da GrisAdmi » sab gen 05, 2008 4:08 pm
Capitolo primo
NASCITA DELL'INQUISIZIONE
La dottrina della Chiesa
Una grande norma domina l'azione degli Inquisitori: la Chiesa non vuole, in principio e per principio, la morte dell'eretico. Le punizioni hanno un carattere puramente penitenziale; esse sono "medicinali": esse aiutano a "guarire". Si tratta di un principio caro a San Benedetto (Regula; XXIII, 17): il fratello "ribelle" non può che essere un malato. La comunità deve pregare perché Dio gli ridia la salute (salutem circa infirmum fratrem).
Solo la pena di morte ha, agli occhi dell'Inquisizione, un carattere propriamente "vendicativo".
La Chiesa cerca dunque, sempre e soprattutto, di ricondurre gli indiziati nella via della salvezza, di riportare il colpevole sul dritto cammino, di condurlo a resipiscenza, questa bella parola, che originariamente, significava "ritorno alla ragione" e dunque al "pentimento". Per questo le sentenze degli Inquisitori sono sempre infarcite di prescrizioni come: partecipare alla Messa, ascoltare le omelie, confessarsi (a Natale, Pasqua, e Pentecoste), comunicarsi negli stessi giorni, astenersi da qualunque lavoro servile la domenica e i giorni di festa, evitare l'usura e ogni sorta di rapina, non praticare sortilegi, enumerazione che getta una luce curiosa sulla mentalità e la condotta dei Cristiani nel Medioevo.
Nel 1246, i vescovi riuniti a Bézier, sotto la presidenza dell'arcivescovo di Narbonne, elaborarono trentasette articoli relativi alla procedura inquisitoriale.
Essi trattano tanto del tempo di grazia, obbligatorio, quanto dei problemi sollevati dalla situazione giuridica degli eredi di un "criminale" morto prima di essersi riconciliato con la Chiesa (sono condannati a pagare l'ammenda affinché il "crimine non resti impunito). L'articolo XVII consiglia di ritardare ("damnare tardetis") il pronunciamento della sentenza, al fine di lasciare agli imputati il tempo di riflettere. Il Vescovo e altri sono incaricati di entrare "frequentemente" in contatto con essi, "ad conversionem monentes".
Altro esempio di (relativa) mansuetudine: "nel febbraio 1286, Onorio IV, in considerazione della fedeltà testimoniata alla Chiesa Romana e a lui stesso, prima della sua elevazione al pontificato, dal popolo di Toscana, liberò gli abitanti (individualmente e collettivamente) dalle pene in cui erano incorsi per eresia, così come da tutti i divieti decretati dai precedenti pontefici e da Federico II, sia che si trattasse di pene comminate per errori degli stessi cittadini o dei loro antenati". I figli cattolici di genitori eretici erano ipso facto riammessi nel possesso dei loro privilegi e non dovevano più temere per la loro eredità. Per ciò che concerneva gli eretici ancora viventi, essi erano tenuti a comparire di fronte all'Inquisitore entro un lasso di tempo fissato dal magistrato. A coloro che si trovassero all'estero era concessa una proroga di cinque mesi. Davanti al tribunale dell'Inquisizione, questi imputati avrebbero dovuto abiurare l'eresia e si sarebbero visti infliggere penitenze che avrebbero dovuto non avere nulla di pubblico e non comportare né umiliazione, né perdita di diritti né di beni.
I recidivi, però, sarebbero stati trattati secondo tutta la rigidità della legge (cfr. H. C. Lea, op. cit. Il, 290).
Tutto ciò nel rispetto di un formalismo giuridico molto stretto. Certo, non si trattava di intavolare una "disputatio" sapiente sulle dottrine e le pratiche degli eretici: "non est disputandum cum hereticis", soprattutto, dice il testo "in officio inquisitionis". Conveniva, piuttosto, esporre gli articoli della fede cattolica "sine strepitu et litigio" (allusione agli avvocati della difesa), senza rumore né disputa. La sola esposizione (a cura del la Chiesa), degli articoli della fede cattolica, poteva bastare a convincere un imputato? Sì, risponde senza esitare, il De officio inquisitionis (ca. 1314), perché "nessun cristiano adulto che vive con dei cristiani, può ignorare ciò che insegna solennemente la Chiesa, né i dieci comandamenti", perché questi sono per "diritto naturale" dell’uomo in quanto "animale razionale".
Affermare, dunque, che infrangere l'uno o l'altro di questi comandamenti non è peccare perché si ignorava che fosse un comandamento, non è una scusa. Basta domandare all'imputato se crede che tale è la verità (e che cosa crede). Se egli rifiuta di riconoscerla, è colpevole. In fondo, la Chiesa vuole punire l'ostinazione orgogliosa nell'errore, più ancora che l'errore stesso, il quale è umano. Qui, ancora, il pensiero di San Benedetto è presente.
Perché l'inquisizione?
Per quale ragione la Chiesa è stata portata a creare gli strumenti di un controllo delle anime e delle coscienze?
Per molti secoli essa non se ne era per nulla preoccupata. San Bernardo scrive ancora, in pieno XII secolo: "Verbis (o "Argumentis") non armis capiantur", rifiutando così l'uso della forza per riportare i fedeli nel retto cammino. L'azione dei Vescovi e dei Principi bastava sul piano locale; le condanne dei sinodi e dei concili riconduceva all'ovile, il più delle volte, le pecore smarrite. L'insegnamento dei Maestri in teologia rischiarava la via dell'ortodossia. Del resto, la Chiesa fu lenta a mettersi in azione: gli Albigesi sono segnalati nel 1149; non vengono scomunicati che nel 1208. La crociata diretta da Simon de Montfort, sviluppa i suoi orrori dal 1204 al 1229: si tratta soprattutto di un saccheggio legittimato, una rapina legale che si abbatte sulle terre ("terram exponere occupantitus"). Ma la carneficina di Montsegur non avverrà che nel marzo del 1244. Hitler e Stalin sono stati ben più tempestivi.
Queste forze riuscirono il più delle volte a fermare i fermenti popolari, passionali e micidiali, che nell'XI e XII secolo ebbero un peso notevole nella caccia ai sospetti.
Le cose cambiarono quando si diffuse la dottrina dei Catari. Fuori dal proprio tempo e spazio, è impossibile spiegare cos'era il Catarismo. Basti dire che per come era insegnato, praticato e organizzato, poteva apparire come un insegnamento che minacciava nello stesso tempo la Chiesa e la società (e io non son lontano dal credere che si trattasse di una minaccia reale).
Questa dottrina di derivazione manichea e caratterizzata da elementi gnostici, fece la sua apparizione in Francia alla fine dell'XI secolo. Nel XII secolo i suoi fedeli sono conosciuti, nel sud-est della Francia, con il nome di "Valdesi", dal nome del loro fondatore, Valdès. Essa propone un evangelismo rigoroso, antisacerdotale e antigerarchico, un dualismo che vede il male incarnarsi nella materia (il corpo è una prigione) e nell'ordine temporale. Il cataro, il "perfetto", si rifiuta di procreare; il matrimonio, per lui, è un concubinato legale (il latino dice brutalmente: "matrimonium est meretricium"); una donna incinta ha "il diavolo in corpo" etc. Il cataro rifiuta di osservare le esigenze della vita associata o di prestare giuramento. Le conseguenze del Peccato Originale possono essere cancellate grazie al battesimo dello Spirito, instaurato dal Cristo.
I Catari potevano dunque apparire come una seria minaccia.
A dire il vero, per più di un secolo, erano stati lasciati in pace. Non si sarebbe potuto continuare nello stesso atteggiamento? Oggi viviamo in una società secolarizzata al 100%, pluralista, che non ha "senso" (cioè "direzione" e "significato") in cui coesistono credenti e non credenti, in cui anche le sette più perniciose sono tollerate, come lo sono le ideologie distruttrici del tessuto sociale e, talvolta, la stessa droga (in Svizzera, nei Paesi Bassi); una società in cui la fede dei credenti è lontana dal fervore di altre epoche, in cui la Chiesa non ha più il compito di guidare i Principi. Ci è dunque difficile capire le reazioni di orrore e di paura, se non di terrore, che si impossessarono delle persone di fronte alle modalità della "pravitas" eretica, o davanti alle semplici deviazioni dottrinali, in materia di comportamento o di condotta di certi fedeli. Se non teniamo conto di questo commettiamo un imperdonabile anacronismo. Possiamo evitarlo rituffandoci, col pensiero, nell'uno o l'altro dei momenti di fermento della recente vita sociale; la guerra, per esempio, o, meglio ancora, la Liberazione e gli anni che seguirono; o ancora, le scene che seguirono la caduta del muro di Berlino. Era pericoloso, all'epoca di Stalingrado, per esempio, mettere in dubbio la bontà profonda, la saggezza, la democraticità, il rispetto della parola data di Tito o di Stalin. Russi e Americani procedevano con lo stesso passo, gli uni verso una società sempre più liberale, gli altri verso una società sempre più socialista.
Tutti credevano nella ferma volontà del Piccolo Padre dei Popoli di lasciare organizzare libere elezioni in Polonia e in Cecoslovacchia. Si trattava di un dogma, e chi esitava ad adottarlo non poteva che essere un "traditore", un collaborazionista che dubitava del destino della patria e doveva essere trattato come tale. Questo accadde all'epoca della Liberazione, come era accaduto nel 1793, nei momenti del Grande Terrore Non senza eccessi, come sempre accade quando un'onda di passione (miscela esplosiva di odio e di paura) si impadronisce delle folle, e questo nonostante si tratti di una società che si dice liberale, tollerante e democratica. Si possono così comprendere meglio le reazioni popolari ed ecclesiali di fronte a ciò che l'immensa maggioranza dei credenti riteneva essere una minaccia certa di avvelenamento delle anime. Quello che si è soliti chiamare "il popolo", si accalcava ai piedi del rogo. Dobbiamo ammettere che le cose non avrebbero potuto andare diversamente in una società che, contrariamente alla nostra, si era edificata sui fondamenti religiosi, su una visione religiosa dell'Uomo e della Città, che ispirava, dettava, controllava tutte le azioni della vita quotidiana. Pensiamo alla Polonia nel periodo in cui lottava, per la sua sopravvivenza spirituale, contro la pesante influenza comunista: non c'era spazio, allora, né poteva essercene, per il minimo allontanamento o deviazione dal sentimento di comunione totale (nettamente definito e orientato), che animava l'intero popolo polacco.
I Catari apparivano a tutti come una potente minaccia che pesava, lo ripeto, sulla Società e sulla Chiesa. Per questo i vescovi li combattevano, provocando dispute pubbliche con essi. Osserviamo, in primo luogo, che essi non pensavano ad utilizzare la forza sperando, conformemente alle illusioni di un'epoca che credeva alla razionalità dei comportamenti umani, che l'efficacia di una leale e chiara discussione potesse ricondurre i ciechi alla luce della Ragione e della Verità. In secondo luogo, notiamo che i vescovi non esitavano a provocare incontri pubblici con uomini che li attaccavano e li criticavano duramente, spesso lungo l'arco di un'intera giornata e "coram populo". Immaginiamo un simile dibattito tra un rabbino e un S.S., o, negli anni '30, tra un fedele di Stalin e un trotskista.
Il problema che si pose presto derivava dal fatto che, in questo genere di tenzone, i vescovi, senza dubbio buoni pastori ma scadenti teologi, uscivano il più delle volte battuti. A tal punto che il numero dei Catari cresceva continuamente (ci sono, è ovvio, altri fattori che possono spiegare il successo del catarismo; ma il loro studio non fa parte dell'oggetto centrale della nostra riflessione). Un buon numero di vescovi esitò ad applicare la repressione, che escludeva peraltro la pena di morte (il Papa Alessandro II (1061-1073) proibì ogni sorta di effusione di sangue, seguito da Alessandro III al concilio lateranense nel 1179). Roma pensò allora di utilizzare i servigi di un ordine di recente fondazione (1216): quello dei Frati Predicatori, o Domenicani. Fu Papa Gregorio IX (1170-1241) che prese questa decisione nel 1233, decisione che d'altronde non privava i vescovi del diritto-dovere di perseguire gli eretici nei limiti delle loro diocesi. Di fatto si decise che vescovi e inquisitori lavorassero di comune accordo, il che, siccome gli uomini sono come sono, anche se sono di Chiesa (le male lingue direbbero, forse: proprio perché sono di Chiesa), non funzionò senza che, di tempo in tempo, nascessero tensioni e difficoltà. Più tardi (nel 1238) i Francescani ricevettero l'incarico di partecipare a quest'opera di epurazione. L'Ordine fondato da San Domenico fu il primo ad essere composto da uomini istruiti, tutti dottori in teologia o in diritto canonico provenienti dalle Università di Parigi o Bologna. Doveva essere evidente a tutti che il compito di questa nuova istituzione era di riconvertire alla verità gli spiriti smarriti, attraverso una discussione sapiente, ordinata e sintetica. Punizioni più gravi di quanto non fossero quelle spirituali, erano destinate solo a punire, secondo le regole, i peccatori impenitenti, quelli che rifiutavano qualunque concessione o pentimento di sorta.
La prigione era destinata non tanto a punire il colpevole, quanto a isolare il male, ad impedire che si diffondesse. Quanto a coloro che si ostinavano a difendere tesi condannate dalla Chiesa, talvolta da molti secoli, essi dovevano aspettarsi il peggio e bisogna dire che alcuni lo hanno affrontato con coraggio.
Perché nel XII - XIII secolo?
La Costituzione pontificia del 1220 denuncia 6 gruppi di eretici; quella del 1228 una ventina, tra i quali alcuni sono ancora oggi familiari: i Catari, i Valdesi, e anche i patarini; ma di un buon numero noi sappiamo ormai poco o nulla. Citiamo: i Circoncisi, i Piancanlos, i Passaginos, i Luciteriani, i Lollardi, i Fraticelli, i Begards, i Bizzocchi tutti movimenti di ribellione contro Roma, per sempre scomparsi nei meandri della storia. Ci si può chiedere perché il XII e XIII secolo, i più bei gioielli del Medio Evo, abbiano visto sbocciare tale fioritura di dissidenze. Ci si può anche domandare perché la Chiesa abbia sentito la necessità di combatterle con tanto ardore. A questa seconda domanda è facile rispondere che, per Roma, era impensabile permettere che si sviluppassero in pace tali "particolarismi" (uso con intenzione il termine attuale) che minacciavano tanto la sua unità che la coerenza sociale. Gli eretici si indirizzavano contro la Chiesa (e, assai spesso, contro il principio stesso delle istituzioni) e contro la società, per rispondere, dicevano, alle esigenze delle loro coscienze e per sete di libertà; per la volontà di vivere in pace i loro propri valori. Erano però pronti, una volta padroni della situazione, a sviluppare il peggiore dei dispotismi. In numerose province, in cui erano abbastanza numerosi e organizzati per controllare la vita delle società, non lasciavano alcuna chance di sopravvivenza tranquilla ai fedeli dell'"altra chiesa". Calvino, Lutero, Cromwell, non hanno agito diversamente. E Lenin come Robespierre, hanno fatto lo stesso. Nella prefazione ai suo opuscolo "L'Imperialismo ultima tappa del capitalismo", Lenin scrive: "E' duro rileggere, adesso che sono arrivati i giorni della libertà (26 aprile 1917) queste pagine mutilate dalla paura della censura imperiale, chiuse, stritolate come in una morsa dì ferro". Ognuno conosce ciò che è diventata la libertà di stampa sotto la sferza leniniana, e questo dai primi giorni del governo di Wladimir Oulianov.
Tutti quei movimenti avevano in comune il fatto di essere animati dalla "vanitas", dalla presunzione di saperne di più della stessa Chiesa, di capire meglio dei teologi il Vangelo, di comportarsi più cristianamente del clero, o di seguire le orme delle comunità di Gerusalemme. In realtà la dottrina degli eretici, come quelle delle sette, oggigiorno è, nell'insieme, informe e fiacca, di un'incredibile povertà dottrinale (fatto che spiega del resto, in certa misura, i loro successi).
Il Decreto pubblicato da Gregorio IX, nel 1231, ha perfettamente percepito che, per quanto fossero in apparenza diversi, questi movimenti avevano delle radici comuni: "Esse (le eresie) hanno aspetti differenti – egli scrive - ma sono legate le une alle altre per la coda ("sed caudas ad invicem collegatas"). Coda di "volpe", bisogna dire, perché "l'astuzia" è una delle loro migliori difesa, insieme con la clandestinità organizzata (specialmente nel caso dei Catari). Quali fatti possono spiegare una presenza così molteplice e attiva? Senza dubbio la nascita dei Comuni è uno di questi. Il "borghese" si sente libero, egli ha preso l'abitudine di prendere iniziative, decisioni, responsabilità. Egli crede alla sua autonomia economica e politica: come potrebbe non essere tentato di estenderla al campo religioso? Egli diventerà ben presto "anticlericale" (del resto, in un modo o nell'altro, il Medio Evo lo è sempre stato). Su questo punto, le sette non fecero che sistematizzare e organizzare un sentimento assai diffuso e ovunque presente. La Chiesa, principalmente nelle persone dei vescovi, non si dimostrò sempre accogliente nei confronti delle novità che la comparsa dei Comuni, terre di libertà, suscitavano per forza di cose (cfr. Volpe, Movimenti religiosi, op. cit., pp. 101-107).
Essa, d'altra parte, aveva molto sperato nelle Università, di cui aveva sancito la nascita; essa aveva contato su queste per difendere e rafforzare il proprio potere. Le Università, da Abelardo ad Occam, da Wycliff a Jean Huss, furono ben presto centri di libera riflessione, assai spesso ai limiti dell'ortodossia.
Terza causa di eresia: la nuova società di "consumismo", quella che, insieme a molti altri, lo stesso S. Francesco d'Assisi denuncerà. Essa non produsse solo benessere. Gli artigiani soffrono, mormorano, rimettono in questione l'ordine sociale e quello ecclesiastico. La ricchezza dei parvenus scandalizza (con il suo abituale vigore, Dante tuona contro di essa, per bocca del suo antenato Cacciaguida). Non che si debba vedere nelle eresie, così come alcuni hanno creduto di dover fare, assai ingenuamente, i primi segni di una embrionale lotta di classe. La composizione sociale della comunità catara (a Brescia, per esempio, nel 1220-1225, o in Lombardia), come quella degli Anabattisti di Munster, agli inizi del XVI secolo, prova che questo è assurdo. Il comportamento dei preti, dei vescovi, dei religiosi, porgeva il fianco alla critica, e questo è il meno che si possa dire. Tutto il Medio Evo rimbomba di canzonature spesso sferzanti che il popolo indirizzava contro i chierici. E non c'è pentola dell'Inferno che non contenga qualche monaco o qualche vescovo, più spesso entrambi. Situazioni simili erano sufficienti a raggruppare elementi di origine sociale assai diversa.
Il fallimento delle crociate che la Chiesa aveva patrocinato, l'immensa delusione popolare che ne seguì, contribuì a lasciare le folle disorientate, inquiete, in stato di abbandono. Queste sono le condizioni propizie allo sviluppo di movimenti di passione e di speranza millenarista. Cosa che non mancò di verificarsi. Il pontificato stesso, con in testa l'ammirevole Innocenzo III, sente che il mondo è in un'epoca desolata: "La natura umana è, di giorno in giorno, più corrotta. Il mondo e i nostri corpi invecchiano", egli scrisse. "La miseria è il destino dell'uomo". Visione del mondo e dell'avvenire che può rinvigorire la fede di un uomo forte, ma gli spiriti semplici dovevano cercare qualche rifugio immediato, nel senso originario del termine: senza la mediazione di una Chiesa, delle sue strutture e delle sue gerarchie, in un Vangelo liberato dalla riflessione teologica e dal sapere dei "saggi" e degli "intelligenti" (Mat. 11,12), il che doveva portarli immancabilmente verso gli atteggiamenti più irrealistici e le speranze più folli. Come canta magnificamente il capitolo 21 dell'Apocalisse: "Dio sarà con gli uomini. Egli dimorerà con loro. Essi saranno il suo popolo... Non ci sarà più la morte ... Non ci sarà più né lutto, né grida, né sofferenza, perché il vecchio mondo sarà scomparso ...("Facciamo tabula rasa del passato, canta "l'Internazionale"). Gli uomini semplici di allora (e una parte del clero con loro) non potevano sfuggire alla tentazione di un nuovo gnosticismo, nettamente anti-cristiano (nel caso dei Catari) o di un tiepido teismo (in quest'epoca, evidentemente, non era questione di ateismo o anche solo di agnosticismo). A dire il vero, il nostro Secolo di Lumi, con le sue sette, il suo Bahaismo e il suo New Age, risponde in altro modo alle attuali sfide della storia? Certo il grande Terrore dell'Anno Mille è una leggenda, e la Chiesa-istituzione del Medio Evo non ha mai creduto alla venuta vicina o imminente dell'Anticristo, più che alle oscure profezie dell'Apocalisse. Ma, osserva lo storico, nei cuori delle masse (lo stesso S. Norbert, il fondatore dei Premostratensi, è persuaso che la sua generazione vedrà sorgere l'Anticristo), nel corso dei secoli, c'è una corrente diffusa, latente o esplicita, di speranze millenariste che spiega il successo delle eresie, messianiche o no. Come il socialismo, all'alba del XIX secolo, "utopico" o "scientifico", ha risposto alle attese rivoluzionarie dei proletari in stato di disperazione, in una società sconvolta dalla "rivoluzione industriale" e dalla fine dell'antico regime. Mutatis mutandis, le folle cristiane si sono trovate davanti una situazione con una Chiesa anch'essa in crisi (soprattutto nel XIV e XV secolo). Da questo profondo malessere, da questo "male di società", sorgerà una corrente tumultuosa e popolare che andrà ad alimentare potentemente il pensiero del visionario calabrese Gioacchino da Fiore (ca. 1130-1202) e che, ben presto, rivendicherà il diritto ad una libera morale meno moralista, più che quello ad una fede libera. Il misticismo popolare prese ben presto le forme di una pietà alterata in modo singolare - pensiamo ai Pastorelli, o ai Flagelianti - o di un panteismo insincero.
Queste tendenze (e queste "devianze") erano così forti, così naturali, così spontanee, che lo stesso francescanesimo - che era stato, in un certo modo, la più forte risposta ortodossa alla fede e la più tenera verso le aspettative delle masse - conobbe dei ben singolari "dérapages" (pensiamo ai "Fraticelli"). Gli altri movimenti basati sulla povertà, anch'essi ascetici, popolari, evangelici, e anticlericali, che sognavano un "cristianesimo sedicente, puro e primitivo" (M. D. Knowles) - Bogards o Bégards, Bonshommes, Poveri di Lione, Umiliati, Poveri Cattolici - non ebbero infine altra scelta che scomparire o integrarsi in uno degli Ordini esistenti. Bisogna dirlo: Roma, ben presto assimilata alla Babilonia dell'Apocalisse, "diventa dimora di demoni, rifugio di tutti gli spiriti impuri" (Apo., 18, 2); "la Chiesa-istituzione risponderà in modo imperfetto a diverse aspettative" (P. Alphandéry, Le idee morali, op. cit., pp 190-195).
Innocenzo III, papa dal 1198 al 1216, era giurista. Proveniva dall'Università di Bologna - un'Università tutta inebriata dalla riscoperta del diritto romano, e che aveva appena emanato il Decretum Gratiani che fissava il diritto pontificio, sino ad allora incerto.
I mezzi d'azione dell'Istituzione furono rafforzati e legalizzati, divenendo più giuridici ed anche giudiziari, che apostolici. Nello stesso tempo, su un altro piano, il fatto di aver imposto (precisamente nel XIII secolo) la confessione annuale obbligatoria, aprì la via, senza dubbio, ad un certo affinamento della coscienza cristiana, ma anche agli scrupoli, alle truffe, alle ossessioni, e pose mille problemi a confessori dibattuti (Pascal ne fu la prova), come lo erano gli Inquisitori, fra una morale di comprensione e le esigenze di un codice più formale che vissuto intimamente. Ci si incamminava in questo modo verso il giansenismo, primo passo verso la scristianizzazione (cfr. Du Jansénisme à la laicité. Le conversazioni di Auxerre, sotto la responsabilità di Léo Hamon, Atucerre, 1987).
La riforma morale tanto attesa, il grande rinnovamento della fede tanto sperato, si infranse su di una codificazione delle prescrizioni religiose sempre più rigide e minuziose. Il Messaggio paolino di libertà cristiana evolse verso una religione di osservanze formali e di pratiche esteriori.
Un cronista dell'epoca ha ben capito i danni prodotti da una tale evoluzione. Egli scrive: "il popolo si astiene più rigorosamente che in altri tempi (il corsivo è mio) dal burro il venerdì e dalla carne il sabato, ... (ma) si è certamente sulla cattiva strada, quando si digiuna e si deruba il prossimo". E conclude: "sarebbe meglio mangiare la carne e commettere meno peccati". Come stupirsi, in tale situazione, che le masse si siano rivolte verso forme di religiosità che potessero soddisfarle le più intimamente?
La fioritura degli Ordini Mendicanti (8 tra il 1198 e il 1256, tra i quali quello dei Francescani non fu il meno importante quanto al suo impatto sulle folle ansiose di vivere un ritorno al Vangelo), la comparsa di nuove forme di vita religiosa - quella, per esempio, degli Alexiens, la prima congregazione di laici (1305) - il successo dei beghinaggi, delle fraternità, delle corporazioni (tutti movimenti e fermenti ricostituiti o di nuova formazione) attestavano, certamente, il vigore e la vitalità del sentimento religioso. Come facevano, da parte loro, nella stessa epoca, le riforme benedettine, 6 in tutto, tra cui quelle dei Silvestrini, dei Celestini e degli Olivetani.
Ma questo rinnovamento della Chiesa, per quanto reale e potente fosse, non fu sufficiente a placare le inquietudini (o terrori) delle folle cristiane, né a rispondere alla loro aspettativa, né a presentare loro un "progetto di vita" accettabile. Esso evidenziava piuttosto quanto fosse profonda la crisi in cui si dibatteva la Chiesa-istituzione e che, per certi, sembrava insanabile.
Visione pessimistica proiettata sul presente, investimento in un grande sogno millenarista di cambiamento radicale e rapido: queste sono le classiche condizioni propizie al sorgere delle utopie e "il Dio con gli uomini" dell'Apocalisse è una di queste. In un modo o nell'altro, le eresie si inseriscono in questa profonda corrente della storia medioevale. E' questo che può spiegare la loro frequenza, il loro incessante risorgere, gli innumerevoli sacrifici che hanno consentito. D'altra parte, la lotta contro le eresie condurrà la Chiesa, alla luce delle sue esperienze, a definire in modo sempre più netto i lineamenti duri della ortodossia, a formularli meglio, a precisarli - e con quale genio! ma, al tempo stesso, moltiplicherà le occasioni - e gli obblighi - di intervenire per difenderla. Essa fu anche condotta a creare lo strumento necessario per giungere a buon fine. Non senza esitazioni, l'abbiamo visto, e si potrebbe arrivare a dire tardivamente, se si tiene conto di quello che (nel corso di più di 10 secoli) essa aveva passato, quando movimenti di eretici, di "dissidenti", scuotevano da tempo la cristianità, si potrebbe dire da sempre (cfr. le Epistole di S. Paolo). Ma, così come capita spesso nelle faccende umane, questo strumento di lotta contro l'eresia contribuì a rivelarla più efficacemente, dunque a moltiplicare il numero dei sospetti e, per forza di cose, per quanto il giudice fosse di natura poco sospettosa o incline al legalismo, a moltiplicare quello dei colpevoli. Alcuni non videro altro che l'azione (repressiva) di purificazione, e persero di vista che la loro missione era, prima di tutto, solo quella di salvare le anime.
La codificazione della procedura inquisitoriale
L'azione dell'Inquisizione è stata rapidamente regolata e dominata da un sistema di diritto che, nel corso dei secoli, andrà precisandosi. Essa si inscrive, propriamente, in un regime di diritto che i giudici dovevano rispettare nel modo più rigoroso e che dava all'imputato tutte le garanzie desiderabili, soprattutto in materia di diritto della difesa.
I manuali dell'Inquisitore non sono nati di colpo: sono il frutto dell'esperienza e di una presa di coscienza sempre più netta dei doveri che si imponevano ai giudici, ed anche delle difficoltà sempre crescenti nelle quali essi si imbattevano.
L'Inquisizione monastica, "agendo pressoché al di fuori di ogni forma legale (...) con uno zelo disordinato", non aveva mancato di provocare alcuni "eccessi", contro i quali reagirono non solo gli imputati, ma anche la giurisdizione tradizionale, cioè i vescovi. Per questo si elaborò, a poco a poco, una legislazione di stupefacente precisione, che fissava i diritti e i doveri dei giudici e prevedeva una giurisprudenza atta a darle ordine e a sfumarne l'applicazione, così come si elaborò una procedura destinata a limitare l'arbitrio dei potentissimi Inquisitori. La materia era nuova, strane e sconcertanti le teorie elaborate dagli eretici, numerosissimi i tratti che le differenziavano.
I religiosi, Francescani o Domenicani, così pure i vescovi, non erano preparati ad affrontare questi problemi. E meno ancora a risolverli in uno spirito di carità e indulgenza cristiana. I manuali che furono redatti all'epoca, erano destinati a guidarli nel difficile compito che era loro stato affidato. Per questo, in essi fu inserita ben presto una descrizione precisa delle eresie, la cui dottrina differiva dall'una all'altra, suggerendo che cosa convenisse chiedere nell'Interrogatorio per meglio poterle discernere. Descrizione la più obiettiva possibile, tanto che non è raro che la sola fonte di informazioni, che possiede lo storico d'oggi, sono proprio gli atti dei processi. Occorreva permettere, infatti, agli Inquisitori, di orientarsi nella foresta delle eresie e di rintracciare con più facilità i colpevoli.
Lo scopo era quello di presentare una specie di "direttorio" per i giudici, perché l'abbondanza dei testi, la "quam pluribus" diversità delle loro origini ed epoche, avevano reso la dottrina, che doveva servire da guida all'Inquisitore, un po' confusa ("diffuso et ideo quasi confusa").
Per questo fu affidato a dei giuristi l'incarico di compilare questo genere di manuali. E' il caso, nel 1330, del "Tractatits super materia hereticorum" di Zanchino Ugolini, avvocato dell'inquisitore francese Donat de Sainte-Agathe. Zanchino - nota Padre Antoine Dondaine, o. p., che ha scritto, su questo argomento, un articolo fondamentale - è imbevuto dello spirito delle grandi scuole di Bologna; "la sua preoccupazione costante è di confermare, attraverso l'autorità dei maestri, le spiegazioni che dà al suo lettore". Così, la pena di morte è giustificata in nome del diritto comune come lo saranno le torture, la prigione, la confisca dei beni, "tutte cose già applicate da molto tempo dagli Inquisitori, ma che non avevano ancora avuto apertamente l'avallo dei giuristi di professione". Questi ultimi si riversarono in questa nuova carriera. Sapevano che gli Inquisitori erano "ignari" in materia di diritto, che potevano lasciarsi imbrogliare dagli eretici, più avvezzi di loro a questo genere di dialettica (pensiamo alla virtuosità verbale di certi trotskisti degli anni '30, o dei "settari" di oggi), o condannare degli innocenti. "Per questo - essi argomentavano - se vogliono rispettare le esigenze della giustizia e della libertà, gli Inquisitori devono rivolgersi a degli specialisti "peritorum in jure". Questo non fu sempre un beneficio per l'inquisito. Nella Nouvelle Historie de l'Eglise (t. Il, 446), Padre M. D. Knowles, OSB, scrive: "Tutte le protezioni di cui l'accusato aveva goduto nei primi tempi - l'avvocato, l'inammissibilità delle prove ottenute con la violenza, la protezione contro la tortura e contro la reiterazione della stessa - furono progressivamente diminuite dalla legislazione, (il corsivo è mio) dalla casistica e dal ricorso diretto alle scappatoie". Aggiunge: "processo apparentemente inevitabile" quando si pretende di poter invocare la ragion di Stato, l'ideologia o la religione, contro la verità o la giustizia, così come il nostro secolo ha brillantemente dimostrato. La procedura di inchiesta diviene così sempre più precisa e minuziosa. L'Inquisizione fu sottoposta a vincoli procedurali fino all'ossessione (in realtà, tutto il Medioevo è preoccupato di tali garanzie). Ormai l'imputato verrà esaminato, giudicato ed eventualmente condannato secondo le regole di un perfetto regime di diritto. Il minimo che si può dire è che simile preoccupazione, tanto per quanto riguarda gli Inquisitori - che tra l'altro, in coscienza, si ritenevano obbligati ad agire quali buoni pastori più ancora che quali giudici - che quanto riguarda gli imputati, è ben lontana dall'immagine che ci si fa comunemente dei processi condotti dall'inquisizione, e più lontana ancora (se possibile) dalle procedure arbitrarie e sbrigative alle quali i processi di Mosca (e l'assenza di processi del regime nazista) ci hanno abituato.
Gli inquisitori utilizzarono, dunque, l'uno o l'altro manuale - Directorium Inquisitorum - redatto da qualche confratello esperto: quello di Nicolas Eymeric, nato in Catalogna nel 1320, o quello di Bernardo Gui (1261-1331), nato a Limousin. Come tutte le codificazioni, anche quelle inquisitoriali accumularono i distinguo.
Tengono conto del clima dell'epoca, dell'evoluzione della mentalità, dell'ostilità che l'Inquisizione incontra frequentemente, tanto da parte dell'Ordinario che da parte delle classi popolari, dell'abilità sempre crescente, nel difendersi, di cui danno testimonianza i "settari".
Infine tengono conto del momento storico: basta, per convincersene, comparare il tono delle correzioni del XVI sec.
Tenuto conto di tutti i fattori, e malgrado i numerosi eccessi e deviazioni da cui è segnata l'istituzione dell'Inquisizione, si tratta - per le garanzie che offriva, malgrado tutto, agli accusati e per volontà molto netta di clemenza - di una forma di progresso morale molto superiore, in ogni caso, alla giustizia civile dell'epoca, (infinitamente più sbrigativa) e, soprattutto, alla giustizia popolare.
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GrisAdmi il dom gen 06, 2008 9:40 pm, modificato 1 volta in totale.
Trianello
Deus non deserit si non deseratur
Augustinus Hipponensis (De nat. et gr. 26, 29)