da Sandro » lun feb 25, 2013 12:48 pm
Domenica 3 Marzo 2013 - III DOMENICA DI QUARESIMA (Anno C)
Prima Lettura Es 3,1-8a.13-15
In quei giorni, mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb.
L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava.
Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio.
Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele».
Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?».
Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione».
"Ho osservato... ho udito... conosco... sono sceso..." sono tutti antropomorfismi. Per afferrare bene il concetto di Dio che è "Spirito" bisogna capire che non ha sensi come i nostri né è costretto a muoversi nello spazio per essere presente. Siamo lontani anni luce dal concetto che il geovismo inculca ai suoi fedeli quando dice che Dio "osserva solo ciò che vuole osservare" (Ragioniamo p. 101), che "si è fatto silenzio in cielo affinché Geova udisse le preghiere della terra" (Crocetti), che "deve avere un luogo in cui vivere" (Potete p. 36), che è "dotato di sensi di vista e udito" (Accertatevi p. 204), che "non è onnipresente" (ibidem) ecc... Dio (e chiedo scusa ai fratelli TG se ciò costituirà per loro un rebus, ma questo è il pensiero di un "padrone di casa" – quel pensiero che il loro CD li esorta a conoscere con accuratezza, altrimenti la loro proclamazione non sarà incisiva – questo è il pensiero che loro sentirebbero se bussassero alla mia porta: Dio è obbligatoriamente presente ovunque esista la contingenza, e quindi è presente - ma con una presenza trascendente e non localmente! - in ogni angolo del creato. Un corso approfondito di teologia per adulti lo spiegherebbe a puntino.
E siamo al gran problema del "nome di Dio". Nome che, a ben vedere, Dio non ha mai rivelato ma che ha fatto consistere in un un concetto, espresso da una perifrasi, e riassunto poi nel "tetragramma", una parola di quattro lettere che, traslitterate dall'ebraico nel nostro vocabolario sono YHWH (oppure JHVH). I TG lo chiamano "nome personale", ma Dio stesso, come si vede lo chiama "titolo". Quindi, logica alla mano, è nella categoria degli aggettivi, di ciò che indica una qualità delle cose. Quindi, anche se, sostantivato, ha fatto le veci di un nome personale, e anche se è il più largamente usato nella Bibbia, dovrebbe avere la stessa funzione dei vari altri titoli che la Bibbia assegna a questa Persona, come: Dio, Signore, Altissimo, Geloso, Onnipotente, ecc...
Trattare a fondo di questo argomento, tanto caro ai TG, richiede una miriade di considerazioni che qui non possiamo proprio fare. Per noi della cristianità Dio, propriamente parlando, non ha un nome personale; cosa inventata per le relazioni umane. O, se si vuole, ha tanti nomi quanti sono i titoli che Lui stesso si è dato e/o gli agiografi hanno espresso nella Bibbia, perciò noi cattolici ci rivolgiamo a lui chiamandolo indifferentemente Altissimo, Creatore, Padre, Signore, Dio, Onnipotente, Santo... Se tra la cristianità prevale l'uso di Signore e Padre è solo perché nelle Scritture Greche (cioè nel Nuovo Testamento) gli agiografi hanno usato quasi sempre sia per il Padre che per il Figlio il termine Kyrios e per il Padre il termine Patèr enfatizzato da Gesù nella preghiera che Lui stesso ha dettato ai discepoli quando gli chiesero di insegnare loro a pregare.
Però possiamo venire incontro fraternamente ai TG accogliendo ciò che la WT ha scritto più volte (forse a denti stretti, costretta dai moderni studi filologici che analizzano il Tetragramma), e cioè la equiparazione della pronuncia (perché di pronuncia e non di altro si tratta!) del Tetragramma nella forma "Javè" (o Yahwèh). Oggi infatti la WT scrive che quel nome va pronunciato come "Geova o Javè" e che non è affatto sbagliato usare Javé. Quello "o" indica dunque la equivalenza dei due termini e quindi la legittimità da parte nostra di dire "Javè" eliminando così ogni questione relativa alla – filologicamente accertata! – illegittimità della pronuncia "Geova". pronuncia che, come tutti sanno, è certamente sbagliata poiché mescola indebitamente le consonanti YHWH con le vocali EOA proprie del titolo "Signore" (in ebraico A/edonà).
Ciò detto aggiungeremo che, derivando dal verbo ebraico essere, il significato che tale "nome" doveva avere per gli ebrei del tempo è ben reso da concetti come: l'Eterno, l'Essere, il Provvidente, il Presente e proteggente il suo popolo, il Padre. Infatti la versione CEI lo traduce "Io sono colui che sono". La NM invece ritiene che il verbo ebraico esprima il "divenire" (che emblematicamente è proprio il contrario dell'essere!) e lo rende-traduce perciò con una perifrasi. Ma allora i TG non dovrebbero dimenticare che, in coerenza alla loro Bibbia, essi non dovrebbero dire che il nome di Dio è Geova (parola che sia in ebraico che in Italiano non ha alcun senso), ma che è «Io MOSTRERO' D'ESSERE CIO' CHE MOSTRERO' D'ESSERE». Questo è il senso, il significato che loro stessi hanno inserito nella loro Bibbia traducendo Esodo 3,14, abbreviato poi da Dio stesso che disse «Devi dire questo ai figli d'Israele: 'Io MOSTRERO' D'ESSERE mi ha mandato a voi'». Non è legittimo cioè passare nel versetto seguente dal tradurre il Tetragramma significato a sostituire la traduzione con la pronuncia "Geova" che è tutta un'altra cosa.
La stessa WT confessa poi che nessuno conosce la giusta pronuncia. Ma insiste nel dire che anche se fosse sbagliata bisogna usare quella che è usata nella propria lingua. Orbene, nella nostra lingua, che si aggiorna ed evolve con il progredire degli studi, la pronuncia più corretta possibile del Tetragramma è Javè. Il TG dica pure Geova sapendo che quella pronuncia è certamente sbagliata. Noi, autorizzati dal suo CD, diremo Javè. E lo diremo solo quando leggiamo la Bibbia in ebraico (fortunato chi lo sa!). Se leggeremo la versione greca della LXX useremo Kyrios, come lo hanno usato gli Ebrei della diaspora in cui è nata. Se leggeremo la Bibbia cristiana useremo sia Kyrios che Patèr per indicare Dio, perché questo è il nome-titolo che gli autori sacri hanno usato nello stendere il testo del Nuovo Testamento. E così sia!
Questo è ovviamente un tentativo di semplificazione per non lasciarsi irretire dalla confusione che il CD alimenta attorno al problema del nome di Dio; confusione che per eliminarla ci vuole ben più che queste poche note. Tanto però per far intuire quanti problemi bisogna affrontare e su cui si dovrebbe far chiarezza, ne aggiungeremo qui un elenco schematico:
- Occorrerebbe che i TG siano coerenti con le posizioni che prendono e non giochino ad equivocare tra "versione", che è una cosa, e "pronuncia" che è un'altra. Geova non è la versione , o come dicono il modo di rendere (che significa tradurre) in italiano il tetragramma YHWH ma solo la sua pronuncia scelta dalla WT;
- Occorrerebbe coerenza, dopo che si accettano da entrambe le parti tutte le considerazioni che la moderna ricerca filologica e storica oggi offrono sull'argomento: in particolare la commistione che avviene nella pronuncia Geova tra le consonanti di YHWH e le vocali di Adonà (la prima "a" si trasforma in "e" per regola grammaticale). Così mentre la conclusione della WT di mantenere Geova come pronuncia del sacro tetragramma è certamente sbagliata, quella di usare Javè è probabilmente corretta;
- Non bisognerebbe minimizzare il fatto che Gesù e gli Apostoli non hanno usato traslitterare in greco il Tetragramma, ma hanno scelto di indicare Dio o con il termine Patèr (Padre) o Kyrios (Signore), questo secondo assegnato poi anche al Figlio; cosa che per i nostri esegeti è indice della sua parità in divinità con il Padre;
- Andrebbe ridimensionata l'autorevolezza della fonte da cui è sorta la pronuncia errata in latino Jehova. La WT stessa sa che essa risale al domenicano Raimondo Martini (con l'opera Pugio Fidei del 1278) un personaggio che scriveva quando ancora non esisteva né la cultura universitaria né la scienza filologica e che – soprattutto! – ignorava l'espediente usato dai Masoreti di assegnare al Tetragramma le vocali di Adonà per non farlo pronunciare ma per ricordare loro di sostituirlo appunto con il titolo di Signore, espresso da Adonà; (NB - Adonay significa "Signore mio", ma l'ultima y non è una vocale perciò non conta ai fini della vocalizzazione del Tetragramma).
- Bisognerebbe che il geovismo non desse alcun valore ai vari attestati che egli cita a favore della pronuncia del nome, ricavati da scritte e incisioni in monumenti e chiese. Un errore ripetuto non si trasforma in verità aumentando la raccolta del campionario dell'errore. Così come le migliaia di volte che appare in opere la dicitura "San Tarcisio" non vale a cancellare la verità del suo errore, dovendosi dire correttamente "Tarsicio". Chi non sa che ci sono molti luoghi di località storpiati dall'uso popolare che cambiano completamente il senso o la probabile genesi dei nomi invalsi nell'uso?
- E così, onestamente, la WT non dovrebbe dire che sui suddetti testimoni storici appare "il nome di Dio", intendendo dire che appare il nome che loro propugnano. La verità è che in essi appare soltanto o la pronuncia latina -sbagliata! – JEHOVA o il tetragramma ebraico, scritto senza vocali, (jod, he, vau, he), traslitterato in YHWH.
- Anche la pretesa che solo usando il nome si può stabilire una relazione appropriata con il Creatore è tutta da discutere. Tutti sperimentiamo che certe relazioni affettuose profondissime, come quelle tra sposi o tra genitori e figli, si realizzano preferibilmente usando nomignoli o aggettivi (ciccio/a, amore, anima mia, dolcezza, sorcetto, piccolino, tesoro, gioia, papino...) e i figli piccoli (come il Padre vuole che noi ci consideriamo!) non usano mai il nome proprio dei genitori rivolgendosi a loro.
- Se poi è vero che Gesù ha detto al Padre "ho fatto conoscere il tuo nome", questo non può essere strumentalizzato per enfatizzare l'uso del nome, se la stessa WT ammette che ebraicamente il nome indica la Persona. In effetti gli ebrei il nome di Dio lo conoscevano da sempre, ma non conoscevano a fondo il cuore del Padre che solo il Figlio conosce profondamente e coloro ai quali il Figlio lo ha voluto rivelare.
Per i curiosi, una trattazione approfondita di questo problema, la metteremo in questa sezione, ma senza fretta (occorre ricorrere a immagini e grafica). Intanto procediamo nel nostro confronto colloquiale con i TG accettando che essi dicano Geova ma anche pretendendo che si accetti da parte nostra l'uso di Javè come fonema del tetragramma, e così pure la legittimità di usare Signore al seguito della LXX, imitata poi anche dagli Apostoli, senza modificare il testo originale del NT infilando, come fa la NM, Geova quando si incontra Kyrios riferito a Dio Padre.
NOTA
Sempre al fine di far ben conoscere, ai TG che lo desiderano, il pensiero cattolico sull'argomento, riportiamo il commento che si trova in nota ad Esodo 3,15 nella versione CEI 2008 di "La Bibbia Via Verità e Vita".
"Il nome di Dio. Non si conosce l'esatta pronuncia del nome Jhwh, anche se si ritiene che quella originaria fosse Jahwè. Questo nome non viene mai pronunciatio dagli Ebrei, che nella lettura del testo biblico lo sostituiscono con 'Adonày, «Signore» (e così è tradotto dalla versione greca: Kyrios) o ha-Shèm, «il Nome». Quando al testo ebraico della Bibbia, originariamente scritto con le sole consonanti, furono aggiunti dei segni per indicare la pronuncia delle vocali, alle quattro consonanti che costituivano il Nome divino (Tetragramma) furono aggiunte le vocali del nome 'Adonày, per evitare che inavvertitamente tale nome potesse essere pronunciato. E' chiaramente falsa, quindi, la pronunzia Jehowà (o Geova), che ne deriverebbe."
Seconda Lettura 1Cor 10,1-6.10-12
Non voglio che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. Ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto.
Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono.
Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere.
"Quella roccia era il Cristo". Ecco uno dei punti additati dal CD dei TG per provare che il verbo essere può essere usato nel senso di "significare, simboleggiare". Nulla da obiettare. Anche in italiano si trovano espressioni in cui il verbo essere è usato con tale valenza. Ma l'applicare questo criterio al testo eucaristico per negare il realismo della presenza di Gesù nel Pane da lui consacrato significa non tenere conto del contesto che, unico indicatore autorevole e inequivocabile, indica il giusto senso da dare al verbo nelle varie situazioni. Ora mentre nella similitudine della roccia-Cristo il simbolismo è evidente. Lo stesso non si può dire dell'espressione "questo è il mio corpo... questo è il mio sangue" giacché il contesto immediato (celebrazione pasquale, agnello sostituito dal corpo di Cristo che si immolava), e quello remoto (promessa del Pane-carne di Cristo da mangiare fatta a Cafarnao e capita ad litteram dagli astanti) e quello interpretativo futuro (riflessione di S. Paolo nella 1 Corinti "chi mangia indegnamente è reo del Corpo e del sangue del Signore") garantiscono che la comprensione che la Chiesa cattolica (e ortodossa) ha avuto e mantiene delle parole dell'ultima Cena indicano che Gesù è di persona presente sotto le apparenze del pane e del vino. Il come lo sa soltanto Dio, giacché questo è uno dei più alti misteri della fede.
"Noi per i quali è arrivata la fine dei tempi". Già..., questa espressione di San Paolo, presta il fianco al geovismo per sostenere che la loro "fine del sistema di cose" è incombente come lo era ai tempi degli apostoli, cioè costantemente, anche se di fatto si prolunga indefinitamente l'attesa dell'evento reale da potersi chiamare "fine". Ma chissà, forse i TG più bereani, potrebbero accorgersi almeno che il loro CD adopera una doppia marcia (o peso di bilancia che irrita Geova!) perché da un lato spinge a inculcare una imminenza cronologica vera e propria quando vuole che i recettori del suo messaggio non rimandino a domani l'adesione al movimento. E dall'altro ricorre al dilatamento dei tempi (un giorno di Geova dura mille anni!) quando le attese della fine - fatte fibrillare anche da varie date annunciate e smentite dai fatti – si rivelano non fondate. E procedendo nella conoscenza del pensiero altrui soprattutto i giovani TG potrebbero anche trovare ragionevole pensare che per San Paolo i "tempi della fine" sono iniziati con l'avvento del Regno di Dio, cioè con l'irruzione dello Spirito Santo alla Pentecoste. Evento che ha inaugurato quel tempo teologico che non è, alla greca, krònos, ma, alla cristiana, kairòs. Esso segna - eccome! - la fine dei tempi della schiavitù e l'inizio dell'epoca della grazia e della salvezza che da allora dura e durerà fino alla fine.
Vangelo Lc 13,1-9
In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
In questo brano c'è un particolare prezioso che va usato per contestare al CD la legittimità di aver inserito (per ben cinque volte!) l'aggettivo "altre" in Colossesi 1, 16-20, un aggettivo che, negli intenti dichiarati del CD ha la funzione di includere il Figlio di Dio tra le creature, togliendogli cioè la divina eternità nel seno del Padre, come si professa nel Credo della "cristianità", dal geovismo qualificata in blocco come "apostata".
Tutto l'argomento lo abbiamo già spiegato nei POST del 2012, anno B, relativi a Domenica 4 Marzo (II di Quaresima) Seconda Lettura, e a Domenica 17 Giugno (XI del tempo Ordinario) Seconda lettura. Qui, riassumendo, ricorderemo solo che il ragionamento con cui il CD ha preteso di giustificare la sua aggiunta dell'aggettivo "altre" alla Parola di Dio in Colossesi, e che fa riferimento anche a questo versetto di Luca da noi sottolineato, è falso, e si tratta di una falsità consapevole. Esso infatti dice che l'aggiunta di "altre" in Colossesi (premesso a "cose", così che "tutte le cose" diventa tutte le altre cose") è legittima perché anche in altri passi della Bibbia, come qui, ove il testo originale dice solo "tutti i Galilei" e "tutti gli uomini", nessuno ha da ridire se i traduttori rendono con "tutti gli altri galilei" e "tutti gli altri uomini". Tale traduzione, appunto con l'aggiunta di "altre/i" che precede cose o persone, – osserva il CD - è riscontrabile in varie versioni cattoliche che il GRIS non si sogna minimamente di criticare perché si tratta di un aggettivo, aggiunto sì alla Parola di Dio, ma finalizzato a servirla in chiarezza e scorrevolezza (ed è vero, anche se in questo punto la CEI, come si vede, ha rinunciato ad inserire "altri"). Ovvero è evidente che, qui in Luca, facendo Gesù il paragone tra due classi di Galilei (quelli non uccisi e quelli uccisi) e due classi di uomini (quelli su cui crollò la torre di Siloe e quelli che rimasero illesi) si può tradurre senza forzature "gli altri galilei" e "gli altri uomini".
Così purtroppo, il CD pretende che si possa analogamente fare anche in Colossesi ove il testo originale dice che il Figlio di Dio è "prima di tutte le cose" (CEI), traducendolo «prima di tutte le [altre] cose» (NM). Ma in questo caso – contestiamo noi - quello altre non rende scorrevole il testo ma ne modifica il senso! Infatti dicendo "cose", nel contesto di Colossesi, si intende chiaramente indicare la creazione, e dicendo che il Figlio è "prima" di essa, significa collocarlo nell'eternità divina, mentre dicendo che le cose=creazione sono "altre cose", si viene ad indicare che, di fronte alle altre cose=creazione c'è già un qualcosa che è pure creato e che dà ragione al resto della creazione=cose di essere qualificate come "altre" rispetto a una (o più) entità che le precede ma che è della loro stessa natura di creatura.
Ed è esattamente questo che il CD vuole dare ad intendere, perché scrive che, con l'aggiunta di "altre" nella NM:«Viene così indicato che anch'egli [il Figlio] è un essere creato, parte della creazione di Dio.» (Ragioniamo pag. 406)
Orbene, noi diciamo che questo passo di Luca mostra che il CD sa di non essere sincero, poiché è consapevole che non c'è analogia tra il passo di Colossesi e quello di Luca.* Infatti, mentre dice che le situazioni sono simili , non le tratta entrambe allo stesso modo! Perché? Perché nella aggiunta di "altre" in Colossesi la NM pone quell'aggettivo tra parentesi quadre, mentre in questo passo di Luca la NM inserisce "altri", sia prima di "Galilei" che prima di "uomini" senza parentesi quadre! Con ciò il CD dimostra di capire perfettamente che la situazione non è identica. Così che mentre qui sa di poter fare tale aggiunta (che è aggiunta solo materiale ma che formalmente non cambia il senso), sa anche che non può fare lo stesso in Colossesi ove la NM pone (pudicamente!) lo "altre" tra parentesi quadre. Parentesi che, come è detto nella NMrif a pag 7 avrebbero solo la funzione di «... completare il senso del testo italiano».
E, come conferma della volontà esplicita di manipolare il senso di Colossesi che emerge dal testo originale, la dirigenza geovista aggiunge crimine a crimine quando, citando il passo di Colossesi nelle sue pubblicazioni, si permette di citarlo di peso, tra virgolette, ma togliendo le parentesi quadre alla parola "altre" che così passa agli occhi dell'incauto lettore come se anch'essa fosse Parola ispirata di Dio alla pari del resto. Tradurre in tal modo realizza, a nostro avviso, una grave deformazione del senso che San Paolo ci ha voluto trasmettere circa la natura del Figlio di Dio nella sua situazione preumana; lo ha indicato come possessore della natura divina (che poi è la stessa del Padre e nella quale il Figlio è stato generato) e perciò il Figlio precede la creazione, è Dio in senso proprio poiché è coeterno con il Padre oltre che concreatore(cf Giovanni 1,1: "All'inizio il Verbo c'era").
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* Gli altri passi, additati come analoghi dal CD e con i quali esso pretende di giustificare lo "altre" in Colossesi sono Luca 21,29 (paragone tra il fico e gli altri alberi) e Filippesi 2,21 (confronto tra Timoteo e gli altri uomini). Basta però andare a leggerli nel loro contesto e ci si accorge che in quei contesti si tratta sempre del confronto tra due categorie omogenee, confrontando le quali non si cambia il senso aggiungendo "altre/i". Ed infatti anche in quei passi la NM non pone parentesi quadre per l'aggettivo "altri".
Pignoleria? Si tratta di nostra esagerazione su qualcosa di trascurabile? Non se si tiene presente il monito di Gesù che l'uomo non deve "trascurare né un apice né uno jota della Legge" (cf Matteo 5,18). E di conseguenza non si deve trascurare l'avvertimento-monito che lo stesso CD ha dato, all'inizio della sua NMrif, riguardo alla retta interpretazione del testo biblico: «E' evidente che anche una cosa apparentemente insignificante come l'uso o l'omissione di una virgola o di un articolo determinativo o indeterminativo può a volte alterare il significato corretto del passo originale». (NMrif p. 7) Ci aspettiamo dunque che il CD dei TG non si lamenti di noi ma renda omaggio alla nostra bereanità e pignoleria da lui stesso raccomandata se bereanamente ci accertiamo circa la fedeltà o meno con cui la NM ha tradotto gli originali della Parola di Dio.
E confidiamo anche nella sua coerenza se esso non attribuirà al GRIS o altri la condanna per chi fa aggiunte o sottrazioni a tale Parola, giacché è stato ancora lo stesso CD a ricavare dalla Bibbia la condanna e a pronunciarla contro chi manipola il testo aggiungendo o togliendo qualcosa alla Parola di Dio. Leggiamolo:
«Proibito aggiungere o togliere alla Parola di Dio.
Deut. 4:2 "Non dovete aggiungere all parola che io vi comando, né dovete togliere da essa..."
Prov. 30:5, 6 "Ogni detto di Dio è raffinato. Egli è uno scudo a quelli che si rifugiano in lui. Non aggiungere nulla alle sue parole, affinché egli non ti riprenda, e affinché tu non sia trovato mentitore."
Riv. 22:18, 19 "Se alcuno fa un'aggiunta a queste cose, Dio gli aggiungerà le piaghe che sono scritte in questo rotolo; e se alcuno toglie qualche cosa dalle parole del rotolo di questa profezia, Dio toglierà la sua parte dagli alberi della vita e della città santa...".» (Accertatevi, pag. 63)
Quindi non resta che applicare al CD le regole che egli stesso si è dato e che esorta ad osservare, concludendo: la valutazione bereana di come il CD ha trattato questo passo di Colossesi, da cui pretende di aver tratto la creaturalità del Figlio di Dio, quale "cosa-creatura" assimilata ad altre "cose-creature" è proditoriamente ingannevole. Riguardo ad essa è lo stesso Dio che dichiara "mentitore" il CD che si è permesso di aggiungere "altre" in Colossesi 1,15-22 tra parentesi quadre e di aver insistito nella menzogna aggravandola con la promozione di "altre" a parola ispirata quando ha citato e cita tuttora questo passo della Bibbia.
«In patientia vestra possidebitis animas vestras»... aliorumque. (Lc 21,19)