BIOETICA. Perché fermare la pillola Ru486. - IL FOGLIO

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BIOETICA. Perché fermare la pillola Ru486. - IL FOGLIO

Messaggioda Leonardo » lun dic 29, 2008 9:52 pm

29 dicembre 2008
Appello

Cosa è la pillola Ru486 e perché bisogna fermarla

La Ru486 non è una medicina. Non cura alcuna malattia. Non aiuta la vita, la stronca sul nascere. La Ru486 non è amichevole nei confronti delle donne. Non realizza in alcun modo un aborto indolore, posto che sia possibile realizzarlo. E' al contrario un sistema abortivo altamente controverso anche dal punto di vista della sua sicurezza ed efficienza clinica. Più importante ancora, la pillola abortiva tende a deresponsabilizzare il sistema medico, e a ridurlo a dispensario di veleni, e lascia sole le donne, inducendole a una sofferenza fisica e psichica prolungata e domestica, molto simile alle vecchie procedure dell'aborto clandestino. Per queste ragioni etiche siamo contrari alla pillola Ru486 e alla sua introduzione in Italia, anche perché la sua utilizzazione è incompatibile con le norme della legge 194/1978. E pensiamo che occorra fare di tutto, ciascuno nelle forme pertinenti il proprio ruolo, per impedirla.

Lucetta Scaraffia, Roberto Formigoni, Giuliano Ferrara, Francesco Cossiga, S.E. Mons. Luigi Negri Vescovo di S. Marino-Montefeltro, Gianpaolo Barra, Laura Bianconi, Luigi Bobba, Lucia Boccacin, Mariella Bocciardo, Paola Bonzi, Carlo Bellieni, Isabella Bertolini, Luisa Capitanio Santolini, Enzo Carra, Marina Corradi, Maria Luisa Di Pietro, Benedetto Ippolito, Matilde Leonardi, Giuseppe Leoni, Antonio Livi, Maurizio Lupi, Alfredo Mantovano, Mario Mauro, Mario Melazzini, Antonio Palmieri, Andrea Pamparana, Adriano Pessina, Savino Pezzotta, Massimo Polledri, Vittorio Possenti, Antonio Socci, Marta Sordi, Olimpia Tarzia, Luca Volontè, Alessandro Zaccuri, Severino Antinori, Mov. per la Vita ambrosiano, Luigi Santambrogio.............. .-
(seguono numerosissime adesioni. ndr) -

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Re: BIOETICA. Perché fermare la pillola Ru486. - IL FOGLIO

Messaggioda predestinato74 » lun dic 29, 2008 10:02 pm

beh ma oltre alla questione della RU c'è anche il Norlevo che è distribuito tranquillamente ai Pronto Soccorso degli ospedali.
Il Norlevo impedisce l'annidamento dell'ovulo già fecondato, e se la fecondazione non è ancora avvenuta, la impedisce.
Potenzialmente è quindi abortiva anche se il Ministero della Sanità la propone come "Contraccettivo d'emergenza".

Dove lavoro, diverse volte ho visto ragazze e donne disperate che chiedevano la pillola che va presa entro le 72 ore dal rapporto.
Un giorno ci stupiremo di quanti "non-nati" sia abitato il Paradiso....milioni e milioni. :cry:
ciò che più mi spiace è la disinformazione che regna; chi usa il Norlevo, come spesso anche chi la prescrive, la considera un semplice farmaco, ahimé.
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Re: BIOETICA. Perché fermare la pillola Ru486. - IL FOGLIO

Messaggioda francocoladarci » mar dic 30, 2008 5:35 pm

Il fatto è, che prima l’interruzione della gravidanza era solo chirurgica, quindi sofferenze fisiche ed emotive, e forse, dico forse, in seguito la coppia avrebbe mostrato un’attenzione maggiore.

Con l’introduzione della pillola RU486. Si è tolta anche questa possibilità, ossia la responsabilità procreativa, è vero che dopo circa due giorni necessita assumere un’altra pillola per “ gettare” l’ovulo fecondato, ma non si hanno le complicanze e/o sofferenze di un intervento chirurgico.
Purtroppo i valori della vita sono diventati obsoleti, la medesima ha la sua sacralità, un vecchio deve avere il diritto di terminare la sua vita, naturale e dignitosa, un embrione ha diritto di iniziare una vita naturale e dignitosa. Chi detiene il diritto di vita! Salmo 36:9 “Poiché in te è la fonte della vita e per la tua luce noi vediamo la luce.”

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Re: BIOETICA. Perché fermare la pillola Ru486. - IL FOGLIO

Messaggioda Leonardo » gio ott 01, 2009 1:48 pm

"La decisione dell’agenzia del farmaco di commercializzare e distribuire la Ru486 in tutte le strutture sanitarie del Paese è un evento di importanza assolutamente epocale. Del resto avevamo già notato, ai tempi dell’infelicissima esperienza di Eluana Englaro, che l’imbattersi della nostra società contro l’urto della mentalità laicista e anticristiana sta obiettivamente demolendo i punti sostanziali, sul piano antropologico ed etico, che hanno retto per più di due millenni la nostra tradizione italiana".
(Mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino, 4/8/2009)


La RU486 si ingerirà anche in Italia - a casa o in ospedale -, come si ingerisce nella maggior parte del cosiddetto mondo civile (verso il quale noi non abbiamo nessuna voglia di andare), e poi il meccanismo avrà il suo inesorabile e tragico esito.
Questa assenza totale del rispetto per la vita, che è il rispetto per la persona e il suo destino, farà sì che il rispetto per la capacità di intelligenza dell’uomo, per la sua dedizione, per la sua capacità di sacrificio con cui le generazioni precedenti hanno costruito una società fortemente ispirata dal cristianesimo, ma sostanzialmente laica nelle sue motivazioni e nelle sue determinazioni di fondo, scompaia.
Noi siamo qui a sentirci dire che questo è il progresso, che questa è la vera autodeterminazione della donna e che questa è una società a misura della razionalità e della libertà dell’uomo.
Invece è una società a misura dell’irrazionalità e della violenza dell’uomo.
La moralità pubblica rappresentata dalla Ru486 è la moralità che copre il nostro Paese di una coltre terribile, la coltre dell’indifferenza e della violenza.

Facciamo sentire la nostra indignazione e chiediamo ai politici di provvedere affinché l’Agenzia del Farmaco ritiri subito il “pesticida umano” dalle vendite.
Invitiamo a scrivere ai politici della propria circoscrizione attraverso il "sistema portalettere" di FattiSentire.net, utilizzabile all'indirizzo
http://www.fattisentire.net/modules.php?name=invio_mail2

Il testo della tua e-mail giungera' a tutti i deputati e senatori appartenenti a partiti nominalmente non ostili alla famiglia.


Per approfondire clicca su http://www.difenderelavita.totustuus.it/modules.php?name=News&file=categories&op=newindex& catid=13
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Re: BIOETICA. Perché fermare la pillola Ru486. - IL FOGLIO

Messaggioda Leonardo » gio ott 22, 2009 2:36 pm

ABORTO
Ru486: perché non ci va giù -Avvenire 22/10/2009

Vivere in democrazia ha vantaggi indiscutibili. Primo fra tutti la libertà di dissentire. Civilmente, s’intende. Perciò nessuno – ribadiamo nessuno – ci potrà impedire, da oggi e sino a quando avremo la forza per ripeterlo, che "no"... questa pillola davvero non ci va giù. La Ru486, la compressa salita agli onori delle cronache per l’effetto taumaturgico che le è stato acriticamente attribuito, sarà presto a disposizione di qualunque donna italiana che voglia intraprendere un percorso abortivo. Questa pillola sostituisce, con un colpo netto, le pratiche chirurgiche che sino a ieri hanno accompagnato, dentro i limiti della legge 194, l’aborto legale. Quello cioè previsto da una legge dello Stato che oltre trent’anni fa fu oggetto di un ampio dibattito, oltre che di profonde divisioni e di confronti culturali di altissimo livello. Sino a giungere al referendum abrogativo che vide soccombere i promotori. È storia di ieri, ma è difficile che i nostri giovani sappiano associare i nomi di alcuni politici del tempo a quelle battaglie. Con ogni probabilità non saprebbero spiegarci neppure quale fosse la posta in gioco nel voto del 17 maggio 1981. Anzi, siamo sicuri che ormai percepiscano l’aborto come un diritto («c’è una legge») e non come una semplice opzione personale alla quale si può ricorrere solo per scelta, mettendo in moto i "tribunali" della ragione e della coscienza. Dunque, nulla di "leggero", come invece si vuol fare intendere.

Ora, nessuno di noi pensa di evocare i confronti di allora. Eppure c’è qualcosa che ci induce ad affermare che il clima di questi giorni, la leggerezza con la quale si è accettata l’introduzione in Italia della pratica dell’aborto chimico, siano il segnale – forse conclusivo – del processo di banalizzazione partito tanti anni addietro. Un processo che porta alla rimozione, mediante l’insostenibile impalpabilità di una pillola, della domanda essenziale: a cosa sto rinunciando? Sostiene Zygmunt Bauman che il nostro è il tempo in cui «la cultura è disimpegno, discontinuità e dimenticanza. In questo tipo di cultura e nelle strategie delle politiche della vita che essa valorizza e promuove, non c’è molto spazio per gli ideali». Cosa di meglio, in questo orizzonte esistenziale, di una pillola che, al pari di un’aspirina, liquida un grande problema con un gesto ordinario e minimale, di quelli che tutti abbiamo interiorizzato nel nostro subconscio come il massimo della semplificazione? Ed è qui, in questa nuda verità, il cuore della questione culturale – se volete antropologica – legata alla Ru486. La pillola, in sé, allontana il dramma dell’aborto e la percezione che di esso possono avere tanto la donna quanto l’uomo. In fondo, se basta una pillola per rinunciare a una vita umana, quella stessa vita perde di valore. Il mezzo, in questa circostanza, reca con sé un profondo rimbalzo simbolico. In sostanza immiserisce, nella sua oggettiva povertà di minuscola componente chimica, anche l’oggetto della rinuncia: una vita unica e irripetibile.

Ora è facile immaginare la replica: i soliti cattolici che vedono la vita dappertutto. Certo, è una vita (ci si passi il gioco di parole) che ci educhiamo a riconoscere la vita in ogni sua espressione. Ed è proprio per questo che non possiamo arrenderci alla cultura della banalizzazione dell’aborto che la Ru486 reca con sé. E non sarà mai nessun medico interessato a sgravarsi la coscienza, lasciando le donne sole con la propria scelta e quindi a gestirsi l’aborto "fai da te", a convincerci che così è tutto più facile. Né ci convincerà la propaganda incessante che saluta come un avanzamento di civiltà ogni cosa che venga approvata in un angolo di questa nostra Europa esausta e dimentica del proprio deposito di umanità. Dunque battaglia culturale dev’essere perché non possiamo legittimamente fidarci di tutte le assicurazioni, di tutti i "vigileremo" che sono stati pronunciati in questi giorni, di tutte le promesse di rispetto della legge 194 (guarda cosa ci tocca chiedere...), perché la storia di questi ultimi trent’anni sta lì a dimostrare che si va in un’unica direzione: l’estensione di massa delle pratiche abortive e la mancata attuazione di tutte le buone azioni preventive. La legge 194 è incompiuta, e tale, purtroppo, temiamo che resti. Non vediamo infatti nel fronte abortista, di varia estrazione culturale, alcun interesse reale ad applicarla in tutte le sue parti, a cominciare dalla promozione della vita. A dimostrazione che le leggi vengono sezionate chirurgicamente dalla prassi medica, e pervicacemente piegate a interessi ideologici. Ora, come non pensar male in queste circostanze? Come non temere che, viste le premesse, la Ru486 diventi ben presto il metodo abortivo più gettonato, grazie anche alla propensione dei medici abortisti ad allontanare da sé la responsabilità dell’aborto, che con la pillola è tutto e solo a carico della donna e della sua coscienza?

Interrogativi culturali legittimi che ci fanno dire, una volta di più, che quella pillola proprio non ci va giù. E che nei prossimi mesi e nei prossimi anni sempre più si dovrà affinare l’analisi dei fenomeni sociali e culturali che essa produrrà. Basti pensare al solo equivoco contenuto nel nome. La pillola Ru486 non è un farmaco, non cura ma produce la morte. Chiamatela diversamente, quella compressa. Almeno non coprite questa somma ipocrisia che offende la medicina ippocratica. Ma forse è chiedere troppo per il politicamente corretto che impera nella bolla culturale che avvolge il Paese. Che preferisce parlare di "interruzione volontaria della gravidanza" (e non di aborto) e di "frutto del concepimento" (e non di embrione). Ma con le parole non si può giocare troppo a lungo: prima o poi presentano il conto. Anche a chi vive e prospera nell’omissione culturale.
Domenico Delle Foglie
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Re: BIOETICA. Perché fermare la pillola Ru486. - IL FOGLIO

Messaggioda Leonardo » gio ott 22, 2009 2:40 pm

15 Ottobre 2009 - Avvenire
LA STORIA
«La Ru486 ha ucciso mia figlia»

Un'immagine di Holly Patterson Holly Patterson aveva appena compiuto 18 anni quando entrò in un consultorio californiano dell’associazione «Planned parenthood» chiedendo una pillola per abortire. In realtà non sappiamo cosa chiese. Sappiamo solo che era spaventata. Era incinta. I suoi genitori non lo sapevano. Voleva che qualcuno l’aiutasse. Holly ricevette una pastiglia da 200 mg di mifepristone che prese al consultorio e un’altra da 800 mg di misoprostol, con l’istruzione di inserirla vaginalmente 24 ore più tardi. Le fu dato un appuntamento una settimana dopo, il 17 settembre 2003, alle due del pomeriggio, per verificare che il feto fosse stato espulso e che «fosse andato tutto bene». Nulla andò bene. Holly morì un’ora prima dell’appuntamento, nel pronto soccorso dell’ospedale di Pleasanton. Suo padre, chiamato d’urgenza, non aveva mai sentito parlare della Ru486 prima che un medico lo informasse che, in seguito a un aborto chimico, sua figlia «non ce l’avrebbe fatta».

Ma Monty Patterson continuava a non capire cosa potesse aver trasformato la sua sana, energica ragazza nella creatura pallida e incapace di parlare che lo guardava terrorizzata, poco prima di spirare. Nei mesi successivi Patterson avrebbe imparato molto: a uccidere sua figlia era stata la sepsi provocata da un’infezione dal batterio «clostridium sordellii», indotta dall’assunzione della Ru486. E che la morte poteva essere evitata. Oggi gira gli Usa per spiegare che la Ru486 è un autentico veleno: Patterson ha discusso dei rischi della pillola alla Casa Bianca, in frequenti testimonianze in Congresso, con la Fda, con associazioni di pazienti. In seguito al suo attivismo 70 deputati hanno redatto la “legge di Holly” che chiede la sospensione della Ru486 e la revisione dell’iter che ha portato alla sua approvazione. Ma la legge non è mai stata approvata dal Congresso.

Signor Patterson, qual è il suo giudizio sulla pillola abortiva?
«La mia preoccupazione è la sua sicurezza per le donne. Per me è un problema di salute. Io volevo solo salvare mia figlia, ma non l’ho potuto fare. Tutto quello che mi resta è cercare di informare altre Holly di quello che può succedere loro».

Che informazioni dovrebbero avere?
«Al momento una 18enne come Holly non riceve abbastanza informazioni per prendere una decisione consapevole quando sceglie di terminare chimicamente la sua gravidanza. Nessuno ha interesse a spiegarle cosa le potrebbe succedere. Ma non solo a una 18ennne. Prenda Oriane Shevin. Era avvocato. Sposata, madre di due figli. Ha avuto una terza gravidanza e ha fatto come Holly. È andata in un consultorio, ha preso una pillola. È morta. Aveva ricevuto abbastanza informazioni? No. Quello che si trova su Internet, presso i medici che praticano aborti, sono i dati messi in circolazione dalla società che distribuisce la Ru486 negli Usa, la Danco Laboratories, o da organizzazioni abortiste. Sostengono che il rischio è minimo, che le infezioni sono rare e curabili. Non è vero! Queste donne sono lasciate sole e senza mezzi per difendersi».

È una delle caratteristiche della pillola abortiva quella di consentire l’aborto "fai da te"...
«I fatti mostrano che questa idea dell’aborto nella "privacy della tua casa" pone un fardello enorme sulle spalle delle donne. Le costringe a capire da sole quando qualcosa non va. Holly ha fatto tutto quello che le avevano detto. Dopo tre giorni ha chiamato il consultorio lamentandosi di forti crampi addominali, e le hanno detto di prendere una dose maggiore di antidolorifico. Il giorno dopo è andata al pronto soccorso. Le hanno dato un antidolorifico ancora più forte e l’hanno mandata a casa. Tre giorni più tardi è tornata all’ospedale e nel giro di poche ore è morta. Non aveva febbre, solo dolori. Altre tre donne hanno avuto gli stessi sintomi. E si sono sentite dire che era tutto normale».

Di chi è la colpa?
«I reparti di pronto soccorso non sono preparati a riconoscere i sintomi di infezioni come questa. Spesso le donne che vi si rivolgono non dicono nemmeno di aver assunto la pillola abortiva. Holly lo fece, ma non le fu di nessun aiuto».

L’ente americano che vigila sui farmaci – la Fda – ha ammesso che l’azienda distributrice della pillola abortiva non ha comunicato tutti i casi di "effetti avversi"...
«Sì, perché negli Stati Uniti queste comunicazioni sono volontarie. Sappiamo però che ci sono molte altre donne che hanno rischiato di morire o sono morte per colpa della Ru486, e di cui non è stato detto nulla. L’aborto è una procedura circondata dal segreto, specialmente nel caso di giovani come Holly: a 17 anni è rimasta incinta di un 24enne che non voleva farlo sapere ai genitori. Non possiamo scaricare sulle spalle di queste ragazze la responsabilità di dubitare delle informazioni che ricevono nei consultori o su Internet. Io stesso ho faticato a raccogliere dati affidabili».

Lei a chi si è rivolto?
«A Didier Sicard, professore di medicina all’Università Descartes di Parigi, ex presidente del Comitato bioetico francese che ha dato il via libera alla Ru486. Sua figlia, Oriane Shevin, è morta dopo aver assunto la pillola abortiva. Ora anche lui sostiene che i rischi legati alla Ru486 sono molto più alti di quanto si ammette, e che le informazioni circolanti non sono oggettive. I dati parlano di un rischio di "fallimento" del protocollo del 5-7%. Da dove vengono quei numeri? Dal distributore della pillola. È come chiedere alla volpe di fare la guardia al pollaio. Da quando mia figlia è morta sono stato contattato da decine di donne che mi hanno detto di dover la vita a Holly. Avevano preso la pillola, non stavano bene. Sono andate su Internet, hanno letto la mia storia, e sono corse all’ospedale dicendo che forse avevano un’infezione in atto. In alcuni casi era vero, e hanno ricevuto antibiotici in tempo».

È una consolazione?
«L’unica. Se Holly fosse sopravvissuta, sarebbe la prima a voler raccontare la sua storia per aiutare altre come lei. Non ho potuto proteggere mia figlia, forse posso proteggere le figlie di altri».
Elena Molinari
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Re: BIOETICA. Perché fermare la pillola Ru486. - IL FOGLIO

Messaggioda Leonardo » gio ott 22, 2009 2:44 pm

22 Ottobre 2009 - Avvenire
IL FENOMENO
Aborto «privatizzato», il silenzio delle femministe

E' un silenzio strano nel nostro Paese. Un silenzio che diventa sempre più rumoroso man mano che passano le settimane e si infiamma il dibattito sull’introduzione da noi della Ru486. Nemmeno una femminista italiana ha fatto sentire la sua voce per muovere qualche osservazione sull’arrivo della pillola abortiva.

La legalizzazione dell’aborto in Occidente viene universalmente ricordata come una grande conquista civile e legale, una conquista alla quale ha concorso fortemente l’impegno tenace e caparbio delle femministe che rivendicavano a gran voce il diritto della donna di decidere del proprio corpo e della propria gravidanza. Quella battaglia era dovuta anche alla volontà di sconfiggere la piaga degli aborti clandestini. Quei tantissimi aborti che uccidevano o menomavano più o meno gravemente tante donne disperate, incappate negli arnesi di mammane e procacciatori di aborti senza scrupolo. L’impegno delle femministe fu duplice: salvando la vita e tutelando la salute delle donne e il loro diritto di scelta, si voleva anche rendere gravidanza, maternità e aborto questioni pubbliche, destinate a contare sul piano politico. Due aspetti che la Ru486 viola in pieno.

Se anche è vero che in Italia c’è (per ora) il paletto della legge 194 che impone di abortire in ospedale, il meccanismo della pillola Ru486 introduce un’altra modalità abortiva. Come noto, infatti, le pillole in realtà sono due. Una uccide l’embrione in grembo, atrofizzandolo e togliendogli il nutrimento. L’altra – da prendere 48 ore dopo – lo espelle: è un momento doloroso (servono gli antidolorifici) e spesso impressionante (giacché va controllata l’emorragia, le donne vedono l’embrione abortito).

Non solo, dunque, il dolore fisico non diminuisce – anzi! –, ma aumenta notevolmente il carico psicologico. Mentre nell’aborto classico la donna si reca in ospedale (anche solo in day hospital) e il medico interviene, nell’altro è lei stessa a esserne anche l’artefice materiale. Sembra un dettaglio formale, ma chi c’è passato racconta che non è proprio così. L’aborto è mio, e lo faccio io: sono anni che Emma Bonino va ripetendo «chi lo dice che noi donne dobbiamo sempre soffrire? Sarei contenta di trovare un modo per abortire facile». La Ru486 di facile e di meno sofferto non ha proprio nulla. Eppure, ben poche femministe italiane si sono sentite su questo punto.

In secondo luogo, con la Ru486 l’aborto diventa – anzi, ridiventa – un affare esclusivamente privato. Con essa, la maternità viene subdolamente ricollocata tra le mura domestiche. Anche qui, tantissimo silenzio. Eppure poco più di 30 anni fa le nostre femministe si sono battute perché l’aborto uscisse dalla clandestinità, non fosse più una pratica privata, invisibile e solitaria, non fosse più una vergogna da nascondere, ma diventasse una scelta che, seppur dolorosa, riguardasse, coinvolgesse e chiamasse in causa tutti. Sul piano fattuale e morale in primis.

Già oggi la maternità nel nostro Paese non ha l’attenzione pubblica e politica che si meriterebbe – la pillola abortiva è un passo in più verso la sua completa espulsione. Già così attorno all’aborto c’è disinteresse, un enorme non-detto che fa comodo a tutti. Una delle frasi peggiori che spesso, molto spesso si sentono sulla bocca degli uomini è: «Io, personalmente, non vorrei l’aborto, ma lei lo vuole e debbo rispettare la sua decisione». Dichiarandosi personalmente contrario, ma di fatto – in nome della libera scelta – obbligato ad accettarlo, il padre mancato (scampato?) si sente libero dal peso morale, e si avverte come politicamente ineccepibile.

Criticando l’ideologia del gender, molte femministe anglosassoni e francesi si sono trovate (loro malgrado, occorre aggiungere) alleate della Chiesa cattolica. Sul dibattito attorno alla legge 40, anche in Italia abbiamo avuto un esempio di questo interessante binomio (due «femministe libertarie di sinistra», Alessandra Di Pietro e Paola Tavella, ebbero il coraggio di sfidare le convenzioni politicamente corrette su maternità e fecondazione assistita pubblicando il saggio Madri selvagge, un «manifesto radicale di amore per la vita»). Eppure, l’aborto in Italia rimane un’altra cosa (sebbene siano quasi vent’anni che anche sulla pillola abortiva le femministe americane, abituate a denunciare liberamente e senza paura le manipolazioni su corpo e fertilità femminile, discutono, criticano e condannano). Da noi, è ancora tabù: trovarsi vicino alla posizioni della Chiesa in tema è e resta inammissibile.

Sollevare qualche obiezione sulla banalizzazione culturale dell’aborto a cui la Ru486 induce, sul dolore che chiama in causa, o sul suo ricacciare l’aborto tra le questioni private femminili (il che significa invisibili e insignificanti), potrebbe essere un gesto molto femminista. Terribilmente femminista. Anche se ciò comporta il terribile rischio di venirsi a trovare sul palco accanto alla terribile Chiesa. (Da femminista, e da cattolica, rivorrei tanto le streghe).
Giulia Galeotti
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Re: BIOETICA. Perché fermare la pillola Ru486. - IL FOGLIO

Messaggioda Leonardo » lun nov 23, 2009 2:48 pm

ABORTO: sulla Ru486 ora i neo pro-life rispondano
Articoli CR
Domenica 22 Novembre 2009 16:59
CR n.1118 del 21/11/2009

Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un progressivo ed inesorabile allontanamento da una posizione radicale in difesa della vita umana innocente verso una posizione sempre più sfumata e sempre meno ortodossa, soprattutto in seno ai movimenti pro-life italiani e a gran parte del mondo cattolico. Mantenere un atteggiamento fermo e deciso avrebbe significato infatti “perdere contatto” con il mondo e rinunciare alla seduzione del compromesso e del dialogo.

I “successi” ottenuti dalla cultura antivita dominante sono in parte da attribuire alla scarsa ed inconsistente opposizione dei “buoni” che, colludendo col nemico sui punti essenziali, hanno finito per spianargli la strada. Il recente via libera dell’Aifa all’introduzione nel mercato italiano della pillola abortiva Ru486 ha reso ancor più evidente e manifesta tale perversa tendenza.

Già da tempo l’“Avvenire”, il quotidiano dei vescovi italiani, ha dato prova di equilibrismo concettuale e dottrinale sul tema dell’aborto volontario, assumendo spesso posizioni ambigue e fin troppo concilianti. Sull’inserto di “Avvenire” intitolato E’ vita del 12 novembre è uscito uno sconcertante articolo dal titolo Sulla Ru486 ora l’Aifa risponda, in cui vengono poste all’Agenzia italiana del farmaco una serie di domande in merito all’attuazione del provvedimento che autorizza la distribuzione della Ru486. Le otto domande costituiscono forse il manifesto più evidente della deriva morale ed intellettuale in atto: in esse non c’è alcun riferimento al bambino, la vera vittima dell’aborto chimico, che non viene mai nemmeno nominato!

Tutti gli interrogativi ruotano intorno alla salvaguardia dell’integrità fisica della donna ed al rispetto di quella legge che da oltre trent’anni legittima l’uccisione volontaria di esseri umani innocenti ed indifesi. L’abominevole delitto descritto dal Catechismo diventa tale solamente quando la donna ne subisce le conseguenze fisiche o morali.
Il tentativo di occultamento del male operato dalle lobby abortiste ha probabilmente raggiunto l’obbiettivo fissato: della vittima non v’è più alcuna traccia.
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Re: BIOETICA. Perché fermare la pillola Ru486. - IL FOGLIO

Messaggioda Leonardo » mer dic 02, 2009 1:53 pm

DIFESA DELLA VITA
«Il mio dramma con la Ru486. Stavo morendo, ho perso tutto»

Un figlio indesiderato, una gravidanza annunciata e poi confermata da due rapidi test fai-da-te nel bagno dell’università di Barcellona, dove da qualche mese studiava con il suo fidanzato. Infine la decisione di abortire e il benevolo consiglio di un medico spagnolo, gentile quanto ingannevole: «Due pillole e non ci pensi più»... Invece Anna (nome di fantasia), 24 anni, studentessa calabrese, ripenserà per sempre a ciò che è avvenuto dal momento in cui ha assunto la Ru486, un "medicinale" che non cura niente e nessuno, nato allo scopo specifico di sopprimere la vita al suo esordio. Ma che quel giorno rischiò di uccidere la giovane madre, oltre a quel feto che oggi, mentre piange, chiama «figlio».

«Ero partita dall’Università della Calabria per il "Progetto Erasmus" – racconta incontrandoci sul Ponte Pietro Bucci dell’ateneo, i segni di una sofferenza indelebile sul volto e nel tremore della voce –. Studiavo e tuttora studio a Cosenza, allora ero una ragazza felice e piena di propositi per il futuro, anche perché presto ho conosciuto il mio fidanzato, con cui poi sarei partita per Barcellona...». Gli occhi neri si muovono rapidi e insicuri, offuscati da un’ombra di dolore, ciò che resta del suo viaggio in quello che lei chiama «il tunnel oscuro» e dal quale ancora non sa uscire.

La sua storia è di quelle che iniziano fin troppo bene, con un bando proposto agli studenti più meritevoli per uno scambio culturale e formativo in una delle città europee, il brillante superamento della selezione assieme al fidanzato (che chiameremo Roberto), e la partenza per la metropoli catalana. «Doveva essere un’esperienza indimenticabile», ricorda senza sorridere. Anna, che nel suo soggiorno spagnolo condivide l’alloggio con due compagne straniere, un giorno si accorge, calendario alla mano, che i conti non tornano: «All’inizio pensavo che il mio ritardo derivasse da alcuni antibiotici che avevo assunto per una brutta influenza – prosegue –, poi cominciai a temere di essere rimasta incinta e in una farmacia del centro comprai il test di gravidanza». La vita di suo figlio, annunciata in quel bagno, le cadde addosso come la peggiore delle notizie. «Lo dissi a Roberto e sperammo entrambi in un errore, ma anche il secondo test diede lo stesso risultato. Da allora litigammo furiosamente...».

La vita di Anna iniziava a frantumarsi, e il primo pezzo che se ne andava era proprio l’amore: da una parte c’era Roberto, deciso a tenere quel figlio e a prendersi le sue responsabilità di padre nonostante i suoi 24 anni e la mancanza di un lavoro, dall’altra le paure della giovane, il timore dei genitori, il terrore della solitudine. E sola rimane davvero, Anna, accompagnata da un’amica spagnola nella struttura sanitaria in cui i medici le spiegano che «la Spagna è molto più avanti dell’Italia e qui c’è la libertà di abortire con semplicità». Sola è anche quando i camici bianchi le raccontano che non avrà alcun problema, che «basterà assumere due pillole, una per bloccare la gravidanza e l’altra per espellere il feto, niente di complicato, al massimo quel piccolo fastidio come nelle giornate del ciclo...». Sola quando imbocca il tunnel senza nemmeno far sapere a Roberto che tra poche ore non sarà più padre.

Un mare di carte da compilare per dichiarare che era stata informata di tutte le conseguenze cui andava incontro, un colloquio frettoloso con un’assistente sociale, una prescrizione medica e giù le pillole. «Eravamo in tante - ricorda tormentandosi per tutte - e ci chiamavano per nome e cognome, senza alcun rispetto della privacy. Quando toccò a me, nessuno in realtà mi disse nulla del pericolo cui andavo incontro, così firmai e presi la prima pillola, che poi scoprii chiamarsi Mifeprex. Due giorni dopo ritornai in ospedale, come mi aveva detto il medico, e presi l’altra pillola, il Misoprostol. È stato tutto molto facile». Facile come bere quel bicchier d’acqua con cui le manda giù.

Ma il dramma deve solo cominciare. «La mattina seguente ero sola in appartamento, le mie due amiche erano uscite, il mio fidanzato neanche sapeva che stavo già mettendo in pratica il mio intento abortivo. Iniziai ad avere dolori lancinanti all’addome, a fare avanti e indietro dal bagno con una diarrea incontrollabile e una nausea terribile. Pensavo di morire. Caddi in uno stato di semi incoscienza e dopo alcune ore mi svegliai in un bagno di sangue. L’emorragia era inarrestabile, continuavo a perdere sangue, sentivo la vita uscire dal mio corpo, non ero mai stata tanto male. Chiamai aiuto e tornai in ospedale, dove mi fecero una nuova ecografia ed ebbi la notizia che l’aborto era avvenuto "con successo". In realtà lì si celebrò il cuore vero del mio dramma. Le mie convinzioni ad una ad una sono tutte crollate, sono caduta in uno stato di depressione terribile, piango sempre e fatico a riprendere forza. Ora mi sento in colpa verso il mio fidanzato, che peraltro ho anche perso, e soprattutto verso quella creatura. Devo cominciare a ricostruire tutta la mia vita, ma so che questo ricordo non mi abbandonerà».

Era una ragazza come tante, Anna, con quella voglia di vivere a volte irrefrenabile, quella convinzione di avere il mondo in tasca e le certezze nel cuore, decisa a fare di testa sua. «Anche in quell’occasione pensavo di aver scelto la via facile, così sui giornali ti presentano la Ru486, credevo fosse una conquista della scienza, invece la mia vita è finita con quella pillola, che ti dà l’illusione di non abortire mentre in realtà rischia di uccidere te oltre a tuo figlio...».

Ce la farà, Anna, la sua rinascita comincia da qui, dal desiderio di raccontare la sua storia, rimasta sconosciuta anche ai genitori: «Non voglio che altre ragazze imbocchino la mia strada, devono sapere a cosa si va incontro. Vorrei dire solo questo: attente alle false libertà e soprattutto non decidete da sole, la vita, sin dal suo sbocciare, anche nel dramma si può trasformare in un dono. Io me ne sono accorta troppo tardi, ma per voi c’è ancora tempo».


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Re: BIOETICA. Perché fermare la pillola Ru486. - IL FOGLIO

Messaggioda Leonardo » lun dic 14, 2009 8:18 am

La storia vera della pillola abortiva RU 486
di Luigi Frigerio* -da Zenit 13 Dicembre 2009

L’essere umano viene concepito senza la sua volontà, e il suo sviluppo dipende per lo più dalla madre fin dalla nascita. In seguito la sua vita dipende dalla famiglia e dalla società in cui egli vive.

Nel 1978, a partire dall’episodio della nube tossica di Seveso, venne istituita in Italia la legge 194, che contiene norme sull’interruzione volontaria della gravidanza, entro i primi novanta giorni, a discrezione della donna e, dopo tale periodo, sulla base di indicazioni di natura medica. Gli interventi possono essere praticati unicamente presso ospedali pubblici, istituti ed enti autorizzati.

Durante gli anni ’80 fu introdotta in Francia la pillola RU 486 per consentire l’interruzione chimica della gravi danza. Questo prodotto consente, in molti casi, l’evacuazione di un embrione umano senza intervento chirurgico, riproponendo un tema che il referendum sulla legge 40, in merito alla procreazione medicalmente assistita, aveva già battuto in Italia col voto del 2005.

È in gioco la salute della donna – si è detto –; bisogna rendere più facile l’aborto nell’interesse di tutte le donne! Risulta dunque lecito uccidere un essere umano che non ha commesso alcun delitto né usato violenza, ma che crea “disagio” o, talora, accresce il “rischio”nella vita di altri? Romano Guardini aveva sottolineato i pericoli derivanti da una concezione per cui “l’uomo è diventato incline a trattare i suoi simili come cose che cadono sotto la categoria dell’utilità”.

In tutte le legislazioni la tutela della vita umana rappresenta il coronamento della proibizione di trattare l’uomo come “cosa”. Eppure, s’insiste sul fatto che la donna ha il diritto di disporre del proprio corpo e che quindi le è lecito esigere di stravolgere la propria gravi danza con metodi che corrispondano alle finalità da lei volute. Ma il nascituro, il figlio, non è semplicemente il corpo della madre, e neppure un suo organo o una sua emanazione, sebbene legato a lei così intimamente da formare con lei, appunto, una vita nella vita.

Sul piano strettamente culturale Cesare Cavoni e Dario Sacchini svolgono, attraverso il libro, “La storia vera della pillola abortiva RU 486” (Edizioni Cantagalli; pp. 288) un’azione informativa capillare che documenta in maniera ineccepibile gli aspetti controversi della pillola abortiva mifepristone (o RU 486). Il farmaco ha una scarsa tollerabilità sotto il profilo fisico e clinico; nume rosi studi pubblicati al riguardo, hanno evidenziato un numero elevato di emorragie, incremento del dolore, febbre, vertigini ed un’assai prolungata durata delle perdite di sangue.

Deve essere considerato inoltre il dato emergente, in base al quale l’aborto medico ha un tasso di insuccessi assai superiore rispetto a quello dell’aborto chirurgico. In questo libro gli aspetti etici vengono trattati con la preoccupazione di tutelare l’uomo agli albori del suo divenire di fronte all’egoismo crescente di una società adulta accecata da una logica meramente utilitaristica.

Quest’opera di “contro informazione” ha un significato sociale assai importante, perché ogni violazione della persona, special mente con la copertura della legge, apre la via ad un regime sostanzialmente contrario all’uomo e perciò totalitario.

Ogni azione coerente richiede la conoscenza dei fatti e la volontà libera di perseguire uno scopo.

Oggi dobbiamo arginare la tendenza a considerare la medicina al pari delle scienze “esatte”, perché questo riduzionismo di tipo matematico porta a censurare la dignità di ogni singolo essere umano.

Una medicina che abbia cura della persona non può essere meccanicistica. La clinica è un’arte dove la scienza si china innanzi all’umanità di ciascuno. La dignità della persona umana non può essere sacrificata a nessun altro interesse. Come diceva il noto medico statunitense William James Mayo, “il miglior interesse del paziente è l’unico interesse da considerare”. Il medico che cura la gravidanza deve difendere due volte questo supremo interesse.



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*Luigi Frigerio è docente di Ostetricia e Ginecologia all'Università di Milano. Fondatore insieme al prof. A. Ferrari della Società Italiana di Chirurgia Ginecologica, nel 1989 è stato nominato Segretario Scientifico di questa società.[/b]
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