Israele verso la fine dell’esilio (Is. 48,20; 52,11; Ger. 50,8; 51,6.45). Divenne in seguito un elemento tradizionale nell’apocalittica (Mt. 24, 16-20).
Sarebbe un errore interpretare questa pericope come un consiglio alla comunità romana di evacuare la città a un’ora ben stabilita immediatamente prima della distruzione. La “fuga” consiste nel rifiuto a prendere parte ai peccati dei Romani. Paolo ammette che noi siamo incapaci di lasciare il mondo (1 Cor. 5,10), ma ci sollecita a rifuggire da qualsiasi partecipazione alle opere delle tenebre (2 Cor. 6, 14-18).
“Pagatela con la stessa moneta”: la legge del taglione (Es. 21,24 ss.) fu applicata a Babilonia, la persecutrice d’Israele (Ger. 50,29; Sal. 137,8). Il doppio risarcimento (Es. 22, 4.7.9) è già stato riscosso da Gerusalemme (Is. 40,2; Ger. 16,18).
“Io seggo regina”: il peccato principale di Roma e di tutti gli imperi pagani consiste nella asserzione che il loro potere e la loro autorità derivano esclusivamente da se stessi, che con hanno padroni al di sopra di se stessi, e che non riconoscono quindi alcuna legge da cui dipendere.

Lamentazione sulle rovine di Babilonia. (18, 9-19).
Tre gruppi la cui prosperità dipendeva da Roma piangono sul loro destino:
1) “I re della terra” (vv. 9-10).
2) “I mercanti della terra” (vv. 11-17a).
3) “I marinai” (17b-19).
I loro lamenti sono ispirati all’egoismo, perché la prosperità di Roma era la chiave dei loro profitti. L’intero brano, basato su Ez. 26-27 (che si riferisce a Tiro), si richiama alla potenza, alla ricchezza e allo splendore di Roma, e il contrasto rende ancora più tragica la sua fulminea devastazione.
“I re della terra”: (Ez. 26, 16-18). Sono i re alleati e assoggettati (17,2; 18,3).
“I mercanti della terra”: (Ez. 27, 9b-36) sono i più gravemente colpiti dal crollo di Roma.
“Perchè nessuno comprerà”: questa frase mette a nudo la ragione egoistica del lamento dei mercanti (v. 19).
“Le loro merci”: questo impressionante elenco di oggetti di lusso riflette il commercio romano del tempo.
“Legni profumati”: Un legno profumato importato dall’Africa, usato per tavoli da pranzo e opere d’arte. “Frumento”:
“Frumento”: la massima parte del grano che si consumava a Roma era prodotta in Egitto. “Vite umane”: un’espressione presa da Ez. 27,13 e si riferisce agli schiavi - bestiame umano – venduti dai mercanti perché facessero i servi nelle case dei ricchi, o usati come strumenti di piacere nei bordelli e nell’anfiteatro.
“I frutti”: metaforicamente il risultato di una lunga fatica e che si è sul punto di gustare.
“Bisso”: (lino finissimo). I re erano colpiti dalla potenza di Roma (v. 10); i mercanti dalle sue ricchezze (vv. 16 ss.).
“Esulta o cielo”: questo invito alla gioia sarà ripetuto in 19, 1-10.
“Apostoli e profeti”: tra i “santi”, cioè, i martiri, questi sono i principali rappresentanti della Chiesa (1 Cor. 12,28).

Un’azione simbolica segnala la scomparsa di Babilonia (18, 21-24).
“La gettò nel mare”: Il libro di Geremia che annunciava la distruzione di Babilonia era stato legato a una pietra e gettato nell’Eufrate (Ger. 51, 63-64). Proprio come una pietra gettata nel mare scomparirebbe senza lasciar traccia, così Babilonia, vale a dire Roma, sarà annientata (Es. 15,5; Lc. 17,2).
“Non si udrà più”: la distruzione di Babilonia sarà talmente completa che la città non darà più alcun segno di vita. Questo tema della punizione divina, concretizzata nella distruzione totale di una città dominata dalla colpa, era già stato applicato a Gerusalemme (Is. 24,8; Ger. 7,34, 16,9), a Babilonia (Ger. 25,10), e specialmente a Tiro (Ez. 26,13).
“Voce di sposo”: cfr. Ger. 7,34; 16,9; 25,10; 33,10 ss.; Baruc 2,23.
“Perché i tuoi mercanti”: il punto dell’accusa è probabilmente il fatto che Roma aveva abusato della sua potenza commerciale, servendosene per propagare i suoi falsi modelli di vita.
“Tue malìe”: (pratiche magiche, incantesimi), cfr. Is. 47,12. Roma aveva ammaliato e contaminato il mondo con i suoi vizi e la sua idolatria (21,8; 22,15). Questo passo potrebbe essere un’allusione alla pratica romana della magia nera.
“Fu trovato il sangue”: la colpa di Roma viene ricordata ancora una volta. Ciò che Giovanni ha in mente sono probabilmente i massacri del 64 d.C. e del regno di Domiziano. Cristo lanciò un’accusa analoga contro Gerusalemme (Mt. 23,34; Mt. 27,25).
“Furono uccisi sulla terra”: essi furono sgozzati come l’Agnello (5,12).

In sintesi: alla morte di Gesù i Giudei avevano riecheggiato le parole di Dio a Caino: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli”. L’Inferno è proprio l’Amore di Dio rifiutato che diventa maledizione per libera scelta dell’uomo. L’Inferno è eterno perché il peccato è eterno.

Commento spirituale.

La caduta di Babilonia, richiama una data della nostra storia recente, 1989, forse passata inosservata: è la caduta del “muro” di Berlino, e il crollo dell’ideologia comunista in tutti i Paesi dell’Est. Il Concilio chiama questa lettura critica della storia “segni dei tempi” (Concilio Vatticano II, Gaudium et spes, 4).
I segni dei tempi sono i germi del regno di Dio che crescono nella storia, gli eventi in cui si manifesta la divina Provvidenza.
Il mondo, distinto e dipendente da Dio, è storia protesa al compimento in lui. Quanto di buono cresce nella storia fiorisce nell’eternità. Tutto è prezioso, anche “un bicchiere d’acqua fresca” (Mt. 10,42) dato con amore.
In quanto preparazione e anticipo del Regno, la storia è il luogo dove agisce la Provvidenza divina e di questa azione è possibile discernere i segni indicatori: “Quando si fa sera, voi dite: bel tempo, perché il cielo rosseggia; e al mattino: oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi?”(Mt. 16, 2-3). I segni, ai quali Gesù fa riferimento, sono la sua stessa presenza, la sua predicazione e le sue opere. Ne preannuncia altri in un prossimo futuro: la rovina di Gerusalemme e la diffusione del vangelo attraverso la Chiesa (Mt. 24, 1-36).
I segni pubblici e non ambigui si riducono in definitiva a uno solo: Cristo annunciato e testimoniato dalla Chiesa. In base a questo criterio occorre operare il discernimento riguardo a tutte le altre realtà storiche, per evitare di confondere i germi del regno con le linee di tendenza prevalenti in una determinata epoca. Altrimenti il discorso sui segni dei tempi si ridurrebbe a un’ideologia, per giustificare l’adeguamento al mondo e benedire ogni presunto progresso. La Chiesa deve orientare la storia non andarne a rimorchio. Insieme al grano cresce ancora la zizzania (Mt. 13, 24-30); Cristo combatte ancora contro le potenze ostili (1 Cor. 15, 24-25).
D’altra parte, se Dio creatore e redentore agisce nella storia e in lui “viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At. 17,28), bisogna ritenere che “tutto quello che è vero, nobile, giusto” (Fil. 4,8) deriva da lui e manifesta le ricchezze del mistero di Cristo.
Procedendo secondo queste indicazioni, è possibile individuare i segni della Provvidenza nel nostro tempo. Il Concilio Vaticano II considera tali il rinnovamento della liturgia (Conc. Vat. II, Sacrosantum Concilium, 43), l’ecumenismo (Conc. Vat. II, Unitatis Redintegratio, 4), il riconoscimento del diritto alla libertà di religione (Conc. Vat. II, Dignitatis Humanae, 15), il crescente senso di solidarietà tra tutti i popoli (Conc. Vat. II, Apostolicam Actuositatem, 14). Ovviamente se ne potrebbero addurre molti altri.
Ciò che è dono della Provvidenza è anche frutto della libera cooperazione dell’uomo che contribuisce a preparare il futuro e a disegnarne la figura: “L’attesa di una terra nuova non deve indebolire, ma piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova, che già riesce a offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo” (Conc. Vat. II, Gaudium et Spes, 39). Se i contenuti tecnici, economici e politici del progresso appartengono alla figura di questo mondo che passa, invece i beni morali, in essi incorporati, sono destinati ad essere assunti e perfezionati: “Non sappiamo il modo con cui sarà trasformato l’universo”; ma resterà “la carità con i suoi frutti” e ritroveremo “purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati” i valori che avevamo diffuso nel mondo, “quali la dignità dell’uomo, la fraternità e la libertà”.
La speranza cristiana non fa concorrenza alle speranze terrene autentiche, anzi risveglia e mette a loro disposizione preziose energie. A chi cerca la salvezza eterna, i beni storici sono dati in aggiunta” (Mt. 6,33).
INNI DI TRIONFO

(Ap. 19, 1-21)
1. Dopo ciò, udii come una voce potente di una folla immensa nel cielo che diceva: “Alleluia! Salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio;
2. Perchè veri e giusti sono i suoi giudizi, egli ha condannato la grande meretrice che corrompeva la terra con la sua prostituzione, vendicando su di lei il sangue dei suoi servi!”.
3. E per la seconda volta dissero: “Alleluia! Il suo fumo sale nei secoli dei secoli!”.
4. Allora i ventiquattro vegliardi e i quattro esseri viventi si prostrarono e adorarono Dio, seduto sul trono, dicendo: “Amen, alleluia”.
5. Partì dal trono una voce che diceva: “Lodate il nostro Dio, tutti voi suoi servi, voi che lo temete, piccoli e grandi!”.
6. Udii poi come una voce di una immensa folla simile a fragore di grandi acque e a rombo di tuoni possenti, che gridavano. “Alleluia. Ha preso possesso del suo regno il Signore, il nostro Dio, l’Onnipotente.
7. Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria, perchè son giunte le nozze dell’Agnello; la sua sposa è pronta,
8. le hanno dato una veste di lino puro splendente”. La veste di lino sono le opere giuste dei santi.
9. Allora l’angelo mi disse: “Scrivi: Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell’Agnello!”. Poi aggiunse: “Queste sono parole veraci di Dio”.
10. Allora mi prostrai ai suoi piedi per adorarlo, ma egli mi disse: “Non farlo! Io sono servo come te e i tuoi fratelli, che custodiscono la testimonianza di Gesù. E’ Dio che devi adorare”. La testimonianza di Gesù è lo spirito di profezia.
11. Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava “Fedele” e “Verace”: egli giudica e combatte con giustizia.
12. I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; porta scritto un nome che nessuno conosce all’infuori di lui.
13. E’ avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è Verbo di Dio.
14. Gli eserciti del cielo lo seguono su cavalli bianchi, vestiti di lino bianco e puro.
15. Dalla bocca gli esce una spada affilata per colpire con essa le genti. Egli le governerà con scettro di ferro e pigerà nel tino il vino dell’ira furiosa del Dio onnipotente.
16. Un nome porta scritto sul mantello e sul femore: Re dei re e Signore dei signori.
17. Vidi poi un angelo, ritto sul sole, che gridava a gran voce a tutti gli uccelli che volano in mezzo al cielo:
18. “Venite, radunatevi al grande banchetto di Dio. Mangiate le carni dei re, le carni dei capitani, le carni degli eroi, le carni dei cavalli e dei cavalieri e le carni di tutti gli uomini, liberi e schiavi, piccoli e grandi”.
19. Vidi allora la bestia e i re della terra con i loro eserciti radunati per muover guerra contro colui che era seduto sul cavallo e contro il suo esercito.
20. Ma la bestia fu catturata e con essa il falso profeta che alla sua presenza aveva operato quei portenti con i quali aveva sedotto quanti avevan ricevuto il marchio della bestia e ne avevano adorato la statua. Ambedue furono gettati vivi nello stagno di fuoco, ardente di zolfo.
21. Tutti gli altri furono uccisi dalla spada che usciva di bocca al Cavaliere; e tutti gli uccelli si saziarono delle loro carni.

Commento esegetico.

Questa visione è strettamente legata e contrapposta (“dopo ciò”) alla precedente: là la costernata reazione del mondo (re, mercanti e marinai) di fronte alla caduta di Babilonia, qui la reazione del cielo e dei suoi abitanti (angeli, martiri e santi) che partecipano con passione alle vicende terrene e reagiscono di fronte a tutto ciò che succede. La comunità non deve sentirsi sola.
Il presente brano contiene due inni; il primo è cantato dagli angeli e celebra la giustizia di Dio manifestatasi nella punizione di Babilonia considerata ormai come un dato di fatto (vv. 1-4); il secondo, cantato dall’intera Chiesa, ci permette di intravedere le nozze dell’Agnello come una speranza più immediata. Queste nozze simboleggiano l’unione del Messia con la comunità degli eletti.
“Alleluia”: il fatto che questa esclamazione di lode (“lodate Jahwè”) sia frequente nei salmi attesta la sua importanza nella liturgia giudaica. Nel N.T. si trova solo in questo brano, dove è però ripetuta quattro volte; dev’essere pertanto già stata in uso nella liturgia cristiana.
“Veri e giusti”: il resto di questo versetto ricorda i due principali delitti della “grande meretrice” (17, 1-5) che motivarono la divina condanna: l’idolatria e la persecuzione.
Corrompeva la terra”: per mezzo dell’idolatria (11,18; 14,8; 17,2.5; 18,3.
“Il sangue dei suoi servi”: i santi e i profeti (18,24), la totalità della Chiesa e i suoi capi. La persecuzione dei cristiani contrassegna il massimo vertice dell’iniquità di Babilonia.
“I vegliardi”: come nelle precedenti scene di liturgia celeste (4, 8-11; 5, 8.14), gli esseri viventi e i vegliardi, che rappresentano l’universo fisico e la Chiesa, si associano alle lodi angeliche (11, 15-18).
Voi tutti suoi servi”: vale a dire, l’intera Chiesa. Essa unisce il suo cantico di lode a quello degli angeli (vv. 5-8).
“Alleluia”: (v. 6) il tema dell’inno della Chiesa è identico a quello degli angeli, ma mentre il canto di questi sottolineava l’aspetto negativo - la punizione e la distruzione di Babilonia – quest’inno tratta della restaurazione del regno di Dio (11,15.17; Sal. 97,1).
“Rallegriamoci ed esultiamo”: Mt. 5,12; Lc. 6,23; Sal. 98,4; 117,24.
“Sono giunte le nozze dell’Agnello”: questo motivo, che include l’esultanza della Chiesa, è un’anticipazione della visione conclusiva del libro (20, 11-22,5). Il tema del matrimonio che unisce Dio al suo popolo era già ben radicato nell’A.T. (Os. 1, 1-23; Is. 54, 4-8; Ez. 16,7 ss.); nel N.T. l’immagine è utilizzata per esprimere l’unione vitale tra Cristo e la sua Chiesa (Mt. 22, 1-14; Mc. 2,19, Gv. 3,29; 2 Cor. 11,2; Ef. 5, 23-32). Il simbolo esprime l’unione intima e indissolubile con la comunità che Cristo si è acquistata con il suo sangue (1,5; 5,6.9; 7,14; 14, 3-4). Nell’Apocalisse la Chiesa è presentata contemporaneamente come madre (12,1 ss.) e come sposa, ma la sua rivale è condannata come meretrice (17,1 ss.).
“Lino puro splendente”: questa stoffa semplice, leggera, e tuttavia di gran pregio contrasta con l’abbigliamento sfarzoso e scintillante della meretrice (17,4; 18,16). Nessuno è ammesso allo sposalizio se non indossa questo abito (Mt. 22, 11-13), lavato nel sangue dell’Agnello (7,9.14).
“Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell’Agnello”: non è più semplicemente una questione di riposo (14,13), ma di piena partecipazione al banchetto messianico (Is. 25,6, Mt. 8,11). Gli invitati sono i fedeli compagni dell’Agnello (14,4; 17,14).
“Queste sono parole veraci”: si riferiscono alle ultime rivelazioni (17, 1-19,9). L’immutabilità delle parole di Dio sarà riaffermata (21,5; 22,6).
“Per adorarlo”: il veggente è tentato di identificare il messaggero che trasmette queste rivelazioni, con Dio. L’angelo glielo impedisce, rammentandogli che Dio solamente è degno di adorazione (15,3 ss.; Deut. 6,13). La ripetizione di questa scena in 22, 8-9 sembra essere una forte reazione contro il culto eccessivo che veniva prestato agli angeli. Gli ammonimenti di Col. 2,18; Eb. 1,13 ss.; 2,5 e la testimonianza della Chiesa primitiva sembrano provare che un simile culto esagerato degli angeli si era infatti sviluppato nelle Chiese dell’Asia.
“Io sono un servo come te”: la missione dell’angelo, del tutto simile a quella dei profeti, è di comunicare la rivelazione di Dio. Per questa ragione si annovera nel gruppo dei profeti e si dà l’appellativo, come essi, di servo di Dio (1,1; 10,7; 11,18; 22,6.9).
“La testimonianza di Gesù è lo spirito della sua profezia”: questa difficile espressione sembra significare che la parola di Dio, in quanto rivelata e attestata da Gesù (1,2; 20,4), continua ad essere udita nella Chiesa, grazie all’azione dello Spirito (Gv. 14,26; 16,13 ss.) che parla attraverso le labbra dei profeti.

La venuta di Cristo e il compimento della storia (19, 11-22,5).
Quasi tutti gli elementi di questa scena trionfale sono stati presi dai capitoli precedenti (12,5; 14, 6-20; 16, 13-16; 17,14).
Nella tradizione apocalittica, la restaurazione del regno di Dio sarebbe stata preceduta da una violenta battaglia in cui il Messia avrebbe trionfato sopra le potenze del male (2 Esdra 13; Sal. 17, 23-27; Ez. 38 ss.; Gioele 4, 1-3.15-17; Zc 12,14).
All’inizio del presente brano Cristo appare come giudice e guerriero. Le tre immagini della “spada affilata”, della “verga di ferro” e del “tino dell’ira di Dio” indicano che egli viene per giudicare. Non è più il bambino che deve fuggire di fronte al dragone (12,5), ma il cavaliere che affronta il drago e lo abbatte. Nella sua prima venuta ha percorso la via della Croce, nella sua seconda venuta percorrerà la via della vittoria. Non due vie contrapposte però, la seconda non farà che mostrare ciò che la prima nascondeva. Si tratta sempre, infatti, di una vittoria legata alla Croce, come sembra indicare l'immagine del "mantello intriso di sangue”: nella visione di Isaia era il sangue di nemici.
Giovanni intende attirare l’attenzione sull’identità del cavaliere vincitore e per questo costruisce attorno al suo nome una sorta di contrasto. Per un verso il suo nome rimane nascosto, per un altro è svelato. Il mistero di Cristo rimane incomprensibile come il mistero di Dio, irraggiungibile nella sua profondità: tuttavia molto di Lui ci è dato conoscere. Egli è la “vivente garanzia” che Dio è fedele alle sue promesse (“si chiama Fedele e Verace”); è certo che i suoi disegni si realizzano sempre: di questo il Cristo (con la sua morte e risurrezione) è la garanzia.
“Cavallo bianco”: simbolo di vittoria.
“Fedele e verace”: questi due titoli sono qui rievocati (1,5; 3,7.14) perché Cristo sta compiendo la sua promessa di combattere e giudicare i nemici di Dio (1 Cor. 15, 24-28).
“Con giustizia”: la giustizia è una nota caratteristica del Messia (Is. 11, 3-4; Sal. 96,13; Atti 17,31).
“I suoi occhi”: simboli della perfetta conoscenza di Cristo giudice della Chiesa e del mondo.
“Molti diademi”: Egli è, infatti, il re dei re (v. 16). I suoi diademi contrastano con quelli del dragone (12,3) e della bestia (13,1).
“Scritto un nome”: nel mondo semitico, il nome di una persona corrispondeva alla sua essenza; pertanto, dato che Cristo è un essere divino, il suo nome trascende ogni umana conoscenza (Mt. 11,27). Il cristiano, avendo parte all’essere di Cristo, riceve un nome ineffabile, da non potersi esprimere a parole (2,17; 3,12; cfr. Gen. 32,29; Gdc. 13,18).
“Mantello intriso di sangue”: Giovanni applica al Messia ciò che era stato detto di Dio (Is. 63, 1-3). Il sangue non è quello di Cristo, ma quello dei suoi nemici (v.15), perché tutto il contesto verte sul giudizio più che sulla redenzione..
“Il suo nome è Verbo di Dio”: questo nome è il perno attorno a cui ruota tutta l’Apocalisse. E’ la Parola, infatti, che rivela il piano di Dio nella storia (apre i 7 sigilli), è la Parola che annuncia il messaggio di salvezza (le 7 trombe), è la Parola che, rifiutata, diventa il “boomerang” più esplosivo con i 7 flagelli.
“Gli eserciti del cielo”: il Messia era comunemente raffigurato accompagnato dai suoi angeli al momento della parusìa (Mc. 8,23; 13,27; 2 Tess. 1, 7-8). Gli angeli, che furono al servizio di Cristo durante la sua vita terrena (Mt. 4,11), saranno con lui anche nel giorno della sua esaltazione (Mt. 13,41 ss.; 16,27). Nel nostro contesto, tuttavia, gli eserciti sono i martiri (17,14), con le loro caratteristiche vesti bianche (3,5; 6,11; 19,8).
I prossimi tre elementi specificano lo scopo della venuta di Cristo.
“Dalla bocca...”: questa è la parola con cui i decreti fatali di Dio saranno attuati contro i suoi nemici (2 Tess. 2,8).
“Verga di ferro”: Cfr. 2,27; 12,5; Sal. 2,9; Is. 11,4. Il Messia è qui rappresentato nel suo ruolo di guerriero.
“Il tino del vino”: 14, 8-10.19 ss.: è il segno della collera di Dio.
“Un nome scritto sul mantello”: diversamente dalla bestia che è ricoperta di nomi blasfemi (17,3), Cristo mostra apertamente il titolo attribuitogli da Dio: “Re dei re”, e “Signore dei signori”. Il primo titolo è riservato a Dio nell’A.T. (Deut. 10,17; cfr. 1 Tim. 6,15); significa che la gloria di Cristo domina tutta la creazione (Fil. 2, 9-11).
“Mangiate le carni...”: l’esito della battaglia è talmente certo che vengono convocati in anticipo gli uccelli rapaci affinché si cibino dei cadaveri di tutti i nemici di Dio (6, 15-17). Questo macabro banchetto sembra essere una controparte del banchetto nuziale dell’Agnello (19,9).
“Il falso profeta”: Cfr. 13, 11-18.
“Uno stagno di fuoco”: indica la dannazione eterna (14,10 ss.; 20,10.14 ss.; 21,8). “Ardente di zolfo”: un’allusione a Sodoma e Gomorra (Gen. 19,24; cfr. Ez. 38,22).
“Tutti gli altri furono uccisi”: i re della terra (v.19) e le loro genti, cioè, i re dei popoli pagani di cui si è parlato in 17, 12-14. Sono tutti abbattuti dalla spada di Cristo, in seguito essi verranno gettati nello stagno del fuoco (20,15).

In sintesi: l’immagine del banchetto (di cui l’Eucarestia è anticipo reale) risponde al bisogno di vivere; l’immagine delle nozze risponde al bisogno di amare e di essere amati. L’Agnello-Gesù sazia per l’eternità e in modo assoluto questi due bisogni fondamentali dell’uomo. La Bestia che comandava gli avversari di Dio, i re della terra al suo servizio e gli eserciti potenti al suo seguito sono disfatti: non c’è stata vera battaglia perché Dio non ha bisogno di combattere se non con la sua Parola.

Commento spirituale.

I due Inni di questo brano, attraverso il simbolismo delle nozze, mettono in luce la speranza della comunità degli eletti, di unirsi allo Sposo. Ma per cantare il nostro “Alleluia” nelle celeste Gerusalemme, dobbiamo “lavare le nostre vesti rendendole bianche col sangue dell’Agnello”, cioè dobbiamo “purificarci” dai nostri peccati, e se su questa terra, il tempo che Dio ha destinato per la nostra conversione non è stato sufficiente, nell’altra vita continuerà questa purificazione. Questo stato di purificazione, noi lo chiamiamo: “Purgatorio”.
Su questa terra siamo chiamati a conformarci sempre più a Cristo, crescendo nella carità,, orientando al bene tutte le nostre energie, purificandoci dai nostri peccati.
Il tempo del pellegrinaggio terreno ci è dato perché, attraverso i sacramenti, la preghiera, le opere buone e le sofferenze liberamente accettate, possiamo avvicinarci a Dio e prepararci ad accogliere il dono di sé che egli vuol farci nell’eternità.
Ma l’esistenza terrena può non bastare. Chi al termine di essa non è in piena sintonia con il Signore Gesù, dovrà proseguire la propria liberazione dal peccato, per essere “senza macchia né ruga” (Ef 5,27). Tutto in noi deve essere degno della sua compiacenza. Si chiama “Purgatorio” la completa purificazione dal peccato di quanti muoiono in grazia di Dio, ma non sono ancora pronti per la comunione perfetta e definitiva con lui.
Poco prima dell’era cristiana si diffuse nel mondo ebraico l’intercessione per la purificazione dei defunti, rimasti sostanzialmente fedeli all’alleanza ma con qualche incoerenza: Giuda Maccabeo, dopo una battaglia, fa pregare e manda ad offrire un sacrificio al tempio, perché i caduti siano purificati dai peccati, in vista della risurrezione nell’ultimo giorno (2 Macc. 12, 38-45). Gesù stesso sembra alludere a una possibilità di perdono nel secolo futuro (Mt. 5,26; 12,32).
Il Cristianesimo antico, in continuità con la tradizione ebraica, coltiva la pietà verso i defunti: preghiera, elemosina, digiuno e soprattutto celebrazione dell’eucarestia. Col passare dei secoli si sovrappongono credenze popolari e vivaci rappresentazioni riguardanti il luogo, la durata e la natura del Purgatorio. Ma l’insegnamento del magistero ecclesiale, soprattutto nei Concili di Firenze e di Trento, si mantiene estremamente sobrio e si può così riassumere: al termine di questa vita terrena, è concessa ai defunti, che ne hanno ancora bisogno, una purificazione preliminare alla beatitudine celeste, nella quale possono essere aiutati dai suffragi della Chiesa e dei singoli cristiani, soprattutto dalla santa Messa.
Se consideriamo l’infinita santità di Dio, appare del tutto ragionevole che la perfetta comunione con lui in Cristo comporti un rinnovamento assai più esigente di quello che ci è dato osservare ordinariamente nelle stesse persone generose e impegnate. Occorre un risanamento totale.
Appare ragionevole ammettere anche l’efficacia dei suffragi, se la collochiamo nel contesto della socialità dell’uomo, che si attua pienamente nella comunione dei santi. Solo in relazione agli altri si vive e si cresce. Per questo la solidarietà dei credenti e della comunità cristiana ha un potere di intercessione presso Dio per facilitare la purificazione dei defunti.
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francocoladarci
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Re: Interpretazione del libro " Apocalisse"

Messaggioda francocoladarci » ven mar 13, 2009 8:30 pm

Segue:” Caduta di Babilonia; Inni di Trionfo”


CADUTA DI BABILONIA

(Ap. 18, 1-24)
1. Dopo ciò, vidi un altro angelo discendere dal cielo con grande potere e la terra fu illuminata dal suo splendore.
2. Gridò a gran voce: “E’ caduta, è caduta Babilonia la grande ed è diventata covo di demòni, carcere di ogni spirito immondo, carcere d’ogni uccello impuro e aborrito e carcere di ogni bestia immonda e aborrita.
3. Perchè tutte le nazioni hanno bevuto del vino della sua sfrenata prostituzione, i re della terra si sono prostituiti con essa e i mercanti della terra si sono arricchiti del suo lusso sfrenato”.
4. Poi udii un’altra voce dal cielo: “Uscite, popolo mio, da Babilonia per non associarvi ai suoi peccati e non ricevere parte dei suoi flagelli.
5. Perchè i suoi peccati si sono accumulati fino al cielo e Dio si è ricordato delle sue iniquità.
6. Pagàtela con la sua stessa moneta, retribuitele il doppio dei suoi misfatti. Versatele doppia misura nella coppa con cui mesceva.
7. Tutto ciò che ha speso per la sua gloria e il suo lusso, restituiteglielo in tanto tormento e afflizione. Poichè diceva in cuor suo: Io seggo regina, vedova non sono e lutto non vedrò;
8. per questo, in un sol giorno, verranno su di lei questi flagelli: morte, lutto e fame; sarà bruciata dal fuoco, poichè potente Signore è Dio che l’ha condannata”.
9. I re della terra che si sono prostituiti e han vissuto nel fatto con essa piangeranno e si lamenteranno a causa di lei, quando vedranno il fumo del suo incendio,
10. tenendosi a distanza per paura dei suoi tormenti e diranno: “Guai, guai, immensa città, Babilonia, possente città; in un’ora sola è giunta la tua condanna!”
11. anche i mercanti della terra piangono e gemono su di lei, perchè nessuno compera più le loro merci:
12. carichi d’oro, d’argento e di pietre preziose, di perle, di lino, di porpora, di seta e di scarlatto; legni profumati di ogni specie, oggetti d’avorio, di legno, di bronzo, di ferro, di marmo;
13. cinnamòmo, amòmo, profumi, unguento, incenso, vino, olio, fior di farina, frumento, bestiame, greggi, cavalli, cocchi, schiavi e vite umane.
14. “I frutti che ti piacevano tanto, tutto quel lusso e quello splendore sono perduti per te, mai più potranno trovarli”.
15. I mercanti divenuti ricchi per essa, si terranno a distanza per timore dei suoi tormenti; piangendo e gemendo, diranno:
16. “Guai, guai, immensa città, tutta ammantata di bisso, di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pietre preziose e di perle!
17. In un’ora sola è andata dispersa si grande ricchezza!”. Tutti i comandanti di navi e l’intera ciurma, i naviganti e quanti commerciano per mare se ne stanno a distanza,
18. e gridano guardando il fumo del suo incendio: “Quale città fu mai somigliante all’immensa città?”.
19. Gettandosi sul capo la polvere gridano, piangono e gemono: “Guai, guai, immensa città, del cui lusso arricchirono quanti avevano navi sul mare! In un’ora sola fu ridotta a un deserto!
20. Esulta, o cielo, su di essa, e voi, santi, apostoli, profeti, perchè condannando Babilonia Dio vi ha reso giustizia!”.
21. Un angelo possente prese allora una pietra grande come una mola, e la gettò nel mare esclamando: “Con la stessa violenza sarà precipitata Babilonia, la grande città e più non riapparirà.
22. La voce degli arpisti e dei musici, dei flautisti e dei suonatori di tromba, non si udrà più in te; ed ogni artigiano di qualsiasi mestiere non si troverà più in te; e la voce della mola non si udrà più in te;
23. e la luce della lampada non brillerà più in te; e voce di sposo e di sposa non si udrà più in te. Perchè i tuoi mercanti erano i grandi della terra; perchè tutte le nazioni dalle tue malìe furono sedotte.
24. In essa fu trovato il sangue dei profeti e dei santi e di tutti coloro uccisi sulla terra”.

Commento esegetico.

In questa sezione del libro non si parla più di giudizi parziali, ma definitivi. Tuttavia Giovanni sa molto bene che la caduta di Roma non è ancora la fine della storia: restano la bestia e il dragone, che nessuno sa - neppure Giovanni – quante volte torneranno nella storia a incarnarsi. Ma non è il numero delle loro incarnazioni storiche che interessa: ciò che conta è che il loro destino è segnato. Scompariranno come scompare Babilonia.
Il giudizio di Dio sulla “grande città” è descritto principalmente mediante un cantico di lamentazione, cioè attraverso reazioni e commenti di diversi spettatori. Non una narrazione della caduta di Babilonia, ma un coro di commenti e di valutazioni. Intervengono personaggi diversi, celesti e terrestri, e le loro reazioni sono, ovviamente, differenti.
Il primo personaggio è un angelo e annuncia la caduta della città: pone il tema, o il fatto, attorno a cui si sviluppano le reazioni (vv. 1-3).
Il secondo personaggio è ancora un angelo e lancia un avvertimento al popolo di Dio a fuggire dalla città ormai condannata (vv. 4-8).
A questo punto intervengono i re della terra, cioè coloro che avevano tratto profitto dalle stravaganze della potenza, del commercio e dello sfarzo romano (specialmente re, mercanti e marinai). Le loro voci esprimono stupore, paura e lamento (vv. 9-20).
Infine di nuovo un angelo, con un gesto simbolico sigilla per sempre l’annientamento dell’impero (vv. 21-24).
Non c’è nessuna descrizione delle fasi successive della distruzione, perché l’attenzione è rivolta sulle contrastanti reazioni dei pagani e dei cristiani. Espressioni prese dall’A.T. si susseguono continuamente in questo capitolo, esse sono tratte principalmente dai poemi sarcastici composti dai profeti contro le città orgogliose di Babilonia, Tiro e Ninive (Is. 23-24-47; Ger. 50-51; Ez. 26-27). Roma è il simbolo di tutti i peccati e i vizi delle antiche città. Roma è l’incarnazione del concetto giovanneo di “mondo”, che rivendica una struttura e una vitalità indipendenti da Dio. Ma la sventura si abbatterà su di essa “in un attimo” (il ritornello nei vv. 10.17.19), perché il giudizio efficace di Dio la colpirà come un fulmine.
“La terra illuminata dal suo splendore”: tutti gli esseri celesti hanno lo stesso splendore della divina maestà.
“Covo di demoni”: Roma diventerà una terra desolata, come le antiche città condannate da Dio (Is. 34, 11-15), sarà la dimora dei demoni (Baruc 4,35), delle belve (Is. 13,22; Ger. 9,10; 50,39; Sf. 2,14) e degli uccelli immondi (Is. 13,21).
“Tutte le genti hanno bevuto”: un richiamo all’immoralità della città senza Dio (14,8; 17, 2.4 ss.), per evidenziare la giustizia della sua condanna.
“Uscite popolo mio...”: anche gli episodi biblici più antichi insistono sulla separazione dai peccatori: la chiamata di Abramo (Gen. 12,1), la liberazione di Lot (Gen. 19,12 ss.), la ribellione di Datan e Abiram (Num. 16,26). In particolare, quest’ingiunzione fu fatta ad Israele verso la fine dell’esilio (Is. 48,20; 52,11; Ger. 50,8; 51,6.45). Divenne in seguito un elemento tradizionale nell’apocalittica (Mt. 24, 16-20).
Sarebbe un errore interpretare questa pericope come un consiglio alla comunità romana di evacuare la città a un’ora ben stabilita immediatamente prima della distruzione. La “fuga” consiste nel rifiuto a prendere parte ai peccati dei Romani. Paolo ammette che noi siamo incapaci di lasciare il mondo (1 Cor. 5,10), ma ci sollecita a rifuggire da qualsiasi partecipazione alle opere delle tenebre (2 Cor. 6, 14-18).
“Pagatela con la stessa moneta”: la legge del taglione (Es. 21,24 ss.) fu applicata a Babilonia, la persecutrice d’Israele (Ger. 50,29; Sal. 137,8). Il doppio risarcimento (Es. 22, 4.7.9) è già stato riscosso da Gerusalemme (Is. 40,2; Ger. 16,18).
“Io seggo regina”: il peccato principale di Roma e di tutti gli imperi pagani consiste nella asserzione che il loro potere e la loro autorità derivano esclusivamente da se stessi, che con hanno padroni al di sopra di se stessi, e che non riconoscono quindi alcuna legge da cui dipendere.

Lamentazione sulle rovine di Babilonia. (18, 9-19).
Tre gruppi la cui prosperità dipendeva da Roma piangono sul loro destino:
1) “I re della terra” (vv. 9-10).
2) “I mercanti della terra” (vv. 11-17a).
3) “I marinai” (17b-19).
I loro lamenti sono ispirati all’egoismo, perché la prosperità di Roma era la chiave dei loro profitti. L’intero brano, basato su Ez. 26-27 (che si riferisce a Tiro), si richiama alla potenza, alla ricchezza e allo splendore di Roma, e il contrasto rende ancora più tragica la sua fulminea devastazione.
“I re della terra”: (Ez. 26, 16-18). Sono i re alleati e assoggettati (17,2; 18,3).
“I mercanti della terra”: (Ez. 27, 9b-36) sono i più gravemente colpiti dal crollo di Roma.
“Perchè nessuno comprerà”: questa frase mette a nudo la ragione egoistica del lamento dei mercanti (v. 19).
“Le loro merci”: questo impressionante elenco di oggetti di lusso riflette il commercio romano del tempo.
“Legni profumati”: Un legno profumato importato dall’Africa, usato per tavoli da pranzo e opere d’arte. “Frumento”:
“Frumento”: la massima parte del grano che si consumava a Roma era prodotta in Egitto. “Vite umane”: un’espressione presa da Ez. 27,13 e si riferisce agli schiavi - bestiame umano – venduti dai mercanti perché facessero i servi nelle case dei ricchi, o usati come strumenti di piacere nei bordelli e nell’anfiteatro.
“I frutti”: metaforicamente il risultato di una lunga fatica e che si è sul punto di gustare.
“Bisso”: (lino finissimo). I re erano colpiti dalla potenza di Roma (v. 10); i mercanti dalle sue ricchezze (vv. 16 ss.).
“Esulta o cielo”: questo invito alla gioia sarà ripetuto in 19, 1-10.
“Apostoli e profeti”: tra i “santi”, cioè, i martiri, questi sono i principali rappresentanti della Chiesa (1 Cor. 12,28).

Un’azione simbolica segnala la scomparsa di Babilonia (18, 21-24).
“La gettò nel mare”: Il libro di Geremia che annunciava la distruzione di Babilonia era stato legato a una pietra e gettato nell’Eufrate (Ger. 51, 63-64). Proprio come una pietra gettata nel mare scomparirebbe senza lasciar traccia, così Babilonia, vale a dire Roma, sarà annientata (Es. 15,5; Lc. 17,2).
“Non si udrà più”: la distruzione di Babilonia sarà talmente completa che la città non darà più alcun segno di vita. Questo tema della punizione divina, concretizzata nella distruzione totale di una città dominata dalla colpa, era già stato applicato a Gerusalemme (Is. 24,8; Ger. 7,34, 16,9), a Babilonia (Ger. 25,10), e specialmente a Tiro (Ez. 26,13).
“Voce di sposo”: cfr. Ger. 7,34; 16,9; 25,10; 33,10 ss.; Baruc 2,23.
“Perché i tuoi mercanti”: il punto dell’accusa è probabilmente il fatto che Roma aveva abusato della sua potenza commerciale, servendosene per propagare i suoi falsi modelli di vita.
“Tue malìe”: (pratiche magiche, incantesimi), cfr. Is. 47,12. Roma aveva ammaliato e contaminato il mondo con i suoi vizi e la sua idolatria (21,8; 22,15). Questo passo potrebbe essere un’allusione alla pratica romana della magia nera.
“Fu trovato il sangue”: la colpa di Roma viene ricordata ancora una volta. Ciò che Giovanni ha in mente sono probabilmente i massacri del 64 d.C. e del regno di Domiziano. Cristo lanciò un’accusa analoga contro Gerusalemme (Mt. 23,34; Mt. 27,25).
“Furono uccisi sulla terra”: essi furono sgozzati come l’Agnello (5,12).

In sintesi: alla morte di Gesù i Giudei avevano riecheggiato le parole di Dio a Caino: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli”. L’Inferno è proprio l’Amore di Dio rifiutato che diventa maledizione per libera scelta dell’uomo. L’Inferno è eterno perché il peccato è eterno.

Commento spirituale.

La caduta di Babilonia, richiama una data della nostra storia recente, 1989, forse passata inosservata: è la caduta del “muro” di Berlino, e il crollo dell’ideologia comunista in tutti i Paesi dell’Est. Il Concilio chiama questa lettura critica della storia “segni dei tempi” (Concilio Vatticano II, Gaudium et spes, 4).
I segni dei tempi sono i germi del regno di Dio che crescono nella storia, gli eventi in cui si manifesta la divina Provvidenza.
Il mondo, distinto e dipendente da Dio, è storia protesa al compimento in lui. Quanto di buono cresce nella storia fiorisce nell’eternità. Tutto è prezioso, anche “un bicchiere d’acqua fresca” (Mt. 10,42) dato con amore.
In quanto preparazione e anticipo del Regno, la storia è il luogo dove agisce la Provvidenza divina e di questa azione è possibile discernere i segni indicatori: “Quando si fa sera, voi dite: bel tempo, perché il cielo rosseggia; e al mattino: oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi?”(Mt. 16, 2-3). I segni, ai quali Gesù fa riferimento, sono la sua stessa presenza, la sua predicazione e le sue opere. Ne preannuncia altri in un prossimo futuro: la rovina di Gerusalemme e la diffusione del vangelo attraverso la Chiesa (Mt. 24, 1-36).
I segni pubblici e non ambigui si riducono in definitiva a uno solo: Cristo annunciato e testimoniato dalla Chiesa. In base a questo criterio occorre operare il discernimento riguardo a tutte le altre realtà storiche, per evitare di confondere i germi del regno con le linee di tendenza prevalenti in una determinata epoca. Altrimenti il discorso sui segni dei tempi si ridurrebbe a un’ideologia, per giustificare l’adeguamento al mondo e benedire ogni presunto progresso. La Chiesa deve orientare la storia non andarne a rimorchio. Insieme al grano cresce ancora la zizzania (Mt. 13, 24-30); Cristo combatte ancora contro le potenze ostili (1 Cor. 15, 24-25).
D’altra parte, se Dio creatore e redentore agisce nella storia e in lui “viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At. 17,28), bisogna ritenere che “tutto quello che è vero, nobile, giusto” (Fil. 4,8) deriva da lui e manifesta le ricchezze del mistero di Cristo.
Procedendo secondo queste indicazioni, è possibile individuare i segni della Provvidenza nel nostro tempo. Il Concilio Vaticano II considera tali il rinnovamento della liturgia (Conc. Vat. II, Sacrosantum Concilium, 43), l’ecumenismo (Conc. Vat. II, Unitatis Redintegratio, 4), il riconoscimento del diritto alla libertà di religione (Conc. Vat. II, Dignitatis Humanae, 15), il crescente senso di solidarietà tra tutti i popoli (Conc. Vat. II, Apostolicam Actuositatem, 14). Ovviamente se ne potrebbero addurre molti altri.
Ciò che è dono della Provvidenza è anche frutto della libera cooperazione dell’uomo che contribuisce a preparare il futuro e a disegnarne la figura: “L’attesa di una terra nuova non deve indebolire, ma piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova, che già riesce a offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo” (Conc. Vat. II, Gaudium et Spes, 39). Se i contenuti tecnici, economici e politici del progresso appartengono alla figura di questo mondo che passa, invece i beni morali, in essi incorporati, sono destinati ad essere assunti e perfezionati: “Non sappiamo il modo con cui sarà trasformato l’universo”; ma resterà “la carità con i suoi frutti” e ritroveremo “purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati” i valori che avevamo diffuso nel mondo, “quali la dignità dell’uomo, la fraternità e la libertà”.
La speranza cristiana non fa concorrenza alle speranze terrene autentiche, anzi risveglia e mette a loro disposizione preziose energie. A chi cerca la salvezza eterna, i beni storici sono dati in aggiunta” (Mt. 6,33).
INNI DI TRIONFO

(Ap. 19, 1-21)
1. Dopo ciò, udii come una voce potente di una folla immensa nel cielo che diceva: “Alleluia! Salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio;
2. Perchè veri e giusti sono i suoi giudizi, egli ha condannato la grande meretrice che corrompeva la terra con la sua prostituzione, vendicando su di lei il sangue dei suoi servi!”.
3. E per la seconda volta dissero: “Alleluia! Il suo fumo sale nei secoli dei secoli!”.
4. Allora i ventiquattro vegliardi e i quattro esseri viventi si prostrarono e adorarono Dio, seduto sul trono, dicendo: “Amen, alleluia”.
5. Partì dal trono una voce che diceva: “Lodate il nostro Dio, tutti voi suoi servi, voi che lo temete, piccoli e grandi!”.
6. Udii poi come una voce di una immensa folla simile a fragore di grandi acque e a rombo di tuoni possenti, che gridavano. “Alleluia. Ha preso possesso del suo regno il Signore, il nostro Dio, l’Onnipotente.
7. Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria, perchè son giunte le nozze dell’Agnello; la sua sposa è pronta,
8. le hanno dato una veste di lino puro splendente”. La veste di lino sono le opere giuste dei santi.
9. Allora l’angelo mi disse: “Scrivi: Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell’Agnello!”. Poi aggiunse: “Queste sono parole veraci di Dio”.
10. Allora mi prostrai ai suoi piedi per adorarlo, ma egli mi disse: “Non farlo! Io sono servo come te e i tuoi fratelli, che custodiscono la testimonianza di Gesù. E’ Dio che devi adorare”. La testimonianza di Gesù è lo spirito di profezia.
11. Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava “Fedele” e “Verace”: egli giudica e combatte con giustizia.
12. I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; porta scritto un nome che nessuno conosce all’infuori di lui.
13. E’ avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è Verbo di Dio.
14. Gli eserciti del cielo lo seguono su cavalli bianchi, vestiti di lino bianco e puro.
15. Dalla bocca gli esce una spada affilata per colpire con essa le genti. Egli le governerà con scettro di ferro e pigerà nel tino il vino dell’ira furiosa del Dio onnipotente.
16. Un nome porta scritto sul mantello e sul femore: Re dei re e Signore dei signori.
17. Vidi poi un angelo, ritto sul sole, che gridava a gran voce a tutti gli uccelli che volano in mezzo al cielo:
18. “Venite, radunatevi al grande banchetto di Dio. Mangiate le carni dei re, le carni dei capitani, le carni degli eroi, le carni dei cavalli e dei cavalieri e le carni di tutti gli uomini, liberi e schiavi, piccoli e grandi”.
19. Vidi allora la bestia e i re della terra con i loro eserciti radunati per muover guerra contro colui che era seduto sul cavallo e contro il suo esercito.
20. Ma la bestia fu catturata e con essa il falso profeta che alla sua presenza aveva operato quei portenti con i quali aveva sedotto quanti avevan ricevuto il marchio della bestia e ne avevano adorato la statua. Ambedue furono gettati vivi nello stagno di fuoco, ardente di zolfo.
21. Tutti gli altri furono uccisi dalla spada che usciva di bocca al Cavaliere; e tutti gli uccelli si saziarono delle loro carni.

Commento esegetico.

Questa visione è strettamente legata e contrapposta (“dopo ciò”) alla precedente: là la costernata reazione del mondo (re, mercanti e marinai) di fronte alla caduta di Babilonia, qui la reazione del cielo e dei suoi abitanti (angeli, martiri e santi) che partecipano con passione alle vicende terrene e reagiscono di fronte a tutto ciò che succede. La comunità non deve sentirsi sola.
Il presente brano contiene due inni; il primo è cantato dagli angeli e celebra la giustizia di Dio manifestatasi nella punizione di Babilonia considerata ormai come un dato di fatto (vv. 1-4); il secondo, cantato dall’intera Chiesa, ci permette di intravedere le nozze dell’Agnello come una speranza più immediata. Queste nozze simboleggiano l’unione del Messia con la comunità degli eletti.
“Alleluia”: il fatto che questa esclamazione di lode (“lodate Jahwè”) sia frequente nei salmi attesta la sua importanza nella liturgia giudaica. Nel N.T. si trova solo in questo brano, dove è però ripetuta quattro volte; dev’essere pertanto già stata in uso nella liturgia cristiana.
“Veri e giusti”: il resto di questo versetto ricorda i due principali delitti della “grande meretrice” (17, 1-5) che motivarono la divina condanna: l’idolatria e la persecuzione.
Corrompeva la terra”: per mezzo dell’idolatria (11,18; 14,8; 17,2.5; 18,3.
“Il sangue dei suoi servi”: i santi e i profeti (18,24), la totalità della Chiesa e i suoi capi. La persecuzione dei cristiani contrassegna il massimo vertice dell’iniquità di Babilonia.
“I vegliardi”: come nelle precedenti scene di liturgia celeste (4, 8-11; 5, 8.14), gli esseri viventi e i vegliardi, che rappresentano l’universo fisico e la Chiesa, si associano alle lodi angeliche (11, 15-18).
Voi tutti suoi servi”: vale a dire, l’intera Chiesa. Essa unisce il suo cantico di lode a quello degli angeli (vv. 5-8).
“Alleluia”: (v. 6) il tema dell’inno della Chiesa è identico a quello degli angeli, ma mentre il canto di questi sottolineava l’aspetto negativo - la punizione e la distruzione di Babilonia – quest’inno tratta della restaurazione del regno di Dio (11,15.17; Sal. 97,1).
“Rallegriamoci ed esultiamo”: Mt. 5,12; Lc. 6,23; Sal. 98,4; 117,24.
“Sono giunte le nozze dell’Agnello”: questo motivo, che include l’esultanza della Chiesa, è un’anticipazione della visione conclusiva del libro (20, 11-22,5). Il tema del matrimonio che unisce Dio al suo popolo era già ben radicato nell’A.T. (Os. 1, 1-23; Is. 54, 4-8; Ez. 16,7 ss.); nel N.T. l’immagine è utilizzata per esprimere l’unione vitale tra Cristo e la sua Chiesa (Mt. 22, 1-14; Mc. 2,19, Gv. 3,29; 2 Cor. 11,2; Ef. 5, 23-32). Il simbolo esprime l’unione intima e indissolubile con la comunità che Cristo si è acquistata con il suo sangue (1,5; 5,6.9; 7,14; 14, 3-4). Nell’Apocalisse la Chiesa è presentata contemporaneamente come madre (12,1 ss.) e come sposa, ma la sua rivale è condannata come meretrice (17,1 ss.).
“Lino puro splendente”: questa stoffa semplice, leggera, e tuttavia di gran pregio contrasta con l’abbigliamento sfarzoso e scintillante della meretrice (17,4; 18,16). Nessuno è ammesso allo sposalizio se non indossa questo abito (Mt. 22, 11-13), lavato nel sangue dell’Agnello (7,9.14).
“Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell’Agnello”: non è più semplicemente una questione di riposo (14,13), ma di piena partecipazione al banchetto messianico (Is. 25,6, Mt. 8,11). Gli invitati sono i fedeli compagni dell’Agnello (14,4; 17,14).
“Queste sono parole veraci”: si riferiscono alle ultime rivelazioni (17, 1-19,9). L’immutabilità delle parole di Dio sarà riaffermata (21,5; 22,6).
“Per adorarlo”: il veggente è tentato di identificare il messaggero che trasmette queste rivelazioni, con Dio. L’angelo glielo impedisce, rammentandogli che Dio solamente è degno di adorazione (15,3 ss.; Deut. 6,13). La ripetizione di questa scena in 22, 8-9 sembra essere una forte reazione contro il culto eccessivo che veniva prestato agli angeli. Gli ammonimenti di Col. 2,18; Eb. 1,13 ss.; 2,5 e la testimonianza della Chiesa primitiva sembrano provare che un simile culto esagerato degli angeli si era infatti sviluppato nelle Chiese dell’Asia.
“Io sono un servo come te”: la missione dell’angelo, del tutto simile a quella dei profeti, è di comunicare la rivelazione di Dio. Per questa ragione si annovera nel gruppo dei profeti e si dà l’appellativo, come essi, di servo di Dio (1,1; 10,7; 11,18; 22,6.9).
“La testimonianza di Gesù è lo spirito della sua profezia”: questa difficile espressione sembra significare che la parola di Dio, in quanto rivelata e attestata da Gesù (1,2; 20,4), continua ad essere udita nella Chiesa, grazie all’azione dello Spirito (Gv. 14,26; 16,13 ss.) che parla attraverso le labbra dei profeti.

La venuta di Cristo e il compimento della storia (19, 11-22,5).
Quasi tutti gli elementi di questa scena trionfale sono stati presi dai capitoli precedenti (12,5; 14, 6-20; 16, 13-16; 17,14).
Nella tradizione apocalittica, la restaurazione del regno di Dio sarebbe stata preceduta da una violenta battaglia in cui il Messia avrebbe trionfato sopra le potenze del male (2 Esdra 13; Sal. 17, 23-27; Ez. 38 ss.; Gioele 4, 1-3.15-17; Zc 12,14).
All’inizio del presente brano Cristo appare come giudice e guerriero. Le tre immagini della “spada affilata”, della “verga di ferro” e del “tino dell’ira di Dio” indicano che egli viene per giudicare. Non è più il bambino che deve fuggire di fronte al dragone (12,5), ma il cavaliere che affronta il drago e lo abbatte. Nella sua prima venuta ha percorso la via della Croce, nella sua seconda venuta percorrerà la via della vittoria. Non due vie contrapposte però, la seconda non farà che mostrare ciò che la prima nascondeva. Si tratta sempre, infatti, di una vittoria legata alla Croce, come sembra indicare l'immagine del "mantello intriso di sangue”: nella visione di Isaia era il sangue di nemici.
Giovanni intende attirare l’attenzione sull’identità del cavaliere vincitore e per questo costruisce attorno al suo nome una sorta di contrasto. Per un verso il suo nome rimane nascosto, per un altro è svelato. Il mistero di Cristo rimane incomprensibile come il mistero di Dio, irraggiungibile nella sua profondità: tuttavia molto di Lui ci è dato conoscere. Egli è la “vivente garanzia” che Dio è fedele alle sue promesse (“si chiama Fedele e Verace”); è certo che i suoi disegni si realizzano sempre: di questo il Cristo (con la sua morte e risurrezione) è la garanzia.
“Cavallo bianco”: simbolo di vittoria.
“Fedele e verace”: questi due titoli sono qui rievocati (1,5; 3,7.14) perché Cristo sta compiendo la sua promessa di combattere e giudicare i nemici di Dio (1 Cor. 15, 24-28).
“Con giustizia”: la giustizia è una nota caratteristica del Messia (Is. 11, 3-4; Sal. 96,13; Atti 17,31).
“I suoi occhi”: simboli della perfetta conoscenza di Cristo giudice della Chiesa e del mondo.
“Molti diademi”: Egli è, infatti, il re dei re (v. 16). I suoi diademi contrastano con quelli del dragone (12,3) e della bestia (13,1).
“Scritto un nome”: nel mondo semitico, il nome di una persona corrispondeva alla sua essenza; pertanto, dato che Cristo è un essere divino, il suo nome trascende ogni umana conoscenza (Mt. 11,27). Il cristiano, avendo parte all’essere di Cristo, riceve un nome ineffabile, da non potersi esprimere a parole (2,17; 3,12; cfr. Gen. 32,29; Gdc. 13,18).
“Mantello intriso di sangue”: Giovanni applica al Messia ciò che era stato detto di Dio (Is. 63, 1-3). Il sangue non è quello di Cristo, ma quello dei suoi nemici (v.15), perché tutto il contesto verte sul giudizio più che sulla redenzione..
“Il suo nome è Verbo di Dio”: questo nome è il perno attorno a cui ruota tutta l’Apocalisse. E’ la Parola, infatti, che rivela il piano di Dio nella storia (apre i 7 sigilli), è la Parola che annuncia il messaggio di salvezza (le 7 trombe), è la Parola che, rifiutata, diventa il “boomerang” più esplosivo con i 7 flagelli.
“Gli eserciti del cielo”: il Messia era comunemente raffigurato accompagnato dai suoi angeli al momento della parusìa (Mc. 8,23; 13,27; 2 Tess. 1, 7-8). Gli angeli, che furono al servizio di Cristo durante la sua vita terrena (Mt. 4,11), saranno con lui anche nel giorno della sua esaltazione (Mt. 13,41 ss.; 16,27). Nel nostro contesto, tuttavia, gli eserciti sono i martiri (17,14), con le loro caratteristiche vesti bianche (3,5; 6,11; 19,8).
I prossimi tre elementi specificano lo scopo della venuta di Cristo.
“Dalla bocca...”: questa è la parola con cui i decreti fatali di Dio saranno attuati contro i suoi nemici (2 Tess. 2,8).
“Verga di ferro”: Cfr. 2,27; 12,5; Sal. 2,9; Is. 11,4. Il Messia è qui rappresentato nel suo ruolo di guerriero.
“Il tino del vino”: 14, 8-10.19 ss.: è il segno della collera di Dio.
“Un nome scritto sul mantello”: diversamente dalla bestia che è ricoperta di nomi blasfemi (17,3), Cristo mostra apertamente il titolo attribuitogli da Dio: “Re dei re”, e “Signore dei signori”. Il primo titolo è riservato a Dio nell’A.T. (Deut. 10,17; cfr. 1 Tim. 6,15); significa che la gloria di Cristo domina tutta la creazione (Fil. 2, 9-11).
“Mangiate le carni...”: l’esito della battaglia è talmente certo che vengono convocati in anticipo gli uccelli rapaci affinché si cibino dei cadaveri di tutti i nemici di Dio (6, 15-17). Questo macabro banchetto sembra essere una controparte del banchetto nuziale dell’Agnello (19,9).
“Il falso profeta”: Cfr. 13, 11-18.
“Uno stagno di fuoco”: indica la dannazione eterna (14,10 ss.; 20,10.14 ss.; 21,8). “Ardente di zolfo”: un’allusione a Sodoma e Gomorra (Gen. 19,24; cfr. Ez. 38,22).
“Tutti gli altri furono uccisi”: i re della terra (v.19) e le loro genti, cioè, i re dei popoli pagani di cui si è parlato in 17, 12-14. Sono tutti abbattuti dalla spada di Cristo, in seguito essi verranno gettati nello stagno del fuoco (20,15).

In sintesi: l’immagine del banchetto (di cui l’Eucarestia è anticipo reale) risponde al bisogno di vivere; l’immagine delle nozze risponde al bisogno di amare e di essere amati. L’Agnello-Gesù sazia per l’eternità e in modo assoluto questi due bisogni fondamentali dell’uomo. La Bestia che comandava gli avversari di Dio, i re della terra al suo servizio e gli eserciti potenti al suo seguito sono disfatti: non c’è stata vera battaglia perché Dio non ha bisogno di combattere se non con la sua Parola.

Commento spirituale.

I due Inni di questo brano, attraverso il simbolismo delle nozze, mettono in luce la speranza della comunità degli eletti, di unirsi allo Sposo. Ma per cantare il nostro “Alleluia” nelle celeste Gerusalemme, dobbiamo “lavare le nostre vesti rendendole bianche col sangue dell’Agnello”, cioè dobbiamo “purificarci” dai nostri peccati, e se su questa terra, il tempo che Dio ha destinato per la nostra conversione non è stato sufficiente, nell’altra vita continuerà questa purificazione. Questo stato di purificazione, noi lo chiamiamo: “Purgatorio”.
Su questa terra siamo chiamati a conformarci sempre più a Cristo, crescendo nella carità,, orientando al bene tutte le nostre energie, purificandoci dai nostri peccati.
Il tempo del pellegrinaggio terreno ci è dato perché, attraverso i sacramenti, la preghiera, le opere buone e le sofferenze liberamente accettate, possiamo avvicinarci a Dio e prepararci ad accogliere il dono di sé che egli vuol farci nell’eternità.
Ma l’esistenza terrena può non bastare. Chi al termine di essa non è in piena sintonia con il Signore Gesù, dovrà proseguire la propria liberazione dal peccato, per essere “senza macchia né ruga” (Ef 5,27). Tutto in noi deve essere degno della sua compiacenza. Si chiama “Purgatorio” la completa purificazione dal peccato di quanti muoiono in grazia di Dio, ma non sono ancora pronti per la comunione perfetta e definitiva con lui.
Poco prima dell’era cristiana si diffuse nel mondo ebraico l’intercessione per la purificazione dei defunti, rimasti sostanzialmente fedeli all’alleanza ma con qualche incoerenza: Giuda Maccabeo, dopo una battaglia, fa pregare e manda ad offrire un sacrificio al tempio, perché i caduti siano purificati dai peccati, in vista della risurrezione nell’ultimo giorno (2 Macc. 12, 38-45). Gesù stesso sembra alludere a una possibilità di perdono nel secolo futuro (Mt. 5,26; 12,32).
Il Cristianesimo antico, in continuità con la tradizione ebraica, coltiva la pietà verso i defunti: preghiera, elemosina, digiuno e soprattutto celebrazione dell’eucarestia. Col passare dei secoli si sovrappongono credenze popolari e vivaci rappresentazioni riguardanti il luogo, la durata e la natura del Purgatorio. Ma l’insegnamento del magistero ecclesiale, soprattutto nei Concili di Firenze e di Trento, si mantiene estremamente sobrio e si può così riassumere: al termine di questa vita terrena, è concessa ai defunti, che ne hanno ancora bisogno, una purificazione preliminare alla beatitudine celeste, nella quale possono essere aiutati dai suffragi della Chiesa e dei singoli cristiani, soprattutto dalla santa Messa.
Se consideriamo l’infinita santità di Dio, appare del tutto ragionevole che la perfetta comunione con lui in Cristo comporti un rinnovamento assai più esigente di quello che ci è dato osservare ordinariamente nelle stesse persone generose e impegnate. Occorre un risanamento totale.
Appare ragionevole ammettere anche l’efficacia dei suffragi, se la collochiamo nel contesto della socialità dell’uomo, che si attua pienamente nella comunione dei santi. Solo in relazione agli altri si vive e si cresce. Per questo la solidarietà dei credenti e della comunità cristiana ha un potere di intercessione presso Dio per facilitare la purificazione dei defunti.
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francocoladarci
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Re: Interpretazione del libro " Apocalisse"

Messaggioda francocoladarci » mer mar 18, 2009 8:02 pm

Segue: " Il Regno dei Mille Anni; La Gerusalemme Celeste"


IL REGNO DEI MILLE ANNI

(Ap. 20, 1-15)
1. Vidi poi un angelo che scendeva dal cielo con la chiave dell’Abisso e una gran catena in mano.
2. Afferrò il dragone, il serpente antico – cioè il diavolo, satana – e lo incatenò per mille anni;
3. lo gettò nell’Abisso, ve lo rinchiuse e ne sigillò la porta sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni. Dopo questi dovrà essere sciolto per un pò di tempo.
4. Poi vidi alcuni troni e a quelli che vi si sedettero fu dato il potere di giudicare. Vidi anche le anime dei decapitati a causa della testimonianza di Gesù e della parola di Dio, e quanti non avevano adorato la bestia e la sua statua e non ne avevano ricevuto il marchio sulla fronte e sulla mano. Essi ripresero vita e regnarono con Cristo per mille anni;
5. gli altri morti invece non tornarono in vita fino al compimento dei mille anni. Questa è la prima risurrezione.
6. Beati e santi coloro che prendono parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte, ma saranno sacerdoti di Dio e del Cristo e regneranno con lui per mille anni.
7. Quando i mille anni saranno compiuti, satana verrà liberato dal suo carcere
8. e uscirà per sedurre le nazioni ai quattro punti della terra, Gog e Magòg, per adunarli per la guerra: il loro numero sarà come la sabbia del mare.
9. Marciarono su tutta la superficie della terra e cinsero d’assedio l’accampamento dei santi e la città diletta. Ma un fuoco scese dal cielo e li divorò.
10. E il diavolo, che li aveva sedotti, fu gettato nello stagno di fuoco e zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta: saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli.
11. Vidi poi un grande trono bianco e Colui che sedeva su di esso. Dalla sua presenza erano scomparsi la terra e il cielo senza lasciar traccia di sé.
12. Poi vidi i morti, grandi e piccoli, ritti davanti al trono. Furono aperti libri. Fu aperto anche un altro libro, quello della vita. I morti vennero giudicati in base a ciò che era scritto in quei libri, ciascuno secondo le sue opere.
13. Il mare restituì i morti che esso custodiva e la morte e gli Inferi resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le sue opere.
14. Poi la morte e gli Inferi furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte, lo stagno di fuoco.
15. E chi non era scritto nel libro della vita fu gettato nello stagno di fuoco.

Commento esegetico.

Questo capitolo presenta tre visioni:
1) l’angelo che incatena il dragone,
2) i martiri che insieme a Cristo regnano per mille anni,
3) il grande trono di Dio e il giudizio finale.
Le tre visioni sono disposte in modo da formare una storia: una storia iniziata (il dragone incarcerato), interrotta (la visione dei giusti), e poi ripresa e conclusa (il dragone di nuovo libero per poco tempo e poi definitivamente precipitato nello stagno di fuoco).
La vicenda del dragone, che costituisce la trama principale, si svolge in tre tempi (- imprigionato per la durata di mille anni - un breve momento di libertà - la sconfitta definitiva).
Satana è ridotto all’impotenza per mille anni, nei quali regnano i martiri (vv. 4-6). Poi si rivolterà di nuovo (vv. 7-10), prima che le sue forze armate siano definitivamente sconfitte (vv. 14-15).
L’intuizione che Giovanni vuole comunicarci è che Cristo ha già sconfitto satana, tuttavia il diavolo è ancora attivo e temibile, ma per poco.
Nelle correnti apocalittiche del tardo giudaismo, s’era andata sempre più affermando l’idea che tutta la storia del mondo fosse suddivisa sul modello dei sei giorni della creazione. Mediante l’associazione di Gen. 1, 1-2,4 (il racconto dei sette giorni della creazione) con il Salmo 90,4 (“Mille anni ai tuoi occhi sono come il giorno di ieri che è passato”) (cfr. 2 Pt. 3,8), si concludeva che ogni giorno occupasse lo spazio di mille anni. La storia mondiale veniva così pensata sullo schema di sei millenni (6x1000, cioè i 6 giorni della creazione e i mille anni per ogni giorno della creazione). Questi sei millenni erano destinati a concludersi nel settimo giorno: il grande ed eterno sabato. Il santo giorno del sabato, poi, era considerato il regno messianico, che (preceduto da un temporaneo imprigionamento di satana), non avrebbe avuto termine; questa salvezza finale, però, veniva considerata in termini terrestri.
Il nostro testo fa riferimento a questa escatologia giudaica, che nel I sec. a.C. e in quello seguente, si scisse in due principali tendenze.
1) Alcuni sostenevano che il mondo è troppo corrotto per essere il teatro della costituzione del regno messianico e ritenevano che il compimento delle promesse avvenisse in un mondo completamente nuovo, che avrebbe avuto inizio con il giudizio universale.
2) Altri si attenevano all’idea di un regno messianico terreno e nazionale, con la durata limitata (le opinioni variavano tra i 40 e i 7.000 anni), concepito come una specie di fase intermedia tra l’èra presente e il regno eterno di Dio. Ap. 20, 1-6 fa uso di certi elementi di questa seconda teoria, senza, tuttavia, includere necessariamente il concetto di un regno terrestre di Cristo. Tutto il materiale utilizzato da Giovanni è convogliato verso il suo scopo generale: infondere coraggio nei martiri del suo tempo. Un lungo periodo (1.000 anni) di felicità seguirà la breve persecuzione (3 anni e mezzo, Ap. 11,2; 12,6, 13,5), ma in nessun passo si dice che i martiri regneranno con Cristo “sulla terra”. In contrasto con la nozione giudaica, il ruolo del Messia non è limitato al regno intermedio; Cristo è, con Dio, al centro del regno eterno (21,22 ss.; 22, 1- 3).
Un regno intermedio di Cristo sembra un concetto del tutto estraneo al N.T.; nessuno dei testi proposti fa riferimento al tema del regno intermedio (Mt. 19,28; 1 Cor. 6,2 ss.; 15,24; 2 Tim 2,12).
Questo millenarismo letterale, non ha mai avuto il favore della Chiesa.
Qual è il significato di questa utilizzazione giovannea dell’escatologia giudaica? Tra le molte interpretazioni della pericope, quella di S. Agostino è stata l’interpretazione che ha ricevuto più consensi: i mille anni simboleggiano l’intera storia della Chiesa, militante e trionfante (cioè la Chiesa sulla terra e quella del cielo), dalla risurrezione di Cristo alla sua venuta definitiva (la parusìa). La “prima risurrezione” (Ap. 20, 4b.5.6) si riferisce al passaggio dalla morte del peccato alla vita nella fede. Tuttavia, la questione non riguarda tutti i cristiani, ma solo i martiri: essi hanno già sperimentato tale risurrezione morale prima della loro morte fisica.
Recentemente molti esegeti cattolici, hanno visto una certa relazione tra Ap. 20 1-6 ed Ez. 37 1-14. Sia Giovanni che Ezechiele hanno in mente la risurrezione corporea dei martiri, ma qui la risurrezione è simbolo del risultato positivo del loro sacrificio: il rinnovamento della Chiesa dopo il periodo della persecuzione; il regno di Cristo e dei suoi martiri in cielo sarà manifestato sulla terra dall’espansione della Chiesa. Sembra chiaro che ciò a cui si riferisce qui Giovanni è un evento escatologico riguardante i martiri. Un evento, senza dubbio, simboleggiante una speciale felicità celeste riservata ai martiri, e tuttavia avente un effetto salutare per l’intera Chiesa sulla terra.
“La chiave dell’Abisso”: cfr. 9, 1-11.
“Afferrò il dragone”: una delle speranze dell’apocalittica era che Dio avrebbe incatenato le potenze infernali e le avrebbe ridotte all’impotenza. Satana è già stato cacciato dal cielo (12,9); qui è cacciato anche dalla terra e relegato alla sua connaturale sfera d’influenza.
“Lo incatenò per mille anni”: questo numero rientra nel quadro della simbologia apocalittica, come abbiamo già ricordato, e designa un periodo di tempo piuttosto prolungato. In questo tempo dei “mille anni” i “martiri”, che hanno dato la vita per Cristo e con lui hanno vinto Satana, “regneranno con lui per mille anni” (20,7). Fin dalla Chiesa antica qualcuno (Giustino, Ireneo, Tertulliano) ha interpretato questo brano in senso letterale: e cioè dopo una prima risurrezione reale, quella dei martiri, il Cristo ritornerebbe davvero sulla terra per un regno “millenario”, sereno e pacifico, in compagnia dei suoi fedeli. E’ il cosiddetto “millenarismo”, che oggi è portato avanti da certe sette (Anabbattisti, Avventisti, Testimoni di Geova) e riemerge un pò anche nella coscienza collettiva, fatta di attesa e di angoscia, allo scoccare dei vari millenni. Si pensi alle attese “deluse” dell’anno Mille: e anche a certe avvisaglie di trepidazione e di paura alle soglie ormai imminenti del Duemila.
Proprio a motivo delle delusioni del passato e soprattutto a motivo del linguaggio simbolico del genere apocalittico, fra gli studiosi moderni prevale l’interpretazione simbolica, anticipata in qualche misura da S. Agostino: prendendo spunto dalla persecuzione dei cristiani da parte di Roma, l’autore ne prevederebbe la fine e annuncerebbe un periodo piuttosto esteso di tranquillità della Chiesa o, comunque, di maggiore rinvigorimento e di resistenza alle forze del male. In ultima analisi, i “mille anni” designerebbe la fase terrestre del regno di Dio, rappresentata dalla Chiesa, fino alla venuta finale del Cristo, che nessuno sa quando ritornerà: è allora che Satana tenterà di nuovo il suo ultimo attacco (“dovrà essere sciolto per un pò di tempo”: 20,3.7), prima di essere definitivamente sconfitto (20,10).
“Perché non potesse sedurre”: la vitalità malefica di satana è tale che egli riprenderà la sua attività alla fine dei mille anni (20, 8-10). Per questo motivo il testo non tratta primariamente della punizione di satana, ma piuttosto delle misure preventive adottate in favore dei cristiani.
“Poi vidi alcuni troni...”: questa nuova visione completa quella precedente: inserisce un fattore positivo per dare un’idea più completa dell’espulsione di satana.
“Vidi anche le anime dei dacapitati”: i martiri che avevano gridato vendetta (6,9) e sono stati esauditi (19,2).
“Quanti non avevano adorato la bestia”: coloro che si sono rifiutati di concedersi alla bestia (13,15; 14, 9-11; 16,2, 19,20) sono associati ai martiri.
“La prima risurrezione”: “Prima” e “seconda” sono a volte usate per distinguere la realtà del presente da quella escatologica: la prima e la seconda morte (2,11; 20,6.14, 21,8); il primo cielo e la prima terra (21,1). ). Qui “prima risurrezione” si riferisce al passaggio dal peccato alla grazia.
“Sacerdoti di Dio”: sacerdozio e regalità sono elementi complementari nel servizio di Dio (22,3.5).
“Quando i mille anni saranno compiuti”: dopo i mille anni, la storia umana è andata avanti, e la rabbia di satana, dovuta al suo lungo imprigionamento, può essere paragonata allo stesso furore con cui egli scatenò la persecuzione contro la Chiesa dopo la sua espulsione dal cielo (12,13).
“Quattro punti della terra”: la terra è descritta come una piazza con quattro angoli (7,1; Ez. 7,2).
“Gog e Magog”: la profezia di Ez. 38-39 era spesso ampliata dall’apocalittica giudaica. Gog e Magog (sinonimi di popoli ostili ad Israele), dovevano sferrare un attacco contro il popolo di Dio dopo il regno messianico.
“Marciarono su tutta la terra”: il luogo dove la Chiesa è riunita appare al veggente come una nuova terra d’Israele, con Gerusalemme sua capitale. Alla maniera di molti popoli antichi, i giudei consideravano la loro capitale il centro dell’universo (Ez. 38, 12-16).
“L’accampamento dei santi e la città diletta”: l’immagine dell’accampamento richiama alla mente le peregrinazioni d’Israele nel deserto (Num. 2,2ss.). La città è Gerusalemme, simbolo della Chiesa universale; è diletta da Dio (Sal. 78,68; 87, 1-3) perché Cristo regna in essa.
“Un fuoco scese dal cielo”: immagine tradizionale che simboleggia gli splendidi interventi di Dio contro i nemici del suo popolo (Gen. 19,24; Ez. 38,22, 39,6; 1 Re 1, 10-12; Lc. 9,54).
“Dove sono la bestia e il falso profeta”: con l’espulsione finale di satana non rimane più alcun ostacolo alla costituzione definitiva del regno di Dio su una nuova terra.
“Vidi poi...” : dopo il regno intermedio di Cristo ci sarà la risurrezione dei morti e il giudizio finale che segneranno la fine di questo mondo e l’inizio di una nuova èra. La pericope si conforma al modello escatologico degli altri scritti apocalittici.
“Un grande trono bianco”: questo unico trono, diversamente da quelli menzionati in 20,4 (cfr. Dan. 7,9), simboleggia l’assoluta sovranità di Dio; nulla può opporsi alla sua volontà. Il nome del giudice viene taciuto, forse per rispetto (4,2), forse per sottolineare la solennità della circostanza; ma nell’Ap. “colui che siede sul trono” è sempre Dio (4, 2-9; 5,1.7.13; 6,16; 7,10; 19,4; 21,5). In altri passi del N.T. il giudice può essere o Dio stesso (Mt. 18,35, Rom. 14,10), o Cristo, che esercita il giudizio nel nome di Dio (Mt. 16,27, 25, 31-46, Gv. 5,22; Atti 10,42; 17,31; 2 Cor. 5,10).
“Erano scomparsi la terra e il cielo”: la creazione presente sta per scomparire davanti a un’altra, tutta nuova.
Come conseguenza del peccato, tutta la creazione cadde sotto la maledizione divina (Gen. 3,17) e fu assoggettata alla corruzione (Rom. 8, 19-22). L’interpretazione biblica del rapporto tra questo mondo corrotto e l’éra futura è duplice. La scuola di pensiero meglio attestata sostiene che la presente creazione sarà completamente distrutta (Sal. 102,26; Is. 51,6; Mc. 13,31; Atti 3,21; 2 Pt. 3,7.10-12) e che un nuovo cielo e una nuova terra ne prenderanno il posto (21,1); d’altro canto, il N.T. parla anche della liberazione (Rom. 8,21) e della rigenerazione della creazione (Mt. 19,28).
“I morti grandi e piccoli”: sono coloro che non hanno preso parte alla prima risurrezione (20,5; cioè “coloro che non sono passati dal peccato alla grazia”), e che ritorneranno in vita per il giudizio finale. Il N.T. insiste sull’universalità del giudizio (Mt. 25,32; Gv. 5,28 ss.; 2 Tim. 4,1; 1Pt. 4,5).
“Furono aperti libri”: i due libri contengono tutte le azioni degli uomini, buone e cattive (Dan. 7,10; Is. 65, 6-7; Mal. 3,16).
“Libro della vita”: V. comm. a 3,5. Questo libro è distinto dai due precedenti e contiene i nomi di quelli destinati alla vita eterna. L’immagine suggerisce un’elezione divina ma non esclude la libertà umana (3,5).
“La Morte e gli Inferi”: simboleggiano l’insaziabile diabolico mostro e il luogo di dimora dei morti (6,8). Nel mondo futuro, la morte sarà sconosciuta.
“Nello stagno di fuoco”: una personificazione della morte riunisce il falso profeta (19,20) e satana (v.10) nello stagno di fuoco, la morte è annientata (Is. 25,8, Osea 13,14; 1 Cor. 15,26.54).
“La seconda morte”: coloro che subiscono questa morte devono abbandonare ogni speranza, perché per loro non rimane più alcuna possibilità di una nuova risurrezione.

In sintesi: al momento della morte ognuno sarà per l’eternità esattamente quello che vuol essere. Il più felice sarà colui che si sarà dedicato al servizio di Dio e degli altri, in comunione d’amore con tutto il creato. Il più infelice al contrario sarà colui che, ripiegato su se stesso nell’isolamento, avrà più di tutti escluso ogni rapporto con Dio e con gli altri. E’ una scelta dunque tra l’apertura all’infinito e il ripiegamento nel limite essenziale; in altre parole, poiché l’iniziativa viene da Dio, è una scelta tra l’accettazione o il rifiuto di un invito e di un’offerta da parte di Dio.

Commento spirituale.

“E il diavolo, che li aveva sedotti, fu gettato nello stagno di fuoco e zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta: saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli”.
Quante volte, solo a pronunciare la parola “Inferno”, veniamo presi da un senso di angoscia e di smarrimento! Questo sta a significare che la nostra libertà ha una drammatica serietà: siamo chiamati alla vita eterna, ma possiamo cadere nella perdizione eterna. “Davanti agli uomini stanno la vita e la morte; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà” (Sir. 15,17). Dio vuole che tutti siano salvati e vivano come suoi figli in Cristo (1 Tm. 2, 4-6), eppure per ciascuno c’è la triste possibilità di dannarsi: mistero inquietante, ma richiamato tante volte nella Bibbia, con parole accorate di minaccia e di ammonimento. Riguardo al diavolo e ai suoi angeli, sappiamo che sono già condannati di fatto (Mt. 25,41). Per gli uomini invece si tratta di un rischio reale. La Scrittura non fa previsioni, ma rivolge appelli pressanti alla conversione, come volesse dire: ecco che cosa vi può succedere, ma non deve assolutamente accadere. Anche questa rivelazione è un atto di misericordia.
La pena dell’inferno è per sempre: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno... E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna” (Mt. 25,41.46). “Il loro verme non muore e il fuoco non si estingue” (Mc. 9,48). “Il fumo del loro tormento salirà per i secoli dei secoli, e non avranno riposo né giorno né notte quanti adorano la bestia” (Ap. 14,11). L’eternità dell’inferno fa paura. Si è cercato di metterla in dubbio, ma i testi biblici sono inequivocabili e altrettanto chiaro è l’insegnamento costante della Chiesa.
In che cosa consiste questa pena? La Bibbia per lo più si esprime con immagini: Geenna di fuoco (Mt. 18,9), fornace ardente (Mt. 13,42), stagno di fuoco (Ap. 19,20; 21,8), pianto e stridore di denti (Mt. 24,51), morte seconda (Ap. 2,11; 20,14).
La terribile serietà di questo linguaggio va interpretata, non sminuita. La Chiesa crede che la pena eterna del peccatore consiste nell’essere privato della visione di Dio e che tale pena si ripercuote in tutto il suo essere. Il nostro testo parla di un tormento eterno “giorno e notte per i secoli dei secoli”.
La pena, allora, va intesa come esclusione dalla comunione con Dio e con Cristo: “Allontanatevi da me voi tutti operatori d’iniquità” (Lc. 13,27). “Costoro saranno castigati con una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza” (2 Ts. 1,9).
Dio non predestina nessuno ad andare all’inferno, esso è la conseguenza di un’avversione volontaria a Dio, in cui si persiste fino alla fine.
“Ogni peccatore accende da sé la fiamma del proprio fuoco. Non che sia immerso in un fuoco acceso da altri ed esistente prima di lui. L’alimento e la materia di questo fuoco sono i nostri peccati” (Origene, I principi, 2, 10,4).
L’inferno è dunque la sofferenza di non poter amare nessuna cosa, il rifiuto totale e definitivo di Dio, degli altri, del mondo e di se stessi, in contraddizione con la vocazione originaria a vivere in comunione.
Tutti vengono da Dio e tutti tornano a lui, o nell’amore o nel terrore: Dio è unito a tutti, secondo la disposizione intima di ogni persona.
Il testo accenna al v.14 agli “Inferi”.
Secondo la fede della Chiesa, formulata nel “Credo apostolico”, Gesù morendo, “discese agli inferi”. Cosa significa questa espressione piuttosto oscura? Gli inferi sono la dimora simbolica dei defunti (Gb. 30,23). Al tempo di Gesù si riteneva che vi fossero sedi e condizioni diverse per i giusti e per i malvagi (Lc. 16,23), mentre gli uni e gli altri attendevano la piena retribuzione nel giudizio finale.
Gesù è andato tra i morti e poi è risorto dai morti (At. 3,15; Rm. 8,11). Ha raggiunto i morti come Salvatore, ha portato loro i benefici della sua morte redentrice: “E’ stata annunziata la buona novella anche ai morti”(1 Pt. 4,6). I giusti delle passate generazioni ottengono “la perfezione” (Eb. 12,23) e vengono introdotti nel santuario celeste, al seguito di Cristo risorto (Eb. 9,8; 10,1; 11, 39-40).
Il senso di questa fede neotestamentaria si riassume in tre affermazioni:
- Gesù è veramente morto.
- La sua morte redentrice ha valore salvifico per tutti gli uomini, anche quelli vissuti prima di lui.
- Il suo incontro con i giusti già morti comunica loro la pienezza della comunione con Dio.
In definitiva la discesa agli inferi, più che soggezione alla morte, è vittoria su di essa.
LA GERUSALEMME CELESTE

(Ap. 21, 1-27)
1. Vidi poi un nuovo cielo e una terra nuova, perchè il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più.
2. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
3. Udii allora una voce potente che usciva dal trono: “Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il “Dio-con-loro”.
4. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perchè le cose di prima sono passate”.
5. E Colui che sedeva sul trono disse: “Ecco io faccio nuove tutte le cose”; e soggiunse: “Scrivi, perchè queste parole sono certe e veraci.
6. Ecco sono compiute! Io sono l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine. A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita.
7. Chi sarà vittorioso erediterà questi beni; io sarò il loro Dio ed egli sarà mio figlio.
8. Ma per i vili e gl’increduli, gli abietti e gli omicidi, gl’immorali, i fattucchieri, gli idolatri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. E’ questa la seconda morte”.
9. Poi venne uno dei sette angeli che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli e mi parlò: “Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell’Agnello”.
10. L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio,
11. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino.
12. La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele.
13. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre porte.
14. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello.
15. Colui che mi parlava aveva come misura una canna d’oro, per misurare la città, le sue porte e le sue mura.
16. La città è a forma di quadrato, la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L’angelo misurò la città con la canna: misura dodici mila stadi, la lunghezza, la larghezza e l’altezza sono eguali.
17. Ne misurò anche le mura: sono alte centoquatantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall’angelo.
18. Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo.
19. Le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento è di diaspro, il secondo di zaffiro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo,
20. il quinto di sardònice, il sesto di cornalina, il settimo di crisòlito, l’ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di ametìsta.
21. E le dodici porte sono docici perle; ciascuna porta formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente.
22. Non vidi alcun tempio in essa perchè il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio.
23. La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello.
24. Le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra a lei porteranno la loro magnificenza.
25. Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, poichè non vi sarà più notte.
26. E porteranno a lei la gloria e l’onore delle nazioni.
27. Non entrerà in esso nulla di impuro, né chi commette abominio o falsità, ma solo quelli che son scritti nel libro della vita dell’Agnello.

(Ap. 22, 1-15)
1. Mi mostrò poi un fiume d’acqua viva limpida come cristallo che scaturiva dal trono di dio e dell’Agnello.
2. In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall’altra del fiume si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese, le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni.
3. E non vi sarà più maledizione. Il trono di Dio e dell’Agnello sarà in mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno;
4. vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla fronte.
5. Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, nè di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli.
6. Poi mi disse: “Queste parole sono certe e veraci. Il Signore, il Dio che ispira i profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi ciò che deve accadere tra breve.
7. Ecco, io verrò presto. Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro”.
8. Sono io, Giovanni, che ho visto e udito queste cose. Udite e vedute che le ebbi, mi prostrai in adorazione ai piedi dell’angelo che me le aveva mostrate.
9. Ma egli mi disse: “Guardati dal farlo! Io sono un servo di Dio come te e i tuoi fratelli, i profeti, e come coloro che custodiscono le parole di questo libro. E’ Dio che devi adorare”.
10. Poi aggiunse: “Non mettere sotto sigillo le parole profetiche di questo libro, perchè il tempo è vicino.
11. Il perverso continui pure a essere perverso, l’impuro continui ad essere impuro e il giusto continui a praticare la giustizia e il santo si santifichi ancora.
12. Ecco, io verrò presto e porterò con me il mio salario, per rendere a ciascuno secondo le sue opere.
13. Io sono l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il principio e la fine.
14. Beati coloro che lavano le loro vesti: avranno parte all’albero della vita e potranno entrare per le porte nella città.
15. Fuori i cani, i fattucchieri, gli immorali, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna!

Commento esegetico.

La prima creazione è scomparsa (20,11); gli empi sono stati puniti (20,15). Non rimane altro che contemplare estasiati la magnificenza del Regno di Dio. La descrizione di questa nuova creazione è il punto culminante del libro. E’ tutto uno scintillio di luci, di colori, di trasparenze, d’immensa gioia di vivere in questa “città” ideale, dove Dio ormai abita con gli uomini ed è loro intimo e familiare, e il male e la tristezza sono fugati per sempre. Un desiderio incontenibile afferra l’autore, che trasmette anche ai suoi lettori, ed è che il Cristo venga “presto” (22,17).
Il lettore che ha affrontato l’intero libro dell’Apocalisse si accorge - a questo punto - di aver percorso un viaggio: dal tumulto della storia umana e dalle sue contraddizioni alla pace e alla semplicità del Regno di Dio. E’ come se gli fosse stato posto sotto gli occhi l’intero cammino dell’umanità, dal passato al presente, dal presente al futuro. La pagina che stiamo leggendo è, infatti, il punto terminale verso cui l’umanità è incamminata.
Anche in questa parte conclusiva ritroviamo i generi letterari e i toni presenti in precedenza: narrazione e canto liturgico, visione del futuro e ammonimento, quadro positivo e negativo. Soprattutto i simboli: tre visioni (la nuova creazione – la nuova Gerusalemme – il fiume dalle acque abbondanti), che ripetono la stessa cosa.
“Un cielo nuovo e una terra nuova”: la creazione deve essere rinnovata o trasformata affinché si adatti all’umanità redenta. In Is. (65,17; 66,22) l’espressione era solo il simbolo del rinnovamento dell’epoca messianica. Dopo Cristo (Mt. 19,28; 2 Pt. 3.13), S. Paolo apre prospettive più realistiche: tutta la creazione sarà un giorno rinnovata, liberata dalla schiavitù della corruzione, trasformata dalla gloria di Dio (Rom. 8,19).
“Il mare non c’era più”: il mare, dimora del drago e simbolo del male (Gb. 7,12) scomparirà per sempre davanti alla marcia vittoriosa del nuovo Israele (Is. 51, 9-10; Sal. 74, 13.14). Ma il mare con le sue pericolose tempeste scatenate da forze brutali e implacabili, può aver dato origine ai miti concernenti i mostri che causavano i caos primordiali: Tiamat nella Babilonia e Raab o Leviatan nella Bibbia. Dio soggiogò questi mostri quando sistemò l’ordine dell’universo (Gb. 25,12 ss.; Sal. 74,13 ss.; Is. 51,9). Dio stesso li annienterà al momento della nuova creazione (Is. 27,1); la forza brutale e la violenza sono inconciliabili con la pace del mondo futuro.
“Vidi la città santa”: discende dal cielo, e pertanto è di origine divina: Dio è l’architetto e il costruttore della città (Eb. 11,10). E’ “santa” perché è definitivamente consacrata a Dio. Questo è un tema che si riscontra nelle lettere paoline (Gal. 4,26; Fil. 3,20; Eb. 12,22), ma già noto nell’A.T. (Is. 54; 60; Ez. 48, 30-35).
“Una voce potente”: uno dei quattro esseri viventi dà una spiegazione della nuova creazione.
“Ecco la dimora di Dio”: questo è il compimento delle profezie che preannunciavano l’intima unione di Dio con il popolo eletto nell’èra della salvezza (Lev. 26,11; Ger. 3133 ss.; Ez. 37, 26-28; 8,8). L’intimità di cui il primo uomo godette in paradiso e che Israele sperimentò nel deserto e nel tempio è ora accordata a tutti i membri del popolo di Dio, per sempre (7, 15-17).
“Non ci sarà più lutto...”: il mondo del passato scompare, con tutte quelle caratteristiche che gli conferivano la fisionomia di una creazione asservita al peccato.
“Ogni lacrima”: Is. 35,10; 65,19. Questa nuova condizione del mondo è esattamente l’opposto del destino di Babilonia (18, 22-23).
“Io faccio nuove tutte le cose”: Is. 43,18 ss.; 2 Cor. 5,17; Gal. 6,15. Questo è l’unico passo nell’Apocalisse in cui è Dio stesso che parla. Egli dichiara che tutte le cose descritte in 21, 1-4 saranno compiute.
“Fedeli e veraci”: 3,14; 19,11; 22,6.
“Alfa e omega”: 1,8.
“Acqua della vita”: l’acqua simbolo della vita era nell’A.T. caratteristica dei tempi messianici: Is. 55,1; Zc. 14,8. Nel N.T. diviene simbolo dello Spirito: Gv. 4,10.14; 7, 37-39.
“Chi sarà vittorioso”: V. commento 2,7. Un’eco della promessa fatta alla fine d’ognuna delle lettere alle sette Chiese (2-3).
“Erediterà”: una nozione che implica la figliolanza divina del cristiano e la gratuità della ricompensa che riceverà (Rom. 4,13 ss.; 8,17; Gal. 4,7).
“Io sarò il suo Dio...”: Gen. 17,7; 2 Sam. 7,14; Sal. 89, 26-27.”Gli sarò Dio” e non “gli sarò Padre” perché Giovanni parla di Dio come Padre solo in relazione a Gesù. Ciò significa che la figliolanza divina di cristiani è mantenuta chiaramente distinta dalla figliolanza del Figlio unigenito (Gv. 20,17). Ma l’Apocalisse a differenza del Vangelo di Giovanni, guarda in primo luogo al futuro, per la realizzazione delle speranze escatologiche: “io sarò” ed “egli sarà”, nel grande giorno della risurrezione finale.
“I vili”: l’enumerazione giovannea dei peccatori assegna la prima posizione a coloro che hanno peccato contro la fede.
“Gl’increduli”: fra coloro che non hanno la fede sono associati sia i cristiani che rinnegano Cristo, sia i pagani che bestemmiano contro di lui.
“Gli abietti”: sono coloro che, con fede superficiale e malferma, non hanno retto durante la persecuzione, sono come i disertori in un esercito (Sir. 2,12).
“Gl’immorali”: coloro che sono dediti ai vizi contro natura (così frequenti negli ambienti pagani) o meglio, coloro che si sono contaminati associandosi al culto imperiale.
“I fattucchieri”: 9,21; 18,23. Lett. “coloro che mescolano sostanze medicinali e veleni (Atti 19,19).
“I mentitori”: tutti i peccatori che parlano e agiscono nella falsità (21,27; 22,15; Gv. 8,44).
“La seconda morte”: la morte eterna (20,6.14). Il fuoco divorante si oppone all’acqua (v.6); l’uno e l’altro sono simbolici.
“Ti mostrerò la sposa dell’Agnello”: il veggente per descrivere la nuova Gerusalemme, ha preso quasi tutti gli elementi dalla tradizione apocalittica, specialmente da Ez. 40-48.
“Mi trasportò”: il veggente fu condotto nel deserto per vedere la meretrice; ora viene trasportato sopra un alto monte per ammirare la sposa che discende da Dio, Ez. 40, 2-3.
“Risplendente della gloria di Dio”: la presenza di Dio, che riempie la Chiesa, la trasfigura.
“Pietra di diaspro cristallino”: i dettagli di questa descrizione indicano che la gloria della Chiesa viene confrontata con la sua fonte: la gloria di Dio (4,3; 2 Cor. 4,6).
“Dodici porte... dodici tribù”: anche qui, come in 7, 4-8 Giovanni, allude alla continuità perfetta tra il popolo di Dio nell’A.T. (Ez. 48, 30-35; Es. 28, 17-21) e la Chiesa nel N.T. (Mt. 19,28; Lc. 22,29).
“Dodici angeli”: poiché la città è di origine celeste deve avere dei guardiani celesti.
“Dodici apostoli”: la predicazione degli apostoli (e dei profeti: Ez. 2,20) è per la costituzione della Chiesa ciò che il fondamento è per un edificio.
“Una canna... per misurare”: cfr. Ez. 40,3 ss.; tutti i numeri che seguono contengono elementi del numero 12, simbolo del popolo di Dio, e di 100, simbolo di grande abbondanza. Es.: dodici mila stadi, 12 (il numero del nuovo Israele) moltiplicato per 1000 (moltitudine); cioè la moltitudine del popolo di Dio.
“Quadrato”: è la forma geometrica perfetta (Ez. 43,16; 48,16 ss.).
“La lunghezza, la larghezza e l’altezza”: la Gerusalemme celeste forma un cubo perfetto, secondo il modello del santo dei santi (1 Re 6,19 ss.); ma le sue dimensioni trascendono qualsiasi possibilità terrena (12.000 stadi equivarrebbero a circa 2.400 km). La cifra è utilizzata come una specie di concretizzazione della suprema grandiosità e perfezione della città.
“144 cubiti”: l’altezza del muro è insignificante (circa 66 metri) a confronto con l’altezza della città, che eccede i 2.400.000 metri. Sembra che il muro serva unicamente da linea di divisione tra la città e la zona circostante.
“18-21”: Giovanni elenca i materiali straordinari usati nella costruzione del muro della città: i dodici basamenti, le dodici porte e la singola strada che attraversa la città. L’oro puro e le pietre preziose sono catalogate solo per l’impressione generale che essi creano: lo splendore e la sublimità della città in cui Dio dimora, cioè il riflesso della sua stessa gloria (2 Cor. 3,18). Dei testi che assomigliano a questo brano (Is. 54,11 ss.; Ez. 28,13; Tb. 13,16 ss.) quelli che descrivono il pettorale del sommo sacerdote (Es. 28, 17-21; 39, 10-14) sembrano i più analoghi.
“Non vidi alcun tempio in essa”: il tempio era un punto focale della Gerusalemme storica, perché in esso Dio dimorava in mezzo al suo popolo; di conseguenza Ezechiele (40-48) non poteva concepire una Gerusalemme ideale senza il tempio, e Giovanni stesso ha precedentemente parlato di un tempio in cielo (11,19; 14,15.17; 15, 5-16,1). Ma la presenza di Dio nel nuovo mondo non è delimitata dai muri del tempio (Gv. 4,21.24); la gloria di Dio e dell’Agnello pervade completamente la città (Gv. 2, 19-22: 2 Cor. 6,16).
“L’Agnello”: il luogo del nuovo culto spirituale è ormai il Corpo del Cristo immolato e risuscitato.
“Non ha bisogno né di sole né di luna”: è il Risorto che irradia la sua luce su tutte le nazioni riunite (22,5, Gv. 8,12; 2 Cor. 4,6).
“24-26”: questi vv. sono principalmente ispirati da Is. 60,3.5.11: nell’èra escatologica i popoli vicini verranno non più come nemici oppressori, ma in sottomissione a Jahwé e al suo popolo. Coloro che convergono nella Gerusalemme celeste non sono più pagani agli occhi di Giovanni, ma credenti, ammessi nella città perché i loro nomi sono scritti nel libro della vita.
“Non vi sarà più la notte”: la luce gloriosa della presenza di Dio non si estinguerà mai.
“Nulla di immondo”: Is. 35,8; 52,1; Ez. 44,9.
“Il libro della vita”: V. commento a 3,5.
Il veggente descrive, ora, la Gerusalemme celeste come la dimora della vita divina. Qui sgorga un fiume da cui tutti possono bere l’acqua della vita; sul suo argine fiorisce l’albero del frutto che dà la vita. Dio e l’Agnello prendono il posto del tempio in quanto essi sono ora l’unica fonte (Gen. 2, 10-14; Sal. 46,4; Ger. 2,13 Ez. 47, 1-12; Gioele 3,18; Zc. 14,8)
“L’albero della vita”: poiché questa visione è essenzialmente ispirata da Ez. 47,7.12, la parola “xjlon” = “albero” dovrebbe essere interpretata al singolare. Anziché un solo albero della vita, come in Gen. 2,9; 3,22 la città escatologica contiene molti alberi che offrono la pienezza della vita (12 tipi di frutto, 12 volte l’anno; infatti il numero 12 indica pienezza), e tutti i suoi cittadini possono coglierne liberamente i frutti.
“Le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni”: coloro che faranno parte di questo nuovo mondo non conosceranno sofferenza, malattia, o morte (21,4).
“Non vi sarà più maledizione”: Zc. 14,11. Nessuna cosa sarà occasione di peccato (Deut. 7,26); nessuno incorrerà nell’ira di Dio a motivo del peccato.
“Il trono di Dio”: è il centro della divina presenza, che sostituisce ora il tempio; segue pertanto immediatamente un servizio liturgico per dare un’idea dell’intima comunione con Dio e con Cristo di cui goderanno i santi.
“Vedranno la sua faccia”: un privilegio negato a Mosè (Es. 33,20.23), perché inaccessibile in questo mondo (Gv. 1,18). Eppure le persone pie aspiravano alla visione di Dio, perlomeno nel tempio in cui egli dimorava (Sal. 17,15; 42,2). Tale aspirazione sarà realizzata nell’èra escatologica (Mt. 5,8, 1 Cor. 13,12; 1 Gv. 3,2; Eb. 12,14).
“Porteranno il suo nome sulla fronte”: ora essi gli appartengono in maniera definitiva (3,12; 7,2 ss.). Il regno dei santi sarà eterno (Dan. 7,18.27) come eterna sarà la condanna degli empi (20,10).
“Poi mi disse”: l’angelo di 21,9.15; 22,1 parla ancora una volta. Questo angelo è probabilmente lo stesso menzionato in 1,1.
“Queste parole”: è il contenuto dell’intero libro, non solamente i vv. 3-5.
“Dio ispira i profeti”: lo Spirito di Dio parla attraverso i profeti elevando le loro facoltà naturali. Giovanni associa costantemente se stesso all’intero gruppo dei profeti cristiani (10,7; 22,9), senza mai isolarli dal resto della comunità (11,18; 16,6, 18,20.24).
“Io vengo presto”: la voce di Cristo annuncia che la sua venuta in qualità di giudice supremo è imminente (2,16; 3,11; 22,12.20).
“8-9”: Dio è presentato nell’apocalittica come un essere talmente trascendente che è impossibile accedere a lui direttamente, è attraverso gli angeli che egli si rivela agli uomini e riceve il loro omaggio e la loro adorazione. Tuttavia questa insistenza sul potere mediatore degli angeli potrebbe facilmente aver originato equivoci.
“Non mettere sotto sigillo”: le parole di Giovanni si avvereranno presto, devono quindi essere proclamate alle Chiese. Diversamente da Dan. 8,26; 12,4.9 (cfr. Ap. 10,4), non c’è qui alcuna attesa di una qualche èra futura in cui il messaggio possa essere reso noto.
“Il perverso... l’impuro...”: Ez. 3,27. Tale invito a perseverare sia nel male che nel bene può essere spiegato dal fatto che il giudizio è ormai imminente; negli ultimi giorni non esiste più alcuna opportunità di pentimento (Mt. 25,10; Lc. 13,25). Ogni uomo deve ora accettare le conseguenze di una decisione liberamente presa, e la dannazione non sarà altro che la retribuzione del ripetuto e definitivo rifiuto degli inviti di Dio.
“Beati coloro che lavano le loro vesti”: il perdono per il peccato e la purificazione del cuore sono donati con abbondanza dal sangue dell’Agnello, attraverso la partecipazione alla sua morte.
“Fuori i cani...”: gli increduli non sono ammessi al banchetto del Signore e solo i fedeli possono ricevere il corpo e il sangue di Cristo, similmente i peccatori e gli empi saranno esclusi dai benefici della salvezza. Saranno tenuti fuori dalla Gerusalemme celeste, i “cani”: questa parola, con le sue forti connotazioni d’impurità, è spesso applicata ai pagani (Deut. 23,19; Mt. 7,6; 15,26; 2 Pt. 2,22).

In sintesi: Dio è il costruttore della nuova Gerusalemme. Gesù ha detto: “Io sono il Pane vivo disceso dal cielo”. “Disceso”, cioè tutto dono del Padre per il mondo. Questa comunità di amore scende dal Cuore stesso di Dio: è il sogno di Dio per gli uomini. Ma Dio ci regalerà tutto questo in proporzione di quanto noi sapremo accogliere il Regno di Dio come un dono, cioè con cuore di bimbi.

Commento spirituale.

“Vidi la città santa”. La suprema perfezione e felicità, che noi chiamiamo “Paradiso”, è ineffabile. Per evocarla, la Bibbia si serve di immagini derivate dalle esperienze più gratificanti: cielo (2 Re 2,11; Ef. 2,6), città di pietre preziose (Is. 54,12; Ap. 18,16), giardino (Ger. 31,12; Ez. 36,35), convito (Is. 25, 6-7; Mt. 22, 1-14), nozze (Mt. 25, 1-13; Ap. 19,9), festosa liturgia (Ap. 7, 10-12), canto (Is. 42,10; Ap. 14, 2- 3).
Incontro immediato con Dio uno e trino, totale comunione con gli altri, armoniosa integrazione con il mondo: ecco la meta, verso cui gli uomini sono incamminati. “Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta, perché l’Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita”. (Ap. 7, 15- 17).
“Vidi poi un nuovo cielo e una terra nuova, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono: “Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il “Dio-con-loro”. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate”. E Colui che sedeva sul trono disse: “Ecco io faccio nuove tutte le cose”. (Ap. 21, 1-5)”.
“La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello... Il trono di Dio e dell’Agnello sarà in mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno; vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla fronte... e regneranno nei secoli dei secoli “(Ap. 21,23; 22, 3-5).
Nella beatitudine celeste, come già nel cammino terreno, sarà sempre Gesù Cristo la porta di accesso al Padre. Il Signore crocifisso e risorto, comunicando in modo definitivo il suo Spirito, ci unirà perfettamente a sé e ci renderà pienamente figli di Dio, capaci di vedere il Padre “come egli è” (1 Gv. 3,2). La Chiesa sarà “tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata”(Ef. 5,27). Gli uomini abiteranno nella celeste Gerusalemme in festosa convivialità e Dio abiterà con essi (Ap. 21, 2-3). Le esperienze attuali più riuscite di comunione tra amici, tra coniugi, tra genitori e figli prefigurano l’universale comunione dei santi in Dio, ma sono ben poca cosa al confronto di essa. Se è meravigliosa già adesso la compagnia delle persone buone e intelligenti, che cosa sarà la compagnia di tanti fratelli “portati alla perfezione” (Eb. 12,23)?
Non ha senso però situare il paradiso in qualche parte dell’universo piuttosto che in altre. Il cielo, nel linguaggio biblico, è un simbolo per indicare Dio e, secondo la fede cristiana, “la vita è essere con Cristo: dove è Cristo, lì è la vita, lì è il Regno”.
Questa vita perfetta, questa comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità, con la Vergine Maria, gli angeli e tutti i beati è chiamata “il cielo”. Il cielo è il fine ultimo dell’uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva.
Vivere in cielo è “essere con Cristo” (Gv. 14,3; Fil. 1,23; 1 Ts. 4,17). Con la sua morte e la sua Risurrezione Gesù Cristo ci ha “aperto” il cielo. Il cielo è la beata comunità di tutti coloro che sono perfettamente incorporati in lui. Questo mistero di comunione beata con Dio e con tutti coloro che sono in Cristo supera ogni possibilità di comprensione e di descrizione: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano” (1 Cor. 2,9).
I santi formeranno una comunità di persone e non una massa collettiva senza volto. Ognuno sarà introdotto alla festa con un invito personalissimo: avrà “una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi lo riceve” (Ap. 2,17). Anche la perfezione sarà diversa secondo i doni ricevuti nella vita terrena e la corrispondenza verso di essi (Mt. 16,27; 1 Cor. 3,8). Tutti però saranno beati secondo la loro capacità tutti si rallegreranno del bene degli altri come del proprio.
Armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stessi: nel gaudio eterno si quieterà il desiderio illimitato del cuore; sarà il riposo, la festa, il giorno del Signore senza tramonto.
“Le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra a lei porteranno la loro magnificenza... Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio”.
La Gerusalemme celeste viene descritta come l’incontro di uomini di razze diverse, di nazioni, di cultura, di mentalità differenti. Da quando è venuto l’Agnello, cielo e terra si sono incontrati, il Tempio di Dio non c’è più, perché il Tempio è lo stesso Agnello. Ma questa Gerusalemme celeste non è solo un avvenimento futuro, ma ci appartiene già oggi.
Il “cielo” di Gesù, dunque, è l’incontro con quanti non camminano con Lui, con quanti sono diversi da noi e che sono lontani. Il cielo di Gesù è la partecipazione alla gioia del Padre che fa festa, perché è tornato un figlio lontano. Ogni volta che nelle nostre comunità si verifica una situazione di questo genere, il cielo si trasferisce sulla terra, cielo e terra si incontrano un’altra volta. Quando, invece, le nostre Chiese sono dure e sprezzanti verso chi ritorna dopo aver sbagliato, e quando non si accetta di fare festa al peccatore pentito, cielo e terra si allontanano di nuovo e crescono le divisioni tra gli uomini.
Il cielo di Gesù è un banchetto a cui sono invitati gli uomini della strada: storpi, ciechi, zoppi, i rifiutati dalla nostra mentalità; un banchetto in cui sono invitati i perseguitati e gli emarginati e di cui si è commensali a casa di ogni Zaccheo e di ogni Maddalena, che possiamo incontrare amichevolmente: questo è il cielo di Gesù Cristo.
Nel cielo di Gesù, l’ultimo è messo al posto d’onore e chi ha più autorità deve lavare i piedi a tutti. Il cielo di Gesù è la celebrazione della diversità:
“apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua”.
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Re: Interpretazione del libro " Apocalisse"

Messaggioda francocoladarci » sab mar 21, 2009 1:22 pm

Segue " Epilogo; Sintesi Generale; Conclusione"


EPILOGO

(Ap. 22, 16-20)
16. Io, Gesù, ho mandato il mio angelo, per testimoniare a voi queste cose riguardo alle Chiese. Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino”.
17. Lo Spirito e la sposa dicono. “Vieni!”. E chi ascolta ripeta: Vieni!”. Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l’acqua della vita.
18. Dichiaro a chiunque ascolta le parole profetiche di questo libro; a chi vi aggiungerà qualche cosa, Dio gli farà cadere addosso i flagelli descritti in questo libro;
19. e chi toglierà qualche parola di questo libro profetico, Dio lo priverà dell’albero della vita e della città santa, descritti in questo libro.
20. Colui che attesta queste cose dice: “Sì, verrò presto!”. Amen. Vieni, Signore Gesù. La grazia del Signore Gesù sia con tutti voi. Amen”

Commento esegetico.

L’Apocalisse è una parola che viene da Dio, una parola che scende dall’alto, e si conclude con una risposta della comunità, una risposta che sale dal basso. Si conclude con un’invocazione: “Vieni, Signore Gesù”. E con un atto di fede: “Amen”. L’assemblea, che ha ascoltato e compreso, non chiede questo o quello, ma semplicemente che il Signore venga. Non c’è cosa più importante di questa. E non chiede che Dio modifichi il suo disegno, ma semplicemente che realizzi quanto lui stesso promette: “Vengo presto”, “Vieni, Signore Gesù”.
L’Apocalisse e la Bibbia intera si chiudono con una parola di completa sottomissione alla sua volontà. “Amen”.
“Io, Gesù...”: Cristo stesso si fa garante degli oracoli contenuti nel libro e rievoca due profezie messianiche che gli stesso portò a compimento:
1) “La stirpe di Davide”: Is. 11,1 ss.; Mt. 1,1 ss.; Rom. 1,3, 2 Tim. 2,8; egli non è solo il figlio di Davide, ma suo Signore (Mt. 22,42 ss.). In Cristo, Re dei re, tutte le speranze sono realizzate.
2) “La stella del mattino”: tra gli antichi era un simbolo di dominazione (2,28). Questo brano è probabilmente inteso come un’allusione a Num. 24,17 che il tardo giudaismo interpretò come una profezia messianica. Cristo, la stella del mattino, è il Re dei re, e ha il controllo dell’universo.
“Lo Spirito e la sposa”: si riferisce ai “profeti” e ai “santi” (16,6; 18,24); è dunque la Chiesa che risponde alla chiamata di Cristo.
“Chi ascolta”: la preghiera dell’intera Chiesa (la sposa) è il dovere personale di ciascun cristiano presente nell’assemblea liturgica.
“Chi ha sete”: Cristo ci chiede non solo di accoglierlo quando viene, ma di accostarsi attivamente a lui (Gv. 6,35; 7,37).
“18-19”: Gesù stesso enuncia l’avvertimento - ispirato a Deut. 4,2 – contro il falsificatore cosciente.
Per la terza volta nell’epilogo Gesù annuncia che ritornerà presto. E’ un tema principale del libro, e rappresenta una conclusione particolarmente adatta all’intera Bibbia. La storia della salvezza, tema centrale della Scrittura, deve essere portata a compimento dal ritorno trionfale di Cristo.
“Vieni, Signore Gesù”: tramite la sua fede e la sua speranza, il cristiano testimonia di avere il suo ruolo nella storia della salvezza.
Tre sono le parole ricorrenti nell’intero libro dell’Apocalisse: ascolto - conversione - testimonianza profetica. Non c’è conversione senza ascolto, come non c’è testimonianza senza conversione.

In sintesi: l’Apocalisse è una celebrazione liturgica della storia del mondo. Essa descrive l’umanità ideale e reale che rende culto a Dio. Ma al suo vertice, l’Apocalisse è una celebrazione eucaristica. Gli inni disseminati lungo i 22 capitoli culminano in un grido: “Marana-thà”, “Vieni Signore Gesù”. Questa invocazione era la parola d’ordine della cristianità primitiva. Quel grido risuonava nelle catacombe, era inciso sulle tombe dei martiri, sussurrato nelle ore del dolore. L’invocazione da allora corre attraverso i secoli del cristianesimo.

Commento spirituale.

L’Apocalisse termina con la parola ebraica “AMEN”. La si trova frequentemente alla fine delle preghiere del Nuovo Testamento. Anche la Chiesa termina le sue preghiere con “Amen”.
In ebraico, “Amen” si ricongiunge alla stessa radice della parola “credere”. Tale radice esprime la solidità, l’affidabilità, la fedeltà. Si capisce allora perché l' “Amen” può esprimere tanto la fedeltà di Dio verso di noi quanto la nostra fiducia in lui.
Nel profeta Isaia si trova l’espressione “Dio di verità”, letteralmente “Dio dell’Amen”, cioè il Dio fedele alle sue promesse: “Chi vorrà essere benedetto nel paese, vorrà esserlo per il Dio fedele” (Is. 65,16). Nostro Signore usa spesso il termine “Amen” (Mt. 6,2.5.16), a volte in forma doppia (Gv. 5,19), per sottolineare l’affidabilità del suo insegnamento e la sua autorità fondata sulla verità di Dio.
Dire “Amen” significa credere alle parole, alle promesse, ai comandamenti di Dio, significa fidarsi totalmente di colui che è l’“Amen” d’infinito amore e di perfetta fedeltà.
La vita cristiana di ogni giorno sarà allora l’“Amen” all’“Io credo” della professione di fede del nostro Battesimo.
Gesù Cristo stesso è l’“Amen” (Ap. 3,14). Egli è l“Amen” definitivo dell’amore del Padre per noi; assume e porta alla sua pienezza il nostro “Amen” al Padre. “Tutte le promesse di Dio in lui sono divenute “si”. Per questo sempre attraverso lui sale a Dio il nostro Amen per la sua gloria” (2 Cor. 1,20).






SINTESI GENERALE


L’Apocalisse rivela il piano di Dio nella storia. Una visione inaugurale descrive la maestà di Dio che domina in cielo, padrone assoluto dei destini umani (Prologo). Gesù, l’Inviato da Dio ha ricevuto il messaggio dal Padre e lo fa conoscere (cap. 1). Giovanni in visione riceve il contenuto di questo messaggio e lo invia alle 7 Chiese (cap. 2-3). Dopo la prima visione, Giovanni vede in una successiva il “trono” (cap. 4) e l’ “Agnello” (cap. 5). Il “libro sigillato” che l’Agnello riceve da “Colui che era seduto sul trono”, contiene le linee di questo piano e soprattutto gli interventi del Padre. Sarà proprio l’Agnello che spezzerà i “sette sigilli”, cioè colui che rivelerà il piano di Dio sul mondo, che, prima della venuta di Cristo, era sconosciuto (cap. 6). Tra il sesto e il settimo sigillo, Giovanni nella visione della Chiesa trionfante (cap. 7), rivela il progressivo costituirsi del nuovo popolo di Dio, dei “segnati dal sigillo del Dio vivo” ( cioè i battezzati) in mezzo a tutti gli avvenimenti e i cataclismi della storia. Dopo l’apertura del settimo sigillo, inizia il settenario delle trombe (cap. 8-9) dove viene descritto il peccato e tutte le conseguenze disastrose che esso provoca. Per resistere al male ed essere forte nelle tentazioni, la Chiesa deve vivere il Vangelo “quel piccolo libro da assimilare e annunciare” e dimostrare “pazienza nella prova” (cap. 10-11).
Siamo così giunti al cuore dell’Apocalisse (cap. 12-13): i due segni (la “Donna vestita di sole” e l’“enorme dragone rosso”) che appaiono in cielo rivelano che la lotta tra il bene e il male sulla terra è la logica conseguenza della guerra avvenuta in cielo tra Michele e i suoi angeli da una parte e il Dragone e i suoi angeli dall’altra. In questo conflitto intervengono anche le forze sataniche (le due Bestie). L’azione demoniaca si farà sentire in tutti i tempi e in tutti i paesi: “Le fu dato ogni potere”. Ma se il potere della Bestia è grande, il potere della Grazia lo è di più: “Chi avrà perseverato sino alla fine, dice Gesù, sarà salvo”. Occorre soltanto “farsi piccoli” per credere e mettersi dalla parte di Dio, la cui vittoria è certa e definitiva. Dio lascia fare, ma non strafare. Coloro che rimangono fedeli seguiranno l’Agnello, coloro invece che adoreranno la Bestia, “dovranno bere il vino del furore di Dio” (cap. 14). La vittoria dell’Agnello redentore e di coloro che gli appartengono è il traguardo ultimo della storia della salvezza, di quel processo che è stato sempre sotto il controllo del Dio vivente che liberò il suo popolo dalla schiavitù egiziana (cap. 15). Il castigo (la collera) in Dio, rappresentato dai sette flagelli (cap. 16), è sempre una reazione di amore, è l’estremo tentativo pedagogico per portare l’uomo al ravvedimento: (“Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo. Mostrati dunque zelante e ravvediti” Ap. 3,19). La risposta dell’uomo decide della sua sorte definitiva, così come la rovina di Babilonia (cap. 17), è scaturita dalla pretesa di voler costruire la Città dell’uomo al di fuori e contro Dio; è la “casa costruita sulla sabbia”. Nei lamenti degli amici di Babilonia (cap. 18), c’è la descrizione psicologica dell’Inferno che fa eco alle parole di Gesù: “Gettatelo fuori nelle tenebre, là sarà pianto e stridore di denti” (Mt. 22,13). Coloro invece che si mantennero fedeli partecipano alle nozze eterne, cioè all’unione del Messia con la comunità degli eletti (cap. 19). Nello scontro frontale tra il Verbo di Dio e il Demonio, quest’ultimo avrà la peggio. Ecco ormai il giudizio definitivo, universale. Dopo ciò anche la Morte è vinta e incatenata: è l’ora in cui il Verbo-Gesù, Vincitore assoluto, consegna il Regno al Padre (cap. 20). S. Giovanni negli ultimi due capitoli dell’Apocalisse (cap. 20- 21), descrive con immagini, per analogia, la patria dove andremo, il Paradiso.












CONCLUSIONE


Termino questa mia riflessione sul libro dell’Apocalisse con la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, del Concilio Ecumenico Vaticano II:
“In faccia alla morte l’enigma della condizione umana diventa sommo. Non solo si affligge, l’uomo, al pensiero dell’avvicinarsi del dolore e della dissoluzione del corpo, ma anche, ed anzi più ancora, per il timore che tutto finisca per sempre. Però l’istinto del cuore lo fa giudicare rettamente, quando, aborrisce e respinge l’idea di una totale rovina e di un annientamento definitivo della sua persona. Il germe dell’eternità, che porta in sé, irriducibile com’è alla sola materia, insorge contro la morte. Tutti i tentativi della tecnica, per quanto utilissimi, non riescono a calmare le ansietà dell’uomo. Il prolungamento della longevità biologica non può soddisfare quel desiderio di vita ulteriore che sta dentro invincibile nel suo cuore.
Se qualsiasi immaginazione viene meno di fronte alla morte, la Chiesa, invece, istruita dalla rivelazione divina, afferma che l’uomo è stato creato da Dio per un fine di felicità oltre i confini della miseria terrena. Inoltre, come insegna la fede cristiana, la morte corporale, dalla quale l’uomo sarebbe stato esentato se non avesse peccato, sarà vinta, quando l’uomo sarà restituito allo stato perduto per il peccato dall’onnipotenza e dalla misericordia del Salvatore. Dio infatti ha chiamato e chiama l’uomo a stringersi a lui con tutta intera la sua natura in una comunione perpetua con la incorruttibile vita divina, Questa vittoria l’ha conquistata il Cristo risorgendo alla vita, dopo aver liberato l’uomo dalla morte mediante la sua morte. La rivelazione, offrendosi con solidi argomenti a chiunque voglia riflettere, dà una risposta alle sue ansietà circa la sorte futura. Al tempo stesso dà la possibilità di comunicare in Cristo con i propri cari già strappati alla morte. Nutre, infatti, la speranza che essi abbiano già raggiunto la vera vita presso Dio.
Il cristiano certamente è assillato dalla necessità e dal dovere di combattere contro il male attraverso molte tribolazioni e di subire la morte. Ma associato al mistero pasquale e assimilato alla morte di Cristo, andrà incontro alla risurrezione, confortato dalla speranza.
Ciò non vale solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale.
Tale e così grande è il mistero dell’uomo che si manifesta agli occhi dei credenti attraverso la rivelazione cristiana! Per Cristo e in Cristo riceve luce quell’enigma del dolore e della morte, che senza il suo Vangelo sarebbe insopportabile. Cristo è risorto, distruggendo la morte con la sua morte, e ci ha donato la vita, perché, figli nel Figlio, esclamiamo nella Spirito: Abbà, Padre!”. (“Gaudium et Spes Nn. 18. 22).





BIBLIOGRAFIA

Dizionario dei concetti Biblici del N.T. – EDB Bologna
Grande Commentario Biblico – Queriniana Brescia
Il Concilio Vaticano II – Documenti - Ed. Dehoniane Bologna
La Bibbia per la famiglia – G. Ravasi – Ed. S. Paolo
Pagine difficili della Bibbia (A.T.) – E. Galbiati, A: Piazza – Massimo Milano
Piccolo Glossario del Cristianesimo – Edizioni Dehoniane –Roma
L’Apocalisse – Bruno Maggioni - Cittadella Editrice Assisi -
Il Libro dell’Apocalisse – Ugo Vanni S.I. - III Convegno Ecclesiale – Palermo 1995
Il Rosario e la nuova Pompei - Settimio Cipriani – Anno 114 – N.7 – Luglio/Agosto 1998
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Re: Interpretazione del libro " Apocalisse"

Messaggioda francocoladarci » sab mar 21, 2009 2:14 pm

Con l’ultimo post, termina il libro dell’Apocalisse, la sua lettura è stata per me molto edificante ed istruttiva, sicuro che tali emozioni saranno condivise da chi legge per la “ Prima” volta questo libro, la sua lettura non può essere ne semplice, ne veloce, tutt’altro, essa richiede profonda meditazione e tempo affinché se ne possa comprenderne la pienezza del suo messaggio.

Invito i Testimoni di Geova a dedicare del tempo alla sua lettura, poiché permetterà di capire la illogicità delle spiegazione che il Corpo Direttivo ne dava e che per molto tempo abbiamo creduto.
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