Le risposte e le verità da non nascondere - CORRIERE DELLA SERA 28 Giugno 2009 -
Dialogo con i lettori del Corriere. Si rinnoverà l’ultima domenica di ogni mese il dialogo del cardinale Carlo Maria Martini con i lettori del «Corriere».
CULTURA. L’ offerta, fattami dal Direttore del Corriere, di avere a disposizione una pagina al mese per rispondere a domande della gente, ha creato in me un certo imbarazzo e smarrimento
La bugia è il Male della società
Della menzogna, come peccato originario, vero cancro delle comunità, facciamo esperienza anche in questi giorni
Eminenza, desidero sottoporle un caso di esegesi biblica del capitolo V degli Atti degli Apostoli, l’episodio di Anania e Saffira, che frodarono Pietro per amore del denaro e morirono all’istante. Mi sono sempre chiesto, leggendo diverse interpretazioni dell’accaduto, perché ebbero un castigo così duro, ma soprattutto se il denaro che dovevano versare a Pietro rappresentasse una forma di comunione dei beni delle prime comunità cristiane.
Gabriele A. Ginnasi Milano
Gentile Cardinale Martini, mi aiuti a comprendere il significato di un episodio biblico, quello dell’Esodo 12,29-30, perché io possa a mia volta spiegarlo a mio figlio. Al rifiuto del Faraone di lasciare liberi gli israeliti Mosé riferì le parole di Dio e il volere di Dio fu fatto. «A mezzanotte il Signore colpì ogni primogenito della Terra d’Egitto...». Come ha potuto il Signore sacrificare i bambini?
Stefania Donadeo Milano
Comincio con alcune domande bibliche, così mi sento un po’ di più sul mio terreno. I. Mi fermo anzitutto sulla prima delle lettere citate, quella che riguarda il comportamento di Pietro negli Atti degli Apostoli a proposito di Anania e Saffira (Atti 5,1-11). Ricordo che anch’io fui spaventato quando lessi per la prima volta questo episodio. I due, marito e moglie, cadono a terra morti, a poca distanza l’uno dall’altro, dopo aver mentito a Pietro sul prezzo del campo da loro venduto. Gli avevano dichiarato di consegnargli tutto il ricavato, invece avevano tenuto per sé di comune accordo una parte dei soldi ricevuti. La severità di Pietro appare tanto più difficile da comprendere in quanto lo stesso apostolo, pochi capitoli dopo, tratta con maggiore benignità un certo Simone. Questi vorrebbe acquistare per denaro la capacità di fare guarigioni (di qui il nome di «simonia» per il tentativo di acquistare con denaro un potere nella Chiesa). Anche in tal caso le parole sono forti: «Possa andare in rovina tu e il tuo denaro, perché hai pensato di poter comprare con i soldi il dono di Dio» (Atti 8,20). Ma a queste parole viene aggiunto l’invito alla conversione: «Convertiti dunque da questa tua iniquità e prega il Signore che ti sia perdonata l’intenzione del tuo cuore. Ti vedo infatti pieno di fiele amaro e preso nei lacci dell’iniquità» (Atti 8,22-23).
Anche Paolo, sempre negli Atti degli apostoli, tratta con severità un certo Elima, che cercava di distogliere il proconsole Sergio Paolo dalla fede: «Uomo pieno di ogni frode e di ogni malizia, figlio del diavolo, nemico di ogni giustizia, quando cesserai di sconvolgere le vie diritte del Signore?» (Atti 13,10). Il castigo è la cecità temporanea, ma non la morte. Che cosa è dunque accaduto, secondo la mente dell’autore degli Atti, nel caso di Anania e Saffira? Essi avevano compiuto il gesto solenne e pubblico di donare tutto per la comunità, dalla quale sarebbero stati tenuti in grande onore e probabilmente anche mantenuti. La loro parola data a Pietro era una dichiarazione sacra di fronte a Dio. Si può pensare che in quei primi inizi fosse di grande importanza sottolineare il carattere sacro della comunità e l’autorità piena data agli apostoli. Confesso che questi argomenti, con cui tento di ricostituire la mentalità di quel tempo, non ci lasciano del tutto convinti.
Forse occorre penetrare nel significato profondo della menzogna, come peccato originario, vero cancro delle comunità e della società. Ne facciamo esperienza anche in questi giorni. Gesù nel Vangelo secondo Giovanni (8,44) dice che lo spirito del male «è stato omicida fin dal principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui». Ma temo che questo tipo di riflessioni siano, per il lettore medio, piuttosto causa di nuovi problemi e perciò mi fermo qui. In ogni caso mi pare chiaro, come si vede dalla dichiarazione di Pietro (Atti 5,4) che si trattava di una qualche forma di comunione dei beni, non obbligatoria: quindi di una certa forma di «comunismo», che scomparve ben presto nelle prime comunità per dare luogo ad altri modi di aiuto reciproco (vedi la «colletta» in san Paolo, per es. 2a Lettera ai Corinzi, capitoli 8 e 9). Lo scrivente dice di aver trovato anche altre interpretazioni dell’episodio. Non mi stupirei di questa molteplicità, che era già nota agli Ebrei fin dai tempi più antichi. Essa non solo denuncia la nostra lontananza dai testi, per cui non riusciamo sempre a metterci d’accordo sul loro significato, ma mostra anche, in determinati casi, la ricchezza delle Scritture e la loro molteplice validità.
II. Come seconda lettera scelgo quella che riporta un passo ancora più duro dell’Antico Testamento: Dio colpisce tutti i primogeniti delle famiglie d’Egitto, causando un lutto incalcolabile e crudele. Noto anzitutto che non è del tutto esatto dire che Dio sacrifica «i bambini». Il primogenito, nelle famiglie numerose, era il più anziano di tutti i figli. Quindi non si tratta solo di bambini, ma di adulti e anche di bambini. In ogni caso Dio non intendeva condannare i primogeniti degli egiziani alla morte eterna, ma soprattutto (si consoli il mio interlocutore) queste morti dei primogeniti non fanno probabilmente parte della storia reale. Nei documenti egiziani non si trova traccia di questo misterioso giudizio di Dio. Si tratta di un racconto idealizzato, che vuol mettere in risalto lo straordinario aiuto di Dio nel far uscire gli Ebrei dall’Egitto. Noi non possiamo oggi sapere bene quale fu questo aiuto, ma esso rimase nella memoria del popolo come quello di un «inizio» straordinario della sua liberazione. Ancora oggi nella festa di Pasqua esso viene cantato da tutti i membri della famiglia riuniti a mensa nel ricordo di questi fatti.
Con questo noi abbiamo non diminuito, ma moltiplicato i problemi: le pagine dell’Antico Testamento non vanno sempre prese alla lettera, ma contengono anche una riedizione sacrale e aulica di una storia antica molto più semplice? Su questo argomento ci sarebbe molto da dire e da discutere, e per oggi me ne astengo. Ma rimane una difficoltà: prescindendo dal fatto, se esso sia avvenuto o no, come mai l’autore sacro ha riportato la notizia della morte dei primogeniti come un fatto sì doloroso, ma anche come qualcosa che Dio può fare senza condanna morale? Ebbene, quando noi leggiamo l’«Antico Testamento» dobbiamo considerare che esso è scritto «dalla parte di Israele», cioè con molta sensibilità per il benessere del popolo e con l’accettazione per gli altri del potere di vita e di morte che Dio ha e che esercita soprattutto sull’uomo peccatore. Si tratta di qualcosa che non è tanto «palatabile» per noi, ma che non faceva alcuna difficoltà per quel tempo.
23 giugno 2009