da Sandro » ven mar 26, 2010 7:43 pm
(seguito della Domenica delle Palme)
Vangelo: Luca 22,14-23,56 (testo della passione)
Avvertenza: per afferrare come il geovismo insinua la deformazionedella Bibbia in modo sottile si richiede che il seguente esame critico sia letto con molta calma e attenzione.
Come negli altri sinottici, e in Paolo, le parole di Gesù sul pane e sul vino, noi le riteniamo consacratorie, cioè causanti la presenza reale del corpo e sangue del Signore sotto le specie del pane e del vino. Nel geovismo, invece, sono interpretate in senso simbolico, e con una determinazione tale da spingere la WT a tradurre male il testo che dice “questo è [gr. estìn] il mio corpo” (CEI). Nella versione geovista infatti abbiamo: “questo significa il mio corpo… questo calice significa il nuovo patto in virtù del mio sangue…” (vv 19-20).
La nota in calce a questo versetto, nella NMrif, mostra che il CD dei TG sa benissimo che il testo originale usa il verbo essere, ma cerca di farlo passare come equivalente a significare, infatti dice: «O, “è”, nel senso di significare, valere, rappresentare. Vedi nt. A Mt 26:26». Si noti: hanno scritto “o” come se fosse la stessa cosa.
Se poi andiamo a vedere la nota al testo di Matteo 26,26 a cui questa nota di Luca rimanda, troviamo che questa ribadisce il senso simbolico di estìn come valere, rappresentare, ma - si direbbe più onesta della precedente! – ammette almeno che letteralmente il verbo originale dice “è”, eccola: «Lett. “è”, Gr. estin, nel senso di significare, valere, rappresentare. Vedi nt. a 12:7; nt. a 1Co 10:4, “significava”.» I due rimandi indicati, invece di essere confermativi della loro posizione, sono impertinenti. Andiamo a vederli.
Nel versetto di Matteo 12,7 abbiamo Gesù che dice “Comunque se aveste compreso che significa questo: ‘Voglio misericordia, e non sacrificio’, non avreste condannato i senza colpa” (NM) e la nota si premura di… notare che l’originale non usa significa ma “è”, però lo usa sicuramente nel senso di significa. E questo è giusto perché Gesù non sta chiedendo di riflettere a cosa siano le parole che cita. Era evidente a tutti che erano parole di un versetto dell’AT (esattamente di Osea 6,6; che troviamo richiamate anche in Matteo 9,13) e quindi Gesù intendeva invitare a capirne il significato e non a riflettere sul fatto che era un versetto biblico. E’ fin troppo ovvio. Ma nel discorso eucaristico non abbiamo la stessa situazione, come spiegherò tra poco.
Se poi passiamo ad esaminare cosa dice il testo di Paolo nella 1Corinti 10,4 troviamo che l’apostolo fa riferimento al fatto che Dio fece sgorgare acqua da una rupe nel deserto per dissetare il suo popolo e dice “e quel masso di roccia significava il Cristo” (NM). Di nuovo, in nota, troviamo appuntato: “O “era”, e ci si rimanda alla nota di Mt 26:26 chiudendo il cerchio.
Anche in questo caso però è evidente il senso simbolico del verbo essere che identifica la roccia con Cristo che nutre il popolo con la manna e lo disseta con la sua Parola.
La diversità abissale tra i due esempi che vorrebbero coonestare l’interpretazione simbolica del verbo essere usato da Gesù per il pane e il vino che tutta la cristianità per 15 secoli (fino cioè allo scisma protestante) ha inteso in senso realistico, deriva dal fatto che per l’eucaristia noi abbiamo sia un antecedente che un conseguente. L’antecedente è stato il discorso sul Pane della vita fatto da Gesù a Cafarnao. (cf Gv 6,51-58) Lì Gesù ha difeso a spada tratta, a costo di perdere anche i discepoli fedelissimi che avrebbero potuto seguire la massa che si allontanò scandalizzata, il senso realistico da dare alla sua promessa di farsi cibo e bevanda di vita. E il susseguente lo troviamo nella 1 Corinti 11, 23-29 ove S. Paolo ricorda con energia che nel banchetto eucaristico si ha a che fare con il vero Corpo e sangue del Signore, così che se uno ne mangia indegnamente mangia e beve la propria condanna. Nel vangelo abbiamo la fonte di questa verità rivelata sul Corpo di Cristo sotto le specie sacramentali del pane e vino, e in S. Paolo la conferma di tale interpretazione garantita infallibilmente e trasmessa dalla prima Tradizione Apostolica.
Un esempio non guasterà. Poniamo che un giovane prometta alla fidanzata che in occasione di una data ricorrenza gli regalerà una bellissima collana (intendi: la promessa di Gesù a Cafarnao) ma poi, quando giunge il giorno tanto atteso (la sera della Cena) invece di una collana il giovane presenta alla sua ragazza una bellissima foto che rappresenta una collana, dicendole “Questa è una collana”… E’ evidente che il verbo essere in tal caso sarebbe utilizzato nel senso di significare, rappresentare, simboleggiare. Ma a quel punto la ragazza avrebbe mille ragioni di protestare che quando le fu fatta la promessa le fu fatto credere che avrebbe ricevuto una vera collana. Cioè, se i Dodici avessero capito che Gesù, alla Cena, parlava simbolicamente, almeno uno di loro avrebbe esclamato “Ma Signore avresti potuto dirlo chiaro a Cafarnao che intendevi farti mangiare e bere simbolicamente! Se lo avessi detto non avresti scandalizzato e perso tutti quei discepoli che si sono allontanati proprio perché hanno intesa la tua promessa in senso letterale, anche se – ora lo capiamo – non intendevi davvero smembrarti e trasformarci in cannibali”.
E passiamo ad altro.
“28 Comunque , voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; 29 e io faccio un patto con voi, come il Padre mio ha fatto un patto con me, per un regno, 30 affinché mangiate e beviate alla mia tavola nel mio regno, e sediate su troni per giudicare le dodici tribù d’Israele.” (NM)
Queste parole, ancora grazie a una interpretazione letteralistico-fondamentalista (che chissà perché viene disattesa in relazione al realismo eucaristico) per il geovismo sono costitutive di un regno vero e proprio (il reame dei cieli che sarà inaugurato nel 1914), con gli apostoli chiamati ad essere “coregnanti” con Cristo. Ma, dato e non concesso che sia così, esse portano con sé la loro smentita. Infatti è ben chiaro che Gesù, con questa promessa, fa riferimento ai soli Dodici, perché sono solo loro che hanno perseverato con Gesù condividendone tutte le fatiche e l’ostilità dei nemici. Invece il geovismo insegna che i suddetti troni celesti sono appannaggio di 144.000 persone, tutte alla pari degli Apostoli. Persone che Geova avrebbe iniziato a scegliere dalla Pentecoste fino al 1935, data di chiusura della elezione degli “Unti” e della apertura alle “Altre Pecore” destinate a restare sulla terra e ad essere i sudditi terreni di tali governatori celesti.
“31 Simone, Simone, ecco, Satana ha richiesto di avervi per vagliarvi come il grano. 32 Ma io ho fatto supplicazione per te affinché la tua fede non venga meno; e tu, una volta tornato, rafforza i tuoi fratelli.” (NM)
Parole queste, da cui – è bene dirlo al TG davvero desideroso di conoscere il pensiero cattolico – noi cattolici ricaviamo (unendole ad altri passi analoghi) l’elezione di Pietro fatta da Gesù a fondamento (pietra-Pètros-roccia/kephàs-Cefa) della sua futura Chiesa, e la sua funzione (primaziale) di cardine della fede, una fede che non viene sconfitta e perduta (cioè delegittimata) dalla debolezza/rinnegamento di Pietro. Perché tale debolezza il Signore l’aveva già prevista e tuttavia, con queste parole gli riconfermava anticipatamente la sua permanenza nell’ufficio di capo della Chiesa, a Lui assegnatogli. Ufficio da svolgere in vece di Cristo che ne resta il capo invisibile e il fondamento. Ufficio che poi fu ribadito dopo la risurrezione con il mandato di pascere agnelli e pecore.
“69 Comunque, da ora in poi il Figlio dell’uomo sarà seduto alla potente destra di Dio”. (NM)
E’ davvero sorprendente come il geovismo riesca a dire che le parole “da ora in poi” si debbano intendere “dal 1914 in poi” giacché, secondo l’insegnamento geovista, è quella la data in cui Michele/Gesù avrebbe sgominato Satana dal reame dei cieli e si sarebbe davvero assiso alla destra di Dio, cioè con il ruolo di regnante. Fino a quel momento egli sarebbe stato seduto allo sgabello dei suoi piedi.
“70 Allora tutti dissero: “Sei tu, dunque, il Figlio di Dio?” Egli disse loro: “Voi stessi dite che lo sono”. 71 Essi dissero: “Che bisogno abbiamo di ulteriore testimonianza? Poiché noi stessi [lo] abbiamo udito dalla sua propria bocca.”
Cosa avevano udito? Avevano udito quella che, all’intendimento comune, risultava una bestemmia. Ma non era bestemmia qualificarsi “figlio di Dio” nel senso di persona pia, buona, ossequiente alla Legge ecc… Lo era solo se si dava a quella accezione un senso speciale; quello precisamente che i Giudei avevano già rimproverato a Gesù quando tentarono di lapidarlo perché, dicevano: “Non ti lapidiamo per un’opera eccellente, ma per bestemmia, perché tu, benché sia un uomo, fai di te stesso un dio”. (Giovanni 10 33, NM)* E questo fu il senso preciso con cui Gesù, ormai giunto al culmine della sua missione, ha rivendicato la propria identità di Figlio. Lo era a titolo tutto speciale, cioè avente la stessa natura divina del Padre, e quindi Dio incarnato (come dirà Giovanni all’inizio del suo Vangelo); divinità che peraltro si ricava da moltissimi altri passi.
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* Qui va notata una contraddizione nella versione della NM. Nel pensiero geovista si distingue un doppio senso della parola “DIO” che basilarmente significa “potente”. Se è scritta con la D maiuscola è esclusiva di Geova, e sta ad indicare che è l’Onnipotente. Se con la “d” minuscola si può legittimamente applicare a vari altri soggetti, per i quali starebbe a significare che sono semplicemente persone “potenti”. Ora è indubbio che in questa citazione di Giovanni 10,33 la WT ha comandato al tipografo di usare “dio” con la minuscola, perché Gesù, ai suoi occhi (e perfino Satana) sono veri e propri “dèi” cioè persone “potenti” e nulla più. Ma ha certamente sbagliato, perché se i Giudei avessero accusato Gesù di fare di se stesso “un dio” nel senso di “un potente” avrebbero preso un granchio e fatto un sopruso bello e buono ad accusarlo di bestemmia, perché era legittimo che Gesù, in base alle sue opere straordinarie, si qualificasse come “un potente”. E comunque ciò non avrebbe costituito il reato di bestemmia che invece si verificava se Gesù avesse rivendicato per sé una uguaglianza con Dio; cosa che fu precisamente intesa dai Giudei ma che la WT esclude altrimenti avrebbe fatto stampare “fai di te stesso Dio”.
E’ proprio vero! Anche una cosa apparentemente insignificante è importante, quando si tratta della Parola di Dio. Infatti qui è una semplice “d” minuscola a dimostrare che la Dirigenza geovista cade in contraddizione tra ciò che insegna e ciò che fa stampare.
“21 Quindi essi urlavano, dicendo: “Al palo! Al palo” … 26 … posero il palo di tortura su di lui” (NM)
Sono molti gli autori che hanno contestato questa trasformazione della “croce” operata dal geovismo in “palo di tortura”. Sintetizzando le critiche possiamo ricordare che:
1)- Fino al 1930 circa, cioè per oltre 50 anni, il geovismo ha ritenuto che Gesù fosse stato crocifisso su una croce tradizionale a due bracci. Questo credette sia il fondatore Russell, sia il secondo presidente Rutherford che “si gloriava della croce di Cristo” (dal 1918 al 1930). Cosa ben singolare se è vero – come si reclama – che ogni verità dottrinale la WT la riceve dalla suprema sede dei cieli;
2)- Gesù non fu giustiziato dai Giudei, che lo avrebbero lapidato, ma dai Romani, per i quali la crocifissione era il supplizio ordinario inflitto a schiavi e malfattori;
3)- Esistono raffigurazioni archeologiche (la Croce di Ercolano, il graffito blasfemo del Palatino) che alludono a Cristo crocifisso;
4)- Esistono testimonianze letterarie che dicono la stessa cosa;
5)- La struttura della croce era composta da un palo verticale (stìpes), che si trovava fissato stabilmente nel luogo dell’esecuzione, e di un palo trasversale (patìbulum) che veniva caricato sulle spalle del condannato. E’ contro ogni logica immaginare che i soldati dovessero ogni volta fare un buco nella roccia profondo più di mezzo metro per fissarvi lo stipes;
6)- E’ inimmaginabile che il condannato, già debilitato dalla flagellazione, fosse gravato dal peso di un palo che doveva avere almeno 4,50/5,00 mt di lunghezza!
7)- La WT, per trovare conferme alla sua tesi, ha perfino falsificato la citazione del dizionario Greco-Italiano di Liddell & Scott (Ediz. Le Monnier) potandone la citazione ove il dizionario, tra i vari significati riconosciuti per il termine xylon aveva messo anche “la Croce N.T.” cioè gli aveva riconosciuto il significato di “croce” nell’ambito neotestamentario. (cf in L. MINUTI, I Testimoni di Geova non hanno la Bibbia, Coletti a S. Pietro, Roma, pp.103-110)
E se si vuole trovare una “dietrologia” di tale abolizione della croce da parte del geovismo, basterà pensare al fatto che essa non solo è da sempre il simbolo di tutta la cristianità, ma, unita alle parole “Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo” è anche il segno con cui si confessano i due misteri principali della fede, entrambi aborriti dal geovismo: l’unità e trinità di Dio, l’incarnazione passione e morte della seconda Persona della Trinità.
“34 [[Ma Gesù diceva: “Padre, perdona loro, poiché non sanno quello che fanno”.]]” (NM)
Come si vede la WT, in base alla sua regola asserente che nella sua versione: «Le parentesi quadre doppie [[ ]] indicano interpolazioni (parti estranee inserite nel testo originale).» (pag. 7 della NMrif) rifiuta di dare dignità di Parola di Dio a questa preghiera di Gesù. Lo fa spiegando che esse mancano in codici importanti. Ma è un fatto che esse esistono in altrettanti codici importanti. Quindi per lo meno si dovrebbe andare verso una soluzione dubbia, di probabilità. E’ chiaro però che la probabilità farà propendere la scelta verso l’esclusione nel caso si pensi che Gesù non sia Dio. Infatti se ci sono parole divine nel Vangelo, quelle di questa preghiera esprimono al meglio, rispetto a tante altre, la sconfinata misericordia del Dio Redentore. E’ per questo – dietro c’è sempre il rifiuto o l’accettazione della divinità di Gesù! – che la cristianità le accoglie come parole ispirate e il geovismo le rifiuta.
“42 E proseguì, dicendo: “Gesù ricordati di me quando sarai venuto nel tuo regno”. 43 Ed egli disse a lui: “Veramene ti dico oggi: Tu sarai con me in Paradiso.” (NM)
In questo passo si tocca con mano il pericolo di fraintendimento da cui il CD dei TG avverte di guardarsi coltivando una “attitudine bereana” cioè esaminando le Scritture “con la massima premura di mente”. Perché? Perché «E’ evidente che anche una cosa apparentemente insignificante come l’uso o l’omissione di una virgola o di un articolo determinativo o indeterminativo può a volte alterare il significato corretto del passo originale.» (NMrif p. 7)
In Luca 23,43 la cosa apparentemente insignificante sono i due punti posti nella NM prima di “oggi”, mentre tutte le Bibbie pongono un segno analogo (due punti o una virgola) dopo questo avverbio di tempo. E’ un segno solo apparentemente insignificante perché in realtà cambia radicalmente il senso del pensiero comunicato al lettore dal sacro testo. E che la WT ci tenga tantissimo ad insistere sulla sua scelta (in verità difendendola in modo molto maldestro) dipende dal fatto che se quei due punti fossero posti prima della parola “oggi” crollerebbero i pilastri fondamentali che tengono in piedi tutto l’edificio del geovismo. Ecco perché…
Il geovismo non intende per “paradiso” il regno dei cieli ma la terra paradisiaca. E distingue da un lato il cielo o reame dei cieli come il luogo dove vive Geova, la sua reggia, gli angeli, Gesù e i 144.000 “scelti dalla terra”; e dall’altro la terra paradisiaca che sarà restaurata dopo il massacro dei cattivi che avverrebbe ad Armaghedon.
In base a tale concezione il ladro pentito non può essere accolto nel reame dei cieli perché esso è riservato ai 144.000 Unti, e l’unzione era ancora di là da venire perché iniziò a Pentecoste. A lui Gesù avrebbe dunque promesso di resuscitarlo nella terra paradisiaca futura. Perciò Gesù non può avergli detto “in verità ti dico: oggi tu sarai con me” ma deve avergli detto “in verità di dico oggi: tu sarai [un giorno magari lontanissimo] nel paradiso”. Cioè il ladro pentito starebbe ancora “dormendo nel sonno della morte” (da intendere come “annichilato”).
Quindi quei due puntini, messi come li hanno messi tutti i traduttori da secoli, farebbero rovinare i seguenti pilastri di dottrina geovista:
1)- La distinzione tra unti e pecore. Perché anche al ladro pentito, che unto non è, viene promesso il reame dei cieli;
2)- La distinzione tra reame dei cieli e terra paradisiaca. Gesù dicendo paradiso intende il luogo ove starà lui e perciò intende il reame dei cieli. Anzi l’ipotesi della terra paradisiaca viene se non negata almeno messa in second’ordine;
3)- La teoria della nullificazione umana (detta impropriamente mortalità dell’anima). Infatti Gesù dicendo che oggi il ladro sarebbe stato con sé, alludeva certamente a qualcosa che non era il corpo, rimasto sulla croce, ma qualcosa in cui comunque si concentra la personalità, l’io umano, che secondo Gesù sussisteva alla morte del corpo;
4)- La distruzione dell’idea di cielo o reame dei cieli come un luogo in cui Gesù sarebbe andato solo 40 giorni dopo. Se ha detto “oggi” vuol dire che il cielo è la dimensione spirituale sopra-naturale in cui esiste Dio (che è presente appunto sia in cielo sia in ogni luogo). Cioè Gesù è entrato nella gloria di Dio immediatamente dopo la morte. Quaranta giorni dopo vi è asceso anche con il suo corpo di risorto.
Insomma con due… punture di spillo si sgonfia quasi tutta la “Torre di carta” geovista. Non fa meraviglia che la WT si sia posta in disaccordo con la sua stessa KIT Interlineare, negando il valore della virgola posta da Westcott e Hort prima della parola “oggi”, e sia andata disperatamente in cerca di qualche traduttore della Bibbia che in qualche modo aderisse all’idea di spostare i due punti dove a lei serve che stiano assolutamente. Ma i risultati sono stati deludenti. Il manuale geovista, “Ragioniamo facendo uso delle Scritture”, che dice di aver consultato molte traduzioni Bibliche, dimostra che la tesi geovista – tanta è la sua insostenibilità anche solo dal punto di vista logico! - ha perso almeno per 40 a 1!
“46 E Gesù chiamò ad alta voce, dicendo: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito”. Detto questo spirò.” (NM)
Spirito (o anima) e corpo dunque. E’ concezione cattolica! Il geovismo non può accettarlo, e dice che Gesù rese il… respiro. E se non si è convinti, interpretando però stavolta “spirito” come “vita”, aggiunge che Gesù affidò nelle mani di Geova la sua speranza di resurrezione. Resurrezione che il geovismo dice che avvenne dopo tre giorni, ma che in realtà non avvenne mai perché (come abbiamo detto e non ci stancheremo di ripetere) ciò che è stato “risuscitato” da morte (dizione impropria perché quella giusta è “ricreato”) sarebbe non il Gesù storico, ma solo una copia del fu Michele Arcangelo “sparito” 33 anni prima dal Reame dei cieli.
«In patientia vestra possidebitis animas vestras»... aliorumque. (Lc 21,19)