NON C'E' LIBERALISMO SENZA DIO -Corriere della Sera 23/11/08

Segnalazioni di giornali, riviste, trasmissioni radio-televisive che riguardino i Movimenti Religiosi Alternativi e le tematiche a questi connesse.

Moderatore: GrisAdmi

NON C'E' LIBERALISMO SENZA DIO -Corriere della Sera 23/11/08

Messaggioda Leonardo » sab nov 29, 2008 6:47 pm

Non c’è liberalismo senza Dio
Il saggio di Marcello Pera con un testo del Papa. «Il cristianesimo, chance dell’Europa»

«La mia posizione è quella del laico e liberale che si rivolge al cristianesimo per chiedergli le ragioni della speranza», di una «speranza» possibile per la nostra società, per la politica, per il mondo delle istituzioni, ed in particolare per la vecchia Europa, «la terra più scristianizzata dell'Occidente e se ne fa un vanto». Dove vivere come se nessun Dio esistesse «non sta dando i frutti promessi». Europa che al cristianesimo deve ritornare «se vuole davvero unificarsi in qualcosa che assomigli ad una nazione, una comunità morale». Nel suo nuovo libro (Mondadori), Marcello Pera si mette sulle orme di Kant, (che nella Critica della ragion pratica affermava: «La speranza comincia soltanto con la religione»), e di Benedetto Croce («Non possiamo non dirci cristiani»). Ma ancora di più segue la lezione «scientifica» dell'empirismo inglese di Locke (che scrisse La ragionevolezza del cristianesimo), dei Padri fondatori della nazione americana e di Tocqueville. E proprio a partire dallo studio dei problemi drammatici di ordine morale, politico, religioso posti dalla convivenza umana contemporanea (da quelli bioetici a quelli dell'integrazione) giunge a spingersi più in là: dal «non possiamo non dirci» al «dobbiamo dirci cristiani».

I cambiamenti dell'ultimo scorcio del XX secolo richiedono, secondo Pera, per logica interna, questo ulteriore sviluppo, rispetto ai tempi in cui la società era ancora per larga parte permeata dal cristianesimo e dal suo spirito religioso. Perciò arriva a sostenere, dimostrandolo, che «alzare la bandiera cristiana» è l'unica occasione affinché non solo l'Occidente, ma anche ogni singolo essere umano (il liberalismo è per sua natura non etnocentrico, ma universalista) possa ancora avere una prospettiva positiva, una chance. «Non si tratta — annota Pera — di conversioni o illuminazioni o ravvedimenti». Sono queste «tutte cose importanti, delicate e rispettabili ma che attengono alla sfera della coscienza personale». «Si tratta di coltivare una fede (altra espressione appropriata non c'è) in valori e principi che caratterizzano la nostra civiltà, e di riaffermare i capisaldi di una tradizione della quale siamo figli». E ancora: «I grandi Padri del liberalismo classico, questo problema lo avevano chiaro (...). Oggi che è diventato anticristiano, il liberalismo è senza fondamenti e le sue libertà sono appese nel vuoto». Si potrebbe dire che le «equazioni laiche» di Pera — ordinario di Filosofia della scienza a Pisa, studioso di Karl Popper, già coautore insieme all'allora cardinale Ratzinger del bestseller Senza radici — a livello della «ragion pratica» o della phronesis aristotelica, fanno il paio con quello che sul piano della metafisica è il teorema di Gödel, che dimostra matematicamente la necessità dell'esistenza di Dio.

Da una parte: «Dio esiste necessariamente, come volevasi dimostrare ». Dall'altra: «Per ciò e per concludere, dobbiamo dirci cristiani». Pera scrive: «Liberalismo e cristianesimo sono congeneri. Togliete al primo la fede del secondo, e anch'esso scomparirà». Il liberale è «cristiano per cultura». Per lui il «dono di Dio» è solo «un patrimonio di virtù, costumi, civiltà: la nostra». Differente dal «cristiano per fede» in Gesù Cristo, personalmente incontrato, seguito, amato. Ma essere solo «cristiano per cultura», giunti ormai alla fine del primo decennio del XXI secolo, non basta nemmeno più, secondo Pera: «Colui che si limita o si sente limitato, a sentirsi cristiano per cultura» non deve negarsi alla possibilità anche di credere in Cristo. «È necessario che la ricchezza dell'esperienza umana non sia amputata della presenza nella nostra vita del senso del divino, del sacro, del mistero, dell'infinito». Naturalmente questo è «un appello, motivato e drammatico, non ancora (se mai lo sarà) una soluzione teoreticamente già disponibile». Sono ragionamenti che hanno delle conseguenze «politiche» che faranno molto discutere. Pera, ad esempio, confuta quelli che negli ultimi anni sono diventati dei veri e propri tabù del dibattito pubblico italiano e internazionale. E cioè che possa esistere il cosiddetto «dialogo interreligioso». In questo, lo stesso Benedetto XVI, nella lettera che introduce al volume (un evento eccezionale, se non unico) e che qui pubblichiamo integralmente, gli dà apertamente ragione. Si deve piuttosto parlare di «dialogo tra culture ».

Allo stesso modo Pera dimostra la contraddittorietà intrinseca del concetto di «multiculturalità». Affinché quello che la ragione riconosce come necessario possa accadere nella vita di ciascuno e nella storia di nazioni e popoli, ci vuole una decisione. «Alla fine, sta a noi scegliere. (...) La scelta cristiana, di darsi a Dio (credente in Cristo, ndr) o di agire velut si Christus daretur (cristiano per cultura, ndr) ha prodotto i migliori risultati. Quella scelta ha grandi vantaggi, anche nel campo dell'etica pubblica. (...) Non separeremo la moralità dalla verità, non confonderemo l'autonomia morale con la libera scelta individuale, non tratteremo gli individui, nascenti o morenti, come cose, non acconsentiremo a tutti i desideri di trasformarsi in diritti, non confineremo la ragione nei soli limiti della scienza, non ci sentiremo più soli in una società di estranei o più oppressi in uno Stato che si appropria di noi perché noi non sappiamo più orientarci da soli». Ma una simile decisione, nessuno può nasconderselo, può essere generata solo dall'incontro con un fatto che susciti una fiducia e un'attesa. Di Ratzinger, «Papa della speranza cristiana», Pera scrive: «Posso solo dire che, nonostante tutte le mie sollecitazioni interiori, questo lavoro non ci sarebbe stato se Benedetto XVI non avesse scritto e parlato e non testimoniasse ciò di cui scrive e parla». Un fatto, insomma, che mantenga «aperta» la ragione a quella possibilità che tutto (il relativismo, l'aggressività del fondamentalismo religioso, la reificazione dell'uomo) «invoca » come necessaria. Solo la speranza, di cui scrive Paolo nella Lettera agli Ebrei, colma lo iato tra la condizione percepita dalla ragione come necessaria e la realtà. È per questo che Charles Péguy, nel Portico del Mistero della seconda virtù, fa dire a Dio: «La fede che più amo è la speranza».

Maria Antonietta Calabrò
23 novembre 2008
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Re: NON C'E' LIBERALISMO SENZA DIO -Corriere della Sera 23/11/08

Messaggioda Leonardo » sab nov 29, 2008 6:52 pm

Il dialogo tra le religioni non è possibile. La fede non si può mettere tra parentesi
di PAPA BENEDETTO XVI

Caro Senatore Pera,
in questi giorni ho potuto leggere il Suo nuovo libro Perché dobbiamo dirci cristiani. Era per me una lettura affascinante. Con una conoscenza stupenda delle fonti e con una logica cogente Ella analizza l’essenza del liberalismo a partire dai suoi fondamenti, mostrando che all’essenza del liberalismo appartiene il suo radicamento nell’immagine cristiana di Dio: la sua relazione con Dio di cui l’uomo è immagine e da cui abbiamo ricevuto il dono della libertà. Con una logica inconfutabile Ella fa vedere che il liberalismo perde la sua base e distrugge se stesso se abbandona questo suo fondamento. Non meno impressionato sono stato dalla Sua analisi della libertà e dall’analisi della multiculturalità in cui Ella mostra la contraddittorietà interna di questo concetto e quindi la sua impossibilità politica e culturale. Di importanza fondamentale è la Sua analisi di ciò che possono essere l’Europa e una Costituzione europea in cui l’Europa non si trasformi in una realtà cosmopolita, ma trovi, a partire dal suo fondamento cristiano-liberale, la sua propria identità. Particolarmente significativa è per me anche la Sua analisi dei concetti di dialogo interreligioso e interculturale.

Ella spiega con grande chiarezza che un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale che approfondisce le conseguenze culturali della decisione religiosa di fondo. Mentre su quest’ultima un vero dialogo non è possibile senza mettere fra parentesi la propria fede, occorre affrontare nel confronto pubblico le conseguenze culturali delle decisioni religiose di fondo. Qui il dialogo e una mutua correzione e un arricchimento vicendevole sono possibili e necessari. Del contributo circa il significato di tutto questo per la crisi contemporanea dell’etica trovo importante ciò che Ella dice sulla parabola dell’etica liberale. Ella mostra che il liberalismo, senza cessare di essere liberalismoma, al contrario, per essere fedele a se stesso, può collegarsi con una dottrina del bene, in particolare quella cristiana che gli è congenere, offrendo così veramente un contributo al superamento della crisi. Con la sua sobria razionalità, la sua ampia informazione filosofica e la forza della sua argomentazione, il presente libro è, a mio parere, di fondamentale importanza in quest’ora dell’Europa e del mondo. Spero che trovi larga accoglienza e aiuti a dare al dibattito politico, al di là dei problemi urgenti, quella profondità senza la quale non possiamo superare la sfida del nostro momento storico. Grato per la Sua opera Le auguro di cuore la benedizione di Dio.

Benedetto XVI
23 novembre 2008
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Re: NON C'E' LIBERALISMO SENZA DIO -Corriere della Sera 23/11/08

Messaggioda Leonardo » sab nov 29, 2008 6:56 pm

25 novembre 2008 - IL FOGLIO
Reazioni alla lettera del Papa sul dialogo e la multiculturalità
La prefazione di Benedetto XVI al saggio di Marcello Pera

“Un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale che approfondisce le conseguenze culturali della decisione religiosa di fondo. Mentre su quest’ultima un vero dialogo non è possibile senza mettere fra parentesi la propria fede, occorre affrontare nel confronto pubblico le conseguenze culturali delle decisioni religiose di fondo. Qui il dialogo e una mutua correzione e un arricchimento vicendevole sono possibili e necessari”. Parole tanto concise quanto pesanti, quelle che Papa Benedetto XVI scrive nella lettera che fa da prefazione al saggio di Marcello Pera “Perché dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo, l’Europa, l’etica” (Mondadori), da oggi in libreria.

Il Papa sconfessa dunque il dialogo interreligioso e promuove il dialogo interculturale, raccogliendo e rilanciando con la sua autorevolezza le tesi dell’ex presidente del Senato sulle radici cristiane del liberalismo. La sintesi giornalistica viene facile ma il bello viene dopo, quando si tratta di capire gli effetti di questa presa di posizione dentro il mondo cattolico che, com’è noto, anche su questo tema contiene un’ampia gamma di sensibilità. Dentro il Vaticano si avverte un certo imbarazzo, soprattutto nelle istituzioni deputate. Il portavoce della sala stampa padre Lombardi – interpellato ieri dal New York Times che ha dato rilievo alla notizia – si affretta a ricordare che “questo è un papato conosciuto per il dialogo religioso. Il Papa è andato in una moschea, è andato in sinagoghe. Questo significa che pensa possiamo incontrare e parlare con gli altri e avere una relazione positiva”. Eppure Benedetto XVI ha fatto sue in toto le parole di Pera, criticando così per interposta persona il modello multiculturale di cui sottolinea la “contraddittorietà interna” e l’“impossibilità politica e culturale”. (Saranno fischiate le orecchie al patriarca di Venezia, Angelo Scola, che su questo fronte si sta spendendo parecchio). Perché a nessun prezzo, nemmeno la quieta la convivenza tra civiltà, si può mettere tra parentesi la fede.

Padre Bernardo Cervellera, direttore di Asianews, non è sorpreso. “Ratzinger coltiva da sempre questa impostazione: non vale la pena dialogare a livello teologico perché in questo modo non si arriva da nessuna parte, la storia è lì a dimostrarlo. Dopo il concilio la chiesa ha aperto moltissimi canali di dialogo teologico. Con le diverse confessioni cristiane in parte ha funzionato, ma con le altre religioni non è servito altro che a individuare alcuni valori comuni molto generici: la preghiera, il senso del peccato. Concetti che poi ogni interlocutore, tornato a casa sua, ritraduce nel proprio contesto religioso. Alle fine diventano esercizi di puro relativismo, si ottiene semplicemente un minimo comune denominatore”. Uno sforzo estremo per un risultato modesto. “Infatti. Già come prefetto della congregazione per la Dottrina della fede Ratzinger aveva sottolineato invece l’importanza del dialogo interreligioso a livello culturale e sociale. Ogni religione si confronta quindi a partire dal proprio credo e su aspetti concreti: educazione, uguaglianza uomo-donna, ecc. Questa via è decisamente più fruttuosa”.

Cervellera cita il recente forum tra Santa Sede ed esponenti islamici. “Quando sono arrivati, i musulmani volevano impostare un dialogo di tipo teologico ed è stato proprio il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso a chiedere che si affrontassero piuttosto questioni concrete: dignità dell’uomo, diritti religiosi, condizione femminile, eccetera”. Insomma, l’obiettivo della gerarchia cattolica sembra quello di sottrarsi a una deriva astratta, a un approccio idealistico che porta dritti all’indistinzione: “Questo non significa rinunciare a priori al dialogo – precisa Cervellera – Ma è possibile realizzarlo solo a partire da identità forti, in tal modo ciascun interlocutore è più curioso dell’altro e valorizza la diversità di vedute”. Un metodo che pare funzionare meglio dove i cristiani sono una minoranza, come in Giappone. Proprio ieri, a Nagasaki, sono stati beatificati 188 martiri cristiani. “Il Giappone – osserva padre Cervellera – sta smarrendo alcuni caposaldi della sua cultura: l’interruzione della catena generazionale, lo smarrimento dei punti di riferimento sociali testimoniato da un’ondata impressionante di omicidi. In questo senso, la testimonianza cristiana assume il valore di una provocazione culturale”.

Anche Vito Mancuso, famoso teologo non allineato, condivide l’impostazione di fondo di Benedetto XVI. “A livello politico-diplomatico è un intervento chiarificatore. Le numerose giornate del dialogo interreligioso lasciano il tempo che trovano; meglio andare ai problemi concreti: ruolo della donna, giustizia, sviluppo economico, eccetera”. La presa di posizione di Papa Ratzinger ha comunque un fondamento metafisico. “Una volta stabilita l’equazione religione uguale verità, il resto viene di conseguenza. Siccome ogni religione si considera depositaria della verità, per chi professa un altro culto non resta che la conversione. Perciò il dialogo, cioè il confronto a pari livello, diviene possibile solo per le implicazioni sociali e culturali, non certo per quelle teologiche. Non a caso il rabbino Di Segni, ieri sul Corriere, ha condiviso in pieno le osservazioni del Papa”. “Non si può dialogare a livello teologico, altrimenti si creano solo degli equivoci e anche una retorica controproducente e nuovi ritualismi” ha dichiarato infatti il capo della comunità ebraica di Roma, mentre esponenti dell’Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia) si sono mostrati più perplessi.

Da parte sua, Mancuso aggiunge un’osservazione critica. “Siamo proprio sicuri che la coscienza del singolo credente conosca la storia della propria e delle altrui dottrine a un grado tale da identificare il dogma con la verità? Il mistero divino è più grande di qualunque formula e dottrina positiva. In questo senso è giusto dialogare con un musulmano o un buddista o un induista, non per giungere a un qualche compromesso teorico ma per una reciproca illuminazione. Il cristianesimo ha ancora molto da dare e da ricevere. Il patrimonio dottrinale cristiano si è sempre evoluto: non ci siamo fermati ai Padri della chiesa né al tomismo, il progresso è costante e le zone di oscurità da rischiarare grazie al confronto con gli altri non mancano”.

Quindi non dialogo tra religioni ma tra credenti. “Il singolo fedele non ha sempre quella illuminazione piena della verità che lo possa esentare dal confronto. Dal Papa la si può pretendere, dall’anima semplice no”. A proposito di fondamenta dottrinali, don Gianni Baget Bozzo fa notare che “la posizione del Papa era già pienamente espressa nella Dominus Jesus”, la dichiarazione della congregazione per la Dottrina della fede dell’agosto 2000 sull’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della chiesa, documento contraddistinto da una forte riaffermazione dell’identità cattolica. In questo caso, la forma è diversa. “Si tratta di una lettera-prefazione, quindi qualcosa di più personale; diciamo che è un atto della persona del Papa e non del Papa”. In ogni caso secondo Baget Bozzo “il Papa non sconfessa il dialogo interreligioso ma ne dà un’interpretazione sensata. Non bisogna dimenticare che il dialogo è escluso da quasi tutte le religioni: islam, induismo, confucianesimo. Perciò è meglio spostarsi sul piano concreto della libertà religiosa. La chiesa l’ha provato sulla propria pelle, ha dato la libertà religiosa all’occidente e adesso è nella posizione di poterla chiedere alle altre religioni”. Il dialogo passa dunque da istituzioni e stati, “ma il problema è che i musulmani non hanno chiara la distinzione chiesa-stato”. Ci vorrebbe un illuminismo anche per l’islam. “Putroppo credo non sia possibile”, conclude Baget Bozzo.

Paolo Branca, docente di Lingua araba presso il dipartimento di Scienze religiose dell’Università Cattolica di Milano, riconosce che “il termine dialogo si è svilito, condito da troppe buone intenzioni ma accompagnato da scarse esperienze di qualità. E’ tuttavia innegabile che, dal concilio in qua, il confronto sempre più approfondito anche con altre esperienze religiose ha enormemente arricchito il pensiero cristiano. Non penso che una frase, per di più scritta in una lettera privata, intendesse mettere in discussione ciò in cui la chiesa si impegna con serietà, come nel recente forum cattolico-islamico di Roma promosso da un Pontificio consiglio che si chiama appunto ‘per il dialogo interreligioso’. Altra cosa è segnalare i rischi del multiculturalismo relativista, che esistono e sono gravi”. Secondo Branca è meglio parlare di intercultura “nella quale le tradizioni religiose hanno un ruolo non solo utile ma indispensabile da giocare. I sistemi teologici sono sempre alternativi e in qualche misura si escludono a vicenda, ma non è un caso che siano stati elaborati dagli uomini: quando Dio ha parlato, ha usato un altro stile… ci sarà pure una ragione”.

di Marco Burini
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Re: NON C'E' LIBERALISMO SENZA DIO -Corriere della Sera 23/11/08

Messaggioda Sandro » mar dic 02, 2008 11:48 am

Questa presa di posizione, chiarificatrice del Papa sul cosa si può sperare dialogando con esponenti di altre fedi, si tradurrà, per noi del GRIS, in un "dialogo di confronto critico" ove:

- dialogo: indica semplicemente un parlare e ascoltare rispettosa-mente e empatica-mente l'altro con lo sforzo di entrare nella sua mentalità per non equivocare e non attribuirgli posizioni e idee che non corrispondono realmente alla fede da lui professata (e qui il "GRISsino" esperto, potrà anche appuntarsi utilmente se il soggetto con cui dialoga è esponente preciso della dottrina della sua denominazione o la conosce approssimativamente. Cosa che ci capita spesso dialogando con tanti TG che risultano ignari di tante cose stampate nei loro libri);

- di confronto: indica lo scambio reciproco delle idee. Quindi esclude l'approccio proselitistico di chi vorrebbe solo presentare la sua fede senza ascoltare l'altro (e questo metterà a dura prova la pazienza dei Testimoni, inviati solo a "predicare... proclamare... dare l'avvertimento", perfino come "locuste all'assalto" che recano un messaggio basilarmente intimidatorio di imminenza finemondista. Il GRISsino, per non perdere inutilmente tempo, dovrà esigere che il TG ascolti pazientemente anche ciò che noi abbiamno da dire, e risponda alle nostre domande, da "biblista" o persona "qualificata per insegnare" come la Società Torre di Guardia lo presenta);

- critico: indica il senso etimologico della parola che viene dal greco krìno e significa "esamino attentamente e soppeso, valuto" e non già, come verrebbe in mente a tutta prima "boccio su tutta la linea aprioristicamente". (E qui, ancora rifacendoci all'esperienza ventennale di "dialogo" con i TG, emerge l'utilità della buona preparazione e preconoscenza della dottrina geovista da parte del GRISsino, così da poter porre in luce agli occhi meravigliati del TG interlocutore* cose della sua stessa dottrina che egli ignora ma che fanno parte della ufficialità perché sono state pubblicate dalla WT, e tuttavia stonano non rientrando né nell'armonia dell'insieme [ripensamenti, impertinenze, profezie fasulle] né nel rispetto della logica [sofismi, astuzie e trucchi travestiti da ragionamenti, cavilli furbeschi, inesattezze e falsità ben mimetizzate] né della onestà nei confronti della Bibbia [manipolazioni testuali].
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Re: NON C'E' LIBERALISMO SENZA DIO -Corriere della Sera 23/11/08

Messaggioda Generale Specifico » mer dic 03, 2008 6:59 am

Che dire?

Dovremo leggere il libro di Pera... anche per capire fino in fondo il senso delle parole del Pontefice.
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Re: NON C'E' LIBERALISMO SENZA DIO -Corriere della Sera 23/11/08

Messaggioda Leonardo » sab dic 06, 2008 9:55 pm

Intervento del Cardinal Ruini alla presentazione del libro di Marcello Pera - ZENIT 6/12/2008

ROMA, sabato, 6 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'intervento pronunciato questo giovedì a Roma dal Cardinale Camillo Ruini in occasione della presentazione del libro del senatore Marcello Pera “Perché dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo, l'Europa, l'etica”.

* * *
Il libro di Marcello Pera Perché dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo, l'Europa, l'etica è decisamente importante in sé ed è ancora più importante per la lettera inconsueta che Benedetto XVI ha scritto al suo Autore.

Si può dire che è un libro a tesi, in senso positivo, in quanto sostiene una posizione dichiarata con chiarezza fin dall'inizio e poi argomentata attraverso tutte le pagine. Già nell'introduzione Marcello Pera scrive: "La mia posizione è quella del laico e liberale che si rivolge al cristianesimo per chiedergli le ragioni della speranza". La conclusione di tutto il percorso, e anche di ciascuno dei tre capitoli in cui il libro si articola, è quindi che "dobbiamo dirci cristiani": una conclusione forte e in buona misura contro corrente, cosa di cui l'Autore è ben consapevole. Il libro si colloca pertanto dentro al grande dibattito riguardo al cristianesimo che attraversa da alcuni anni, con nuovo vigore, tutto l'Occidente. Un dibattito che si muove tra due poli: quello di coloro che vorrebbero espungere il cristianesimo dalla nostra cultura pubblica, o almeno ridimensionare la sua presenza, e quello di coloro che cercano invece di mantenere e rimotivare questa presenza, ritenendola oggi particolarmente necessaria e benefica.

In questo contesto è estremamente significativa la lettera di Benedetto XVI. Una lettera inconsueta, come dicevo, ma per nulla isolata. Essa rientra infatti nella nutrita serie dei rapporti e delle convergenze tra Marcello Pera e il Cardinale Ratzinger, e poi il Papa Benedetto XVI. Il primo atto di questa serie sono le due conferenze che il Presidente Pera e il Cardinale Ratzinger hanno tenuto rispettivamente il 12 e il 13 maggio 2004 all'Università Lateranense e nella Sala del Capitolo del Senato. A queste due conferenze fece seguito lo scambio di due lettere di approfondimento e il tutto è stato pubblicato ancora nel 2004 da Mondadori in un libro dal titolo Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, islam: come si vede, sono almeno in buona parte i temi del libro che presentiamo questa sera e della lettera del Papa. Poi Benedetto XVI affidò a Marcello Pera l'introduzione al suo libro L'Europa di Benedetto nella crisi delle culture, uscito nel maggio 2005 presso l'Editore Cantagalli, che raccoglieva alcuni suoi interventi da Cardinale, tra cui l'ultimo pronunciato a Subiaco il 1° aprile 2005, il giorno precedente alla morte di Giovanni Paolo II, nel quale era contenuto l'invito, rivolto agli amici non credenti, a cercare comunque di vivere e indirizzare la propria vita veluti si Deus daretur, come se Dio ci fosse. E il Presidente Pera intitolava la sua introduzione "Una proposta da accettare". Ancora, il 15 ottobre 2005, in occasione di un convegno della Fondazione Magna Carta su libertà e laicità, Benedetto XVI inviò al Presidente Pera una lettera assai significativa nella quale proponeva una laicità "sana" e "positiva". Nella lettera pubblicata nel libro che presentiamo questa sera il Papa non solo manifesta grande apprezzamento e consenso per il libro stesso, ma prende a sua volta posizione, con affermazioni brevi ma puntuali e pregnanti, sulle principali questioni che esso affronta. Ritornerò dunque sulle parole del Pontefice esaminando ciascuna delle questioni stesse. Per ora osservo soltanto che queste parole esprimono non solo una simpatia personale ma una sintonia profonda sui contenuti e gli orientamenti.

Prima di entrare nel merito degli argomenti aggiungo una parola sull'indole di questo libro: è il lavoro di uno studioso che maneggia con grande padronanza gli strumenti analitici ai quali si è formato negli anni della ricerca e dell'insegnamento, soprattutto nel campo della filosofia delle scienze. E' pertanto un testo rigoroso ed organico. Ma è anche un libro - come dice l'Autore stesso - scritto per farsi capire dal pubblico più ampio possibile, che in alcune pagine può richiedere un piccolo sforzo filosofico, ma comunque entro limiti accettabili per il normale lettore. Un libro dunque che congiunge il rigore argomentativo con la passione personale e l'immediatezza del linguaggio.

Questo libro è denso di riferimenti e ricco di approfondimenti, ma la sua struttura è sostanzialmente semplice e si ripete nei tre capitoli, dedicati rispettivamente al liberalismo, all'Europa e all'etica. Perciò è possibile presentare questi capitoli unitariamente, mettendo in luce lo schema argomentativo che hanno in comune. Si parte dalla situazione attuale e in concreto dalla sua problematicità, dalle aporie e dalle debolezze che si riscontrano sia nella teoria e prassi del liberalismo sia nel processo di unificazione dell'Europa sia nell'etica pubblica. Poi si individuano le ragioni di queste difficoltà, che vengono ricondotte in ciascuno dei capitoli al divorzio dal cristianesimo. Anche qui l'Autore procede non in maniera astratta ma tratteggiando con cura la parabola storica di questo allontanamento: all'inizio del percorso si riscontra in ciascuno dei casi un rapporto forte e profondo con il cristianesimo, che poi si allenta progressivamente, con la tendenza ad estinguersi o anche a rivolgersi nel suo contrario, trasformandosi in ostilità e insofferenza. Una terza tappa dell'argomentazione consiste nel mostrare che quella parabola non era motivata da ragioni necessarie, perché intrinseche al suo punto di partenza, ma al contrario rappresenta piuttosto una deviazione rispetto alle premesse. Da ultimo vengono addotte le motivazioni per le quali conviene, anzi è doveroso - secondo la formula "dobbiamo dirci cristiani" - riconoscere e ristabilire concretamente il legame del liberalismo, dell'Europa e della sua unità e dell'etica, compresa in particolare l'etica pubblica, con il cristianesimo. Queste motivazioni sono di ordine sia pratico sia anche teoretico e il legame che intendono giustificare non è accidentale ma intrinseco.

L'Autore dedica giustamente molta attenzione a precisare più concretamente la natura di tale legame e quindi il senso nel quale dobbiamo dirci cristiani se intendiamo essere autenticamente liberali, se vogliamo che giunga a compimento il processo dell'unificazione europea, se desideriamo invertire la tendenza alla deriva dell'etica. Centrale è qui la distinzione tra "cristiani per fede" e "cristiani per cultura". Ai fini predetti, occorre essere cristiani per cultura, mentre non è e non può essere necessario essere cristiani per fede: quest'ultima è una scelta che appartiene alla vita personale di ciascuno di noi, al mistero del nostro rapporto con Dio. Non basta tuttavia, secondo Marcello Pera, trincerarsi nel solo "cristiani per cultura": è necessario superare un razionalismo chiuso e aprirsi all'ampiezza dell'esperienza umana, non amputandola della presenza nella nostra vita del senso del divino, del mistero, del sacro e dell'infinito. E' necessario dunque essere aperti al "salto" della fede, senza per questo esigere in alcun modo che esso sia effettivamente compiuto. L'Autore si riferisce a questo riguardo non solo a Pascal ma anche al Kant della Critica della ragion pratica, per il quale "è moralmente necessario ammettere l'esistenza di Dio" e vivere veluti si Deus daretur. Infatti, sempre secondo Kant, "la speranza comincia soltanto con la religione", e Marcello Pera aggiunge che ciò vale non solo per la speranza ma anche per la nostra vita politica: le leggi non bastano, occorrono virtù adeguate e a tal fine la religione cristiana deve essere anche un sentimento, che si traduce in un costume civile. Così l'Autore ripropone, con proprie motivazioni e dal proprio punto di vista, il veluti si Deus daretur di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI.

All'interno di questo quadro generale il percorso di ciascuno dei tre capitoli è naturalmente differenziato in rapporto ai temi trattati. Non essendo possibile qui seguire la trama dei singoli sviluppi mi limiterò ad alcuni punti nodali che mi sembrano più rilevanti. Il primo, che l'Autore affronta espressamente solo nel terzo capitolo ma che gioca un ruolo essenziale in tutto l'impianto del libro, riguarda il rapporto tra liberalismo e relativismo. La posizione di Pera è netta: "se il relativismo è corretto, il liberalismo sbaglia con la sua pretesa di validità universale, con i suoi diritti di tutta l'umanità, con la sua idea di produrre un regime migliore degli altri". Perciò il relativismo è incompatibile con il liberalismo, e a maggior ragione con il cristianesimo il cui Fondatore ha detto: "Io sono la via, la verità e la vita" (Gv 14,6). Viene rovesciata così la tesi diffusa che un atteggiamento relativistico sia invece indispensabile per la realizzazione di una società libera.

Un po' ovunque nel libro si mette in evidenza come il liberalismo autentico ed originario - quello dei "Padri", individuati principalmente in John Locke, Thomas Jefferson ed Immanuel Kant - sia la dottrina dei diritti fondamentali dell'uomo in quanto uomo - i diritti oggi riconosciuti dalle carte internazionali - che precedono come tali ogni decisione positiva degli Stati e si fondano su una concezione etica dell'uomo ritenuta vera e trans-culturale. Sempre in riferimento ai "Padri", l'Autore sottolinea la matrice teista e cristiana di tali diritti, iscritti nella nostra natura dal Creatore: per questo, come afferma la Dichiarazione di indipendenza americana, "tutti gli uomini sono creati uguali,... dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili". Così, mentre da una parte si conferma l'incompatibilità del liberalismo con il relativismo, dall'altra emerge il suo "nesso non estrinseco", storico e concettuale, con il cristianesimo.

Un pregio del libro è l'aver sottoposto ad un esame approfondito le posizioni e le motivazioni di alcuni principali teorici del liberalismo che non condividono questa tesi, tra i quali anzitutto John Rawls e Jürgen Habermas (quest'ultimo non un liberale in senso stretto). Essi sostengono l'autosufficienza del liberalismo politico, nel senso che esso non si basa su alcuna lettura "pre-politica" - etica, metafisica o religiosa che sia - e anche che esso distingue e separa la sfera pubblica, non religiosa, dalle sfere private, religiose o di altro tipo: anche se poi questa separazione dagli stessi autori - soprattutto da Habermas - è in buona misura attenuata e corretta, con il risultato però di rendere le loro posizioni alquanto incerte e anche non troppo coerenti. Marcello Pera mostra come questa autosufficienza del liberalismo sia soltanto apparente, mentre in realtà esso presuppone il riconoscimento dell'altro come persona e come fine in se stesso.

Assai diversa è la posizione di Benedetto Croce: specialmente nel celebre saggio Perché non possiamo non dirci cristiani, egli fa un grandissimo e commosso elogio del cristianesimo, come la più grande, e tuttora decisiva, rivoluzione che l'umanità abbia compiuto. Il suo liberalismo però non è una dottrina giuridico-politica, ma "una concezione totale del mondo e della realtà": in concreto la libertà è lo Spirito nella storia, mentre "lo svolgimento dello Spirito" è il cammino stesso della libertà. In questa concezione immanentista la rivoluzione cristiana può essere solo un momento dello svolgimento dello Spirito, destinato a riassorbirsi nell'immanenza dello Spirito stesso. Perciò, mentre il filosofo idealista vede nell'uomo religioso il suo "fratello minore, il suo se stesso di un momento prima", quest'ultimo non può non vedere nel filosofo "il suo avversario, anzi il suo nemico mortale". Pera conclude che in questo modo Benedetto Croce - sia pure controvoglia - finisce con il dare una giustificazione filosofica, e non solo contingente come è ad esempio l'anticlericalismo, alla "equazione laica" che vuole identificare l'autentico liberalismo con il superamento della religione e con il laicismo.

Alla luce di tutto questo suonano molte precise e impegnative le parole della lettera di Benedetto XVI: "Con una conoscenza stupenda delle fonti e con una logica cogente Ella analizza l'essenza del liberalismo a partire dai suoi fondamenti, mostrando che all'essenza del liberalismo appartiene il suo radicamento nell'immagine cristiana di Dio... Con una logica inconfutabile Ella fa vedere che il liberalismo perde la sua base e distrugge se stesso se abbandona questo suo fondamento".

A questo punto è possibile dar conto più rapidamente di altre tesi qualificanti di questo libro. In particolare di quella riguardante il multiculturalismo, che l'Autore esamina giustamente subito dopo aver parlato del relativismo, con il quale il multiculturalismo ha un legame profondo. Non si tratta semplicemente del dato di fatto che le società moderne sono complesse e contengono al loro interno minoranze, comunità, gruppi di varie etnie e culture. Specifica e decisiva dell'approccio multiculturale è la convinzione che non possano esistere criteri per valutare se una cultura sia migliore o peggiore di un'altra: ogni forma di cultura avrebbe infatti caratteristiche proprie e irriducibili e meriterebbe il medesimo rispetto delle altre. Marcello Pera riconosce senz'altro il contributo delle culture alla formazione dell'identità delle persone e alla stessa vita di una società libera, a condizione però che siano rispettati, e prevalgano su ogni differenza culturale, i diritti fondamentali e naturali delle persone. Proprio qui il multiculturalismo mostra il proprio limite, perché la sua logica interna lo conduce a misconoscere il carattere universale e inalienabile di tali diritti. Le sue conseguenze pratiche sono a loro volta spesso incresciose: esso rende la più ampia società insicura di sé e può condurla a ripudiare la propria identità sia culturale sia religiosa, e d'altro canto non facilità ma ostacola una effettiva integrazione degli immigrati. Anche a questo riguardo la lettera di Benedetto XVI contiene parole inequivocabili: "Non meno impressionato sono stato dalla Sua analisi... della multiculturalità in cui Ella mostra la contraddittorietà interna di questo concetto e quindi la sua impossibilità politica e culturale".

Con le grandi domande sul liberalismo, sul relativismo e sul multiculturalismo si connette la questione dell'Europa e della sua identità e unità, in rapporto al ruolo che ha avuto ed ha in Europa il cristianesimo. A questa questione è dedicato tutto il secondo capitolo del libro, ma qui possiamo limitarci al punto centrale: Marcello Pera individua la ragione chiave delle persistenti difficoltà del processo di unificazione dell'Europa, e in particolare dei fallimenti registrati a proposito della "Carta europea", nel rifiuto di riconoscere adeguatamente il ruolo svolto dal cristianesimo per la formazione dell'Europa e della sua identità e anche per la costruzione dello Stato liberale: è vero infatti che le tradizioni dell'Europa sono composite e che nell'arco dei secoli è avvenuta un'ampia mescolanza di culture, ma l'anima dell'Europa è il cristianesimo, che ha articolato, fuso e portato ad unità queste diverse culture e tradizioni, componendole in un quadro che ha fatto dell'Europa il "continente cristiano". E tuttora il cristianesimo, come ha riconosciuto Habermas, è la sorgente a cui si alimenta quella che lo stesso Habermas definisce "l'autocomprensione normativa della modernità", senza che siano disponibili a tutt'oggi opzioni alternative. Non riconoscere questo dato decisivo, e voler fondare invece l'unità europea soltanto su di un astratto "patriottismo costituzionale", come sembra proporre Habermas, lascia l'Europa senza una precisa identità e senza un principio realmente unificante, oltre a dividere l'Occidente allontanando l'Europa dall'America. Per questi motivi l'Autore conclude senza esitazioni: "l'Europa deve dirsi cristiana", incontrando di nuovo il forte consenso di Benedetto XVI che gli scrive: "Di importanza fondamentale è la Sua analisi di ciò che possono essere l'Europa e una Costituzione europea in cui l'Europa non si trasformi in una realtà cosmopolita, ma trovi, a partire dal suo fondamento cristiano-liberale, la sua propria identità".

In rapporto al problema del fondamentalismo religioso, e in particolare del fondamentalismo islamico, il libro entra anche nella tematica del dialogo interreligioso, al quale la Chiesa ha invitato i cattolici fin dalla Dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II. Marcello Pera afferma nettamente che un tale dialogo, "in senso tecnico e stretto" non può esistere, perché presuppone che gli interlocutori siano disponibili alla revisione e anche al rifiuto delle verità con cui iniziano lo scambio dialettico, mentre le religioni, e specialmente le religioni monoteiste e rivelate, hanno ciascuna la propria verità e i propri criteri per accertarla. Perciò, richiamandosi all'invito al "dialogo delle culture" con cui Benedetto XVI concludeva la sua celebre lezione di Regensburg, propone che tra le religioni si instauri questa seconda forma di dialogo, che riguarda non il nucleo dogmatico ma le conseguenze culturali - in particolare di tipo etico - delle diverse religioni, ossia i diritti attribuiti o negati all'uomo, i costumi sociali consentiti o proibiti, le forme di relazioni interpersonali ammesse o censurate, gli istituti politici raccomandati o vietati. Questo dialogo interculturale tra le religioni può essere dialogo in senso stretto e può condurre gli interlocutori a rivedere le proprie posizioni iniziali, correggerle, integrarle e anche rifiutarle, senza che ciò implichi necessariamente una messa in discussione del proprio nucleo dogmatico. Il patrimonio morale dell'umanità, inalienabile e non negoziabile, rappresenta secondo Pera il grande terreno comune di questo dialogo.

Su questa problematica indubbiamente delicata Benedetto XVI, nella sua lettera, si sofferma un poco più a lungo, prendendo ancora una volta una posizione netta e consonante. Egli scrive: "Particolarmente significativa è per me anche la Sua analisi dei concetti di dialogo interreligioso e interculturale. Ella spiega con grande chiarezza che un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile... senza mettere tra parentesi la propria fede". Urge invece "tanto più il dialogo interculturale che approfondisce le conseguenze culturali della decisione religiosa di fondo". Occorre pertanto affrontare tali conseguenze "nel confronto pubblico... Qui il dialogo e una mutua correzione e un arricchimento vicendevole sono possibili e necessari". Il Portavoce della Sala Stampa vaticana, Padre Federico Lombardi, ha osservato a giustissimo titolo che Benedetto XVI è personalmente assai impegnato nel dialogo tra le religioni, come mostrano tra l'altro le sue visite alle sinagoghe e ad una moschea. Rimane vero al tempo stesso che le parole da lui scritte al Presidente Pera rappresentano un chiarimento importante, e a mio avviso prezioso, circa la natura e le finalità di questo dialogo, nella linea che il Cardinale Ratzinger e poi Benedetto XVI aveva già più volte indicato e che ha un suo fondamentale aggancio nella Dichiarazione Dominus Iesus pubblicata nel 2000 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Ugualmente indispensabile, anche al fine di una corretta interpretazione dei vari documenti ecclesiastici, è tener conto del senso più preciso e più stretto, o invece più ampio e comprensivo, che assume via via la parola "dialogo".

Un ultimo punto a cui vorrei accennare è quello della "parabola dell'etica liberale", di cui si parla verso la fine del libro. Prendendo come riferimento dapprima Kant, poi John Stuart Mill e infine le interpretazioni del liberalismo attualmente prevalenti, Marcello Pera traccia la parabola seguente: con Kant la legge morale è la legge (cristiana) dell'imperativo categorico, con cui la ragione universale comanda, in modo altrettanto universale, la volontà. Questa legge impone il rispetto della persona. Con Stuart Mill la legge morale è la legge (utilitaristica) che comanda come buone l'azione o la regola a cui segue il massimo di utilità per tutti. Tale legge impone il rispetto della libertà. Per le correnti oggi prevalenti non esiste alcuna legge morale universale, né religiosa né laica, e - limitatamente al mondo liberale, in concreto occidentale - vale il rispetto delle libere scelte di valore degli individui. Siamo dunque passati dall'universalità alla relatività e dalla persona al soggetto che è unica norma a se stesso. L'Autore ne trae la conseguenza che anche qui ci troviamo di fronte a quel bivio del liberalismo, tra cristianesimo e laicismo, che egli aveva già indicato all'inizio del suo libro. A questo punto il bivio si può articolare così: o il liberalismo si sposa con una concreta dottrina del bene, in particolare quella cristiana che gli è congenere, e allora esso ha qualcosa da offrire alla crisi morale contemporanea, o invece il liberalismo si professa autosufficiente, "neutrale" o "laico", e allora diventa un moltiplicatore della crisi stessa. Anche qui Benedetto XVI mostra il suo interesse e il suo accordo, scrivendo: "Ella mostra che il liberalismo, senza cessare di essere liberalismo ma, al contrario, per essere fedele a se stesso, può collegarsi con una dottrina del bene, in particolare quella cristiana che gli è congenere, offrendo così veramente un contributo al superamento della crisi".

A chi mi chiedesse un giudizio personale su questo libro potrei rispondere semplicemente rimandando alla lettera di Benedetto XVI, dato che ne condivido i contenuti, non solo perché è scritta dal Papa, ma perché questi sono anche i convincimenti che ho maturato con crescente chiarezza. Preferisco però aggiungere brevemente qualcosa di mio, anzitutto riguardo alla lettera del Papa. Delle cinque prese di posizione in cui essa si articola, soltanto quella riguardante il rapporto tra Europa e cristianesimo può considerarsi la riaffermazione di una linea ben nota della Chiesa e dei Pontefici, sebbene anche qui suoni nuovo il parlare, da parte di un Pontefice, del fondamento cristiano-liberale dell'Europa. Le altre quattro prese di posizione, sul radicamento del liberalismo nell'immagine cristiana di Dio, sulla multiculturalità, sul dialogo interculturale piuttosto che interreligioso e infine sul rapporto tra il liberalismo e la dottrina cristiana del bene, si collocano certamente ben dentro alla linea di pensiero che Joseph Ratzinger-Benedetto XVI ha espresso ed approfondito in tante occasioni, ma costituiscono pur sempre, sia per i loro contenuti sia per il vigore e la nettezza con cui sono formulate, degli sviluppi o chiarimenti assai significativi che contribuiranno non poco al dibattito in corso sui rapporti tra il cristianesimo e il mondo contemporaneo.

Quanto all'Autore di questo libro, oltre ad esprimergli personale gratitudine per la forte e fortemente argomentata affermazione dell'importanza di dirsi cristiani oggi, vorrei pormi in dialogo con gli interrogativi che egli solleva nelle ultime pagine, per dire che l'invito di Benedetto XVI ad "allargare i confini della ragione" è certamente - come egli osserva - un appello, piuttosto che una soluzione già teoreticamente disponibile, e che in ogni caso quella di essere cristiani, o almeno di comportarsi da cristiani, rimane una scelta libera, ma proprio per questo è necessaria e urgente quella sincera e crescente collaborazione tra cattolici e laici che Benedetto XVI ha più volte auspicato e di cui questo libro, insieme alla lettera del Papa, è un ottimo esempio.
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Leonardo
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