Francesco COSSIGA e l'ABORTO - lettere al Direttore

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Francesco COSSIGA e l'ABORTO - lettere al Direttore

Messaggioda Leonardo » lun mag 19, 2008 2:49 pm

La lettera del giorno - Corriere della Sera Lunedi' 19 Maggio 2008
IL DIBATTITO SULL'ABORTO LA SCELTA DI UN FEDELE

La dura condanna dell'aborto, e specificatamente della legge 22 maggio 1978 n. 194, pudicamente chiamata: «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», pronunziata da Sua Santità Papa Benedetto XVI in una allocuzione nel corso di una udienza del Movimento per la Vita, ha dato e ancor più darà luogo a proteste, commenti, valutazioni, dichiarazioni di principio e anche di intenti, pur sul piano politico.
Lasciamo stare le accuse di «interferenza del Vaticano», frutto di ignoranza e di pregiudizi illiberali. È del tutto naturale che il Papa abbia potuto ribadire la condanna dell'aborto in quanto tale (come d'altronde farebbe uno dei Rabbini Capo di Gerusalemme o un pastore a capo di una Chiesa metodista evangelica), e che in quella stessa circostanza abbia anche condannato la legge n. 194. Del resto, nell'anniversario della emanazione dell'Enciclica «Humanae Vitae» da parte del Papa cattolico-liberale Paolo VI, egli condannò la regolazione artificiale delle nascite. Non comprendo la meraviglia che qualche cosiddetto «laico», anche se rispettoso della Chiesa Cattolica, ha manifestato; ma ne comprendo la causa che risiede nella confusione di pensiero e di comportamento che una certa lettura del Concilio Vaticano II, il cui pericolo Papa Montini avvertì sulla fine del Concilio stesso, aveva causato e ancora permane, non solo a livello di laici o di semplici sacerdoti, ma a livello di vescovi e anche di cardinali. Basti pensare alla posizione anti-romana della Conferenza Episcopale Tedesca proprio in materia «prossima» all'aborto; e alle posizioni assunte dalla Conferenza della Provincia Neerlandese dell'Ordine dei Predicatori, alias Domenicani, in materia di ordinazione sacerdotale e di consacrazione episcopale delle donne, nonché da alcuni dei più autorevoli settimanali cattolici del mondo, come Famiglia Cristiana e Jesus in Italia, il famosissimo The Tablet che si pubblica dal 1840 a Londra e il settimanale America della Compagnia di Gesù negli Stati Uniti. Nulla dico di alcuni cattolici italiani, anche vescovi e cardinali, perché credo che il loro «progressismo» sia dovuto in pari misura alla loro ignoranza (salvo uno, ora Arcivescovo emerito) e al loro desiderio di protagonismo.
Quindi da «cattolico infante», quasi un «teocon», e per di più suddito ecclesiale diretto del Papa, che è vescovo di Roma e cioè primariamente posto a capo della diocesi cui appartengo, concordo pienamente con le condanne ribadite dal Papa. Sul piano politico il discorso è diverso.
Questo Parlamento, questo Governo, questa opposizione, questo «Governo ombra», sono i più laici, anzi anche un po' «laicisti», che la storia della Repubblica ricordi. Si tratta di un sistema istituzionale e politico nel quale è venuta quasi totalmente meno, più accentuatamente a destra e un po' meno a sinistra, la presenza di cattolici legati ai grandi movimenti laicali o espressione del «cattolicesimo militante». Non vi sarebbe quindi alcuno spazio per una azione a livello parlamentare e neanche di «base», avviandosi di fatto la Chiesa italiana a diventare una «Chiesa della diaspora».
Sarebbe velleitario e pericoloso per la pace civile e religiosa e per la stabilità civile e politica, prendere iniziative politiche in questa materia, salvo che, per il principio del «male minore», collaborare per modifiche in senso morale migliorative della legge, ad esempio in materia di consultori, che possano avere un largo consenso. Perché uno è «testimoniare», che è un dovere, l'altro è «fare guerre» nella certezza di perderle.


Francesco Cossiga ,



Caro Presidente,
Lei conosce il mondo cattolico e i suoi dibattiti molto meglio dei suoi lettori. Tralascio quindi i suoi colpi di stiletto contro quegli ambienti cattolici, in Italia e altrove, che restano legati a una interpretazione «liberal» del Concilio Vaticano II. E' una materia su cui la mia competenza è soltanto quella dell'osservatore interessato e dilettante. Ma il resto della sua lettera è molto interessante per tutta la società italiana, indipendentemente dalle convinzioni politiche e dalla sua maggiore o minore fede religiosa. Spero di non allontanarmi troppo dalla verità se riassumo la sua tesi, con qualche considerazione aggiuntiva, in questi termini.
Sorprendersi delle parole con cui il Papa si è espresso sull'aborto è assurdo. Benedetto XVI ha enunciato la dottrina della Chiesa su una materia che riveste ai suoi occhi una straordinaria importanza. Non ha alcun senso pretendere che si esprima in termini diversi o cerchi di inseguire i cattolici «conciliaristi» con propositi ambigui e concilianti. Ma coloro che hanno la responsabilità di governare l'Italia non possono esimersi dal constatare che l'aborto, piaccia o no, non è soltanto l'interruzione di una gravidanza indesiderata. E' anche il mezzo di cui una donna si serve per correggere una condizione naturale che la rendeva obiettivamente inferiore all'uomo, è la soluzione a cui ricorre per modificare un rapporto in cui l'uomo può essere irresponsabile e la donna pagarne le conseguenze.
Le leggi sull'aborto sono indissolubilmente legate alla rivoluzione femminile: un movimento che cominciò in Inghilterra alla fine dell'Ottocento e che ha raggiunto l'Italia soltanto negli anni Sessanta. So che suscitano molte riserve anche fra i laici. Ma credo che la battaglia contro l'aborto, se qualcuno intende farla, non possa passare attraverso la eliminazione della legge. Anche Silvio Berlusconi sembra esserne consapevole. Nel suo discorso alla Camera ha detto che occorre «rimuovere le cause materiali dell'aborto» e uscire «dal rischio della denatalità» con un «grande piano nazionale per la vita e per l'infanzia». Un lungo giro di frase per dire che è meglio rinunciare alla soppressione della Legge 194.

Sergio Romano
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