Segue l’Indirizzo e le lettere fino alla Chiesa di Pergamo
INDIRIZZO
(Ap. 1, 4-8)
4. Giovanni alle sette Chiese che sono in Asia: grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene, dai sette spiriti che stanno davanti al tuo trono,
5. e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati col suo sangue,
6. che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.
7. Ecco viene sulle nubi e ognuno lo vedrà; anche quelli che lo trafissero e tutte le nazioni della terra si batteranno per lui il petto. Si, Amen.
8. Io sono l’Alfa e l’Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente.
Commento esegetico.
“Giovanni alle sette Chiese che sono in Asia”.
L’Apocalisse è una lettera e come tale inizia con il mittente, i destinatari e il saluto. Il mittente è indicato dal semplice nome: “Giovanni”. I destinatari della lettera sono le sette chiese dell’Asia, nominate più avanti (1, 11). Oltre a queste sette chiese esistevano a quel tempo altre Chiese, nella provincia proconsolare dell’Asia: tra esse Colossi, Troade, Gerapoli, Magnesia. Attraverso le sette Chiese, Giovanni voleva rivolgersi a tutte le Chiese dell’Asia e forse alla Chiesa universale. Difatti il numero “sette”, caro a tutta la letteratura apocalittica simboleggia la “pienezza”, e la Chiesa universale è la pienezza delle altre Chiese.
“Grazia e pace”: questi due termini – il primo più greco e il secondo più ebraico – evocano il complesso dei beni messianici e sottolineano esplicitamente che questi beni sono dono dell’amore gratuito di Dio.
“Colui che è, che era e che viene”.
Questa descrizione di Dio risale ad Esodo 3,14 e ricorda il nome divino comunicato a Mosè. Familiare ai giudei e ai greci, esso mira ad esprimere l’eternità di Dio per mezzo della categoria umana del tempo: Jahwè è il Signore di tutta la storia (del passato, del presente e del futuro). E il messaggio che Giovanni vuole esprimere con questo nome divino è semplice e grandioso: tutta la storia è nelle mani di Dio.
“Sette spiriti che stanno davanti al trono”.
Secondo la simbologia del numero “sette”, indica la pienezza dello Spirito Santo, comunicata da Cristo alle sette Chiese, o, più probabilmente, angeli che, sostenuti dalla divina potenza, agiscono nel nome di Dio (teologia giovannea).
“Davanti al trono” è un ebraismo e significa che essi sono i servi di Dio. Secondo la concezione giudaica, questi “angeli” o “arcangeli” stanno davanti al trono di Dio.
“Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra”.
Questi tre titoli attribuiti a Gesù, prendono in considerazione i momenti principali della sua vita: la passione (“Il testimone fedele”, Gesù manifestò la sua testimonianza di fedeltà al Padre, non solo durante tutta la sua vita, ma soprattutto con il sacrificio della sua vita); la resurrezione (Gesù è il “primogenito dei morti” e garantisce che l’era della risurrezione dei morti è inaugurata e ricapitolata nella sua persona); la glorificazione (“Principe dei re della terra”. La glorificazione, conseguenza della sua resurrezione, gli conferisce ogni potere su tutta la creazione. Il suo dominio sui re che minacciano la Chiesa dovrebbe consolidare la fiducia dei cristiani).
“A Colui che ci ama...”.
Questa dossologia (dal greco doxologia = gloria, esaltazione, è una formula liturgica per glorificare Dio, o Cristo, o la SS. Trinità) contiene tre parti:
a) “A Colui che ci ama...”. Il tempo presente indica che l’amore di Cristo è perpetuo e oltrepassa i confini dell’evento storico della redenzione.
b) “E ci ha liberati...” . La liberazione è sovente espressa con la metafora del riscatto mediante il sangue di Cristo.
c) “Un regno di sacerdoti”. In virtù della loro unione con Cristo sacerdote, i cristiani perseguitati, attraverso il battesimo, possono adempiere l’ufficio sacerdotale (Ebrei 10, 19-22; 1 Pt. 2,5): con il battesimo, infatti, i cristiani diventano pietre vive, come Cristo, e si costituiscono come una dimora spirituale, in cui rendono a Dio un culto degno di Lui attraverso il Cristo.
“Viene fra le nubi”.
Queste parole hanno dato l’idea che l’Apocalisse sia il libro che attende il ritorno di Cristo, invece qui c’è una citazione del cap. 7 del libro di Daniele ripreso dalla tradizione cristiana (Mt. 24,30; 26,64; Mc. 13,26; 15,62). Giovanni interpreta questa profezia di Daniele come il modo con cui Cristo si rivela, cioè con la sua morte e resurrezione. E questo, lo capiranno non solo: “Coloro che l’hanno trafitto”, cioè i Giudei che misero a morte Gesù, ma anche: “Tutte le nazioni della terra”, perché tutte le nazioni incredule sono parimenti colpevoli, poiché perseguitando la Chiesa manifestano la loro ostilità nei confronti di Cristo. Profondamente rattristate, piangeranno tutte quante.
Il “venire tra le nubi” non è solo la parte finale del prologo, ma è anche quella finale dell’Apocalisse: il libro finisce con la morte e la risurrezione di Cristo.
In questo prologo è già descritto tutto il contenuto dell’Apocalisse:
a) che è la rivelazione di Gesù come Messia, atteso e annunciato dai Profeti;
b) che questa rivelazione ha creato un nuovo popolo di re e sacerdoti attraverso il sangue di Cristo;
c) Giovanni vede realizzata pienamente la profezia di Daniele 7,13 nella morte in croce di Cristo. Questa profezia, infatti, viene citata da Gesù stesso al processo davanti al Sinedrio: “Vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio, e venire sulle nubi del cielo” (Mt. 26,64).
A questo punto l’Apocalisse è finita: ha già detto tutto, il messaggio è tutto qui. Ora riprenderà le idee e le svilupperà.
“Si, Amen”.
La ripetizione in greco e in ebraico sottolinea la solennità della profezia in cui l’assemblea cristiana crede.
“Alfa e omega”.
Espressioni equivalenti, “il primo e l’ultimo”, “il principio e la fine”, appaiono in riferimento a Dio (21,6) e a Cristo (1,17; 2,8; 22,13).
Sotto l’influsso ellenistico, il valore simbolico dell’alfabeto fu gradualmente assimilato dal giudaismo; la prima lettera associata all’ultima significava totalità.
L’Onnipotente.
Questo terzo titolo riassume i due precedenti: i nemici di Dio possono agitarsi fin che vogliono, ogni potere rimane perennemente in suo pugno; egli iniziò la storia ed egli la terminerà.
In sintesi: Giovanni è il mittente delle lettere e le sette comunità sono le destinatarie. Il saluto (“grazia e pace”) procede dalle tre Persone Divine: dal Padre (“Colui che è, che era e che viene), dallo Spirito Santo (“i Sette Spiriti”), infine da Gesù Cristo, presentato nel suo mistero pasquale di morte e risurrezione.
La grandezza di Dio (uno in tre Persone) si manifesta nell’immensità del suo amore: “Egli ci ama”.
Commento spirituale.
Nel Prologo, Giovanni ci ha presentato due verità fondamentali per la nostra vita cristiana:
- Dio Padre, fonte primaria della rivelazione,
- Gesù Cristo, l’indispensabile mediatore che trasmette solamente ciò che il Padre gli ha comunicato.
Questo brano, ci fa riflettere sulla mediazione di Cristo, soprattutto nella sua passione, morte e resurrezione. (“Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra”).
Cristo è il centro di tutta la storia della salvezza (Rm. 6,10; Ebrei 7,27), perché tutto quello che è accaduto in Lui è avvenuto “una volta per tutte”. Questa centralità del Cristo, che spiega il passato, il presente e il futuro, si realizza anche nella vita del credente: Cristo è l’unica spiegazione della sua vita.
Questa centralità dell’evento-Cristo sta nella “follia della croce” (“A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati col suo sangue”).
Gesù crocifisso, sebbene sperimenti l’abbandono di Dio, non cessa di abbandonarsi a lui con fiducia assoluta: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc. 23,46).
Dio, si rivela nella debolezza e nella stoltezza della croce come amore senza misura, abbraccia mediante il Crocifisso coloro che sono lontani da lui; quindi finalizza la morte del suo Figlio alla salvezza dei peccatori, mediante la gloriosa risurrezione.
Dopo la sua morte in croce, Gesù Cristo si presenta ai discepoli che l’avevano visto morire, come il “Vivente”, “Il primogenito dei morti”. Pietro nel suo primo discorso ai Giudei, dopo la Pentecoste, non ha paura di esclamare: “Questo Gesù che voi avete crocifisso, Dio lo ha fatto Signore e Cristo”(Atti 2,36).
Gesù è il Vivente per sempre, senza la Risurrezione di Gesù non c’è futuro per l’uomo.
Nella morte del Figlio, Dio raggiunge l’uomo nel peccato, là dove la vita è vuoto e cenere; in altre parole, Dio ci ama nel punto esatto in cui noi non abbiamo proprio più nulla per farci amare.
Gesù muore per mano di uomini che non l’hanno capito, che l’hanno rifiutato, però non hanno potuto uccidere la sua realtà più profonda: l’amore che l’ha guidato in vita e in morte. L’amore può e deve rinascere, per questo Gesù è anche risorto e con Lui la creazione rinasce trasfigurata; in Lui l’uomo trionfa sul male e sulla morte.
Dio, oggi, continua a risorgere dove ci sono gesti di fraternità; dovunque si lotta per un’esistenza più umana, dovunque si testimonia che l’amore e la condivisione sono possibili; che le forze del male si possono piegare.
Dio continua a risorgere quando usiamo i nostri occhi, le nostre orecchie, per guardare, per ascoltare, per cogliere, per stupirci, per stare attenti ai bisogni degli altri, alle esigenze del Regno che viene. Per cogliere i progressi nelle persone, le loro potenzialità, i segni della presenza di Dio e dei suoi doni.
Dio continua a risorgere quando usiamo la nostra voce per lodare chi è avvolto nel mistero, quando usiamo il nostro corpo e il nostro cervello per impegnarci a costruire tutto ciò che serve per Dio e per i fratelli; per servirci umilmente l’uno dell’altro, anche nelle piccole cose di ogni giorno, nei piccoli bisogni concreti.
Dio continua a risorgere quando assumiamo anche le sofferenze degli altri, per capirli meglio, per essere più pazienti, più disponibili; quando accogliamo tutto quello che siamo, che ci è stato donato, senza disprezzo, anche se talvolta è inquinato dal peccato, ma lo accogliamo con la gioia di chi sa che l’amore trasfigurerà tutto.
“Egli ci precede in Galilea”, la Galilea del nostro eterno saper ricominciare; è Lui che ci riunisce, noi invece ci mureremmo dietro le nostre solitudini; è Lui che ci pone in marcia, mentre noi rinunceremmo; è Lui che abita la speranza e l’amore e invita l’uomo a superarsi, ad andare dall’altra parte.
Tutti siamo chiamati a far germogliare questo seme di Resurrezione che è in noi e in ogni uomo.
Credere nella Risurrezione è accettare di ricominciare sempre in modo nuovo, impegnarci in strade nuove che si aprono davanti a noi, senza stancarci di essere creatori di nuovi rapporti umani e sociali.
Vivere da risorti significa diventare specialisti della Speranza.
VISIONE INTRODUTTORIA
(Ap. 1, 9-20)
9. Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza resa a Gesù.
10. Rapito in estasi, nel giorno del Signore, udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva:
11. “Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese: a Efeso, a Smirne a Pérgamo, a Tiàtira, a Sardi, a Filadelfia e a Laodicèa”.
12. Ora, come mi voltai per vedere chi fosse colui che mi parlava, vidi sette candelabri d’oro
13. e in mezzo ai candelabri c’era uno simile a figlio di uomo, con un abito lungo fino ai piedi (Dn. 7,13; 10,16) e cinto al petto con una fascia d’oro (Dn. 10,15).
14. I capelli della testa erano candidi, simile a lana candida, come neve (Dn. 7,9). Aveva gli occhi fiammeggianti come fuoco,
15. I piedi avevano l’aspetto del bronzo splendente (Dn. 10,6; Ez. 1,7.13), purificato nel crogiuolo. La voce era simile al fragore di grandi acque (Ez. 43,2).
16. Nella destra teneva sette stelle, dalla bocca gli usciva una spada affilata a doppio taglio e il suo volto somigliava al sole quando splende in tutta la sua forza.
17. Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la destra, mi disse: Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo
18. e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi.
19. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che accadranno dopo.
20. Questo è il senso recondito delle sette stelle che hai visto nella mia destra e dei sette candelabri d’oro, eccolo: le sette stelle sono gli angeli delle sette Chiese e le sette lampade sono le sette Chiese.
Commento esegetico.
Giovanni riceve, in estasi, l’incarico di scrivere ciò che vede (vv. 9-11), il Cristo glorioso gli appare, presentando se stesso come la fonte e il padrone della vita della Chiesa (vv. 12-16); egli rinnova il mandato (vv. 17-20).
“Io, Giovanni, vostro fratello nella tribolazione”.
Giovanni inizia il suo racconto situandosi in una comunità che vive la persecuzione. Con questo è dichiarato l’ambiente in cui il messaggio è nato e al quale si rivolge. L’Apocalisse è, in sostanza, una riflessione sulla persecuzione, ed è un messaggio di speranza rivolto ad una comunità perseguitata.
“Nel regno e nella costanza in Gesù”.
L’accesso al regno è ottenuto soltanto per mezzo della tribolazione (Atti 14, 22). In attesa del glorioso evento, la paziente sopportazione rimane la virtù specifica dei perseguitati (2,19; 3,10; 13,10; 14,12). Incorporati in Cristo per mezzo del battesimo, i cristiani diventano partecipi della sua passione, per partecipare poi della stessa gloria (14,13; Rom. 8,17; Fil. 3,10; 2 Tim. 2,11; 1 Pt. 4,13).
“Patmos”: è un’isola rocciosa di circa 26 km quadrati, situata a 80 km da Efeso.
“Una voce potente... come di tromba”.
La voce è quella dell’angelo di Cristo (1,1; 4,1; 21,9.15; 22,1.6).
Le descrizioni delle visioni apocalittiche sono regolarmente introdotte da espressioni quali “come”, “simile” per porre in risalto che ogni paragone con l’ordine terrestre è inadeguato; le espressioni non riescono a descrivere ciò che è stato visto e udito nella sfera celeste. Ispirandosi alla teofania del Sinai (Es. 19, 6-19; Ebrei 12,19), lo stile apocalittico inserisce la tromba nelle scene escatologiche per descrivere il passaggio dall’era presente a quella futura (Is. 27,13; Mt. 24,31; 1 Cor. 15,52; 1 Tess. 4,16).
“Le sette Chiese”.
Le Chiese sono state scelte non per la loro importanza, giacché Troade e Mileto erano comunità più grandi di Tiatira e Filadelfia. Esse sono elencate secondo un ordine che, sulla mappa, descrive più o meno un cerchio, con Efeso come punto di partenza. Queste città, collegate tra loro da eccellenti strade, erano probabilmente sedi di tribunali, dove coloro che si rifiutavano di rendere omaggio all’imperatore potevano essere giudicati.
“In mezzo ai sette candelabri ... c’era uno simile a figlio di uomo”.
Giovanni dirà che i “sette candelabri” sono le sette Chiese, e Cristo nelle sembianze di “figlio d’uomo”, (secondo la profezia di Daniele 7,13: egli appare come il giudice escatologico che interviene con la potenza di Dio) è presente in mezzo alle sette chiese, pronto a esortarle e ad aiutarle.
“Una lunga veste ... una fascia d’oro”.
Questo vestito simboleggia la sua dignità di sommo sacerdote (Daniele 10,5; Es. 28,4). La luce scintillante che emana da Cristo rivela la sua appartenenza al mondo divino.
“I suoi capelli erano bianchi”.
Cristo è rivestito della dignità che apparteneva originariamente all’ “antico di giorni” (Dan. 7,9). La sua divinità è descritta “come fiamma di fuoco”, e la stabilità del regno è indicata nei “piedi di bronzo”.
“Voce di molte acque”.
Ricorre qui e in 14,2 e 19,6 ed è applicata a Cristo. Le “molte acque” sono spiegate dall’Apocalisse al cap. 17,1 e 15. Lì si afferma che esse sono popoli, tribù, nazioni e lingue, cioè l’umanità. Cristo, quindi, è la voce dell’umanità.
“Sette stelle”.
Gli unici esempi paralleli di questo simbolo vengono dal mondo pagano; Mitra e i Cesari erano raffigurati con sette stelle nella mano destra per designare la loro dominazione universale. Di conseguenza, potrebbe forse esserci qui un accento polemico: non Cesare ma Cristo è il Signore di tutte le cose.
“Spada a doppio taglio”.
Quest’immagine rappresenta la parola di Cristo che giudica i cristiani (2,12.16) e l’universo (19,15.21).
“Come il sole quando splende”. Il sole è Dio stesso in Ap. 21,23.
La figura di Cristo, qui descritta, è presentata come:
- giudice: spada a due tagli per dividere il bene dal male e occhi fiammeggianti, per vedere in profondità;
- re: la fascia d’oro;
- sommo sacerdote: la veste lunga fino ai piedi;
- Dio: “quando lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto; è la reazione di fronte alla divinità (Gen. 32,31; Es. 33,20). L’uomo dovrebbe scomparire dinanzi alla gloria di Dio.
17b-20: gli appellativi sublimi che Cristo si attribuisce sono destinati ad incoraggiare i cristiani che pongono tutta la loro fiducia nel loro Signore. Questi titoli sintetizzano i tre stadi nella vita di Gesù: la sua preesistenza (“Io sono il Primo e l’Ultimo e il Vivente”), la sua morte sulla terra (“Io ero morto, ma ora vivo per sempre”) e la sua esaltazione alla vita eterna come vincitore delle potenze infernali (“ho potere sopra la morte e sopra gli Inferi”).
“Il Vivente”.
Dio soltanto è il vero Vivente, perché possiede la vita in proprio (4,9; 10,6; Sal. 42,3; Gv. 1,4; 3,15; 5,21.26), Cristo vive tramite la comunicazione della vita del Padre (Gv. 5,26).
“Le cose che hai visto e quelle che sono e quelle che stanno per accadere”.
Questa formula apocalittica descrive il mandato, e il privilegio di un profeta; e collega l’Apocalisse con l’antica profezia.
“Gli angeli”. Il termine “aggelos” designa normalmente nell’Apocalisse un essere sovrumano al servizio di Dio o di satana.
Secondo le idee giudaiche, non solo il mondo fisico era retto dagli angeli (Ap. 7,1; 14,18; 16,5), ma anche le persone e le comunità (Es. 23,20). Ogni chiesa dunque è considerata come retta da un angelo, suo responsabile. Cristo le tiene nella mano destra per indicare che egli è il Signore di tali Chiese e che esse sono sotto la sua protezione.
In sintesi: S. Giovanni si trova deportato nell’isola di Patmos in seguito alla persecuzione di Domiziano (95 d.C.). E’ il giorno del Signore, una domenica. Una voce soprannaturale (lo squillo di tromba) gli ordina di scrivere una lettera circolare alle sette Chiese. Nell’estasi, S. Giovanni, vede sette Candelabri (le Chiese) e in mezzo il Cristo risorto (“come un figlio d’uomo”), che gli si manifesta per affidargli una missione precisa: mettere per scritto le sue visioni, che riguardano anzitutto il presente (cap. 2 e 3) e poi il futuro della Chiesa (a cui è consacrato il resto dell’Apocalisse).
Commento spirituale.
La terza verità che l’Apocalisse ci vuol comunicare (dopo la presentazione di Dio come fonte della rivelazione e di Gesù Cristo, come suo mediatore) riguarda la Chiesa, che manifesta pubblicamente nella storia, il regno di Dio rivelato in Gesù Cristo.
L’amore del Padre, infatti, rivelato dal Figlio morto e risorto, viene comunicato ai discepoli, perché diventino la famiglia di Dio, inviata al mondo come segno tangibile della sua vicinanza.
Per essere riconoscibile come segno davanti al mondo, la Chiesa deve possedere una precisa identità visibile; deve configurarsi come comunità di fede, di culto e soprattutto di rapporti fraterni: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv. 13,35).
Il nostro testo, però, parla di una Chiesa perseguitata, che come una nave nella tempesta, subisce la violenza delle onde, ma non affonda. La minacciano in ogni epoca persecuzioni, eresie, scismi, corruzione morale, compromessi mondani; tutto questo, possono ferirla e deturparla, ma non distruggerla, perché, come le è stato promesso, “le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt. 16,18)
Per il sostegno e la grazia del Signore, anche le contraddizioni e le sofferenze, seminate sul suo cammino, possono diventare benefiche.
La bimillenaria storia della Chiesa può essere considerata un grande esodo, misteriosamente guidato dallo Spirito di Dio, verso traguardi sempre nuovi, nella sostanziale continuità con le origini, malgrado le innumerevoli infedeltà personali dei credenti e le deformazioni della comunità.
Il cammino della storia sarà sempre un alternarsi di persecuzioni e consolazioni, di traguardi e di fallimenti, di gioie di sofferenze, però niente e nessuno potrà arrestare questa marcia dell’umanità, guidata da Cristo, verso il suo traguardo definitivo, alla fine dei tempi, quando “Dio sarà tutto in tutti”.
I credenti che ascoltano e meditano la parola di Dio, che invocano il suo aiuto nelle difficoltà, non dovranno temere, perché:
“Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?... Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada”... Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita... né presente né avvenire... né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm. 8,31-32.35.37-39).
LETTERA ALLA CHIESA DI EFESO
(Ap. 2, 1-7)
1. All’angelo della Chiesa di Efeso scrivi: Così parla Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro:
2. Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua costanza, per cui non puoi sopportare i cattivi; li hai messi alla prova – quelli che si dicono apostoli e non lo sono – e li hai trovati bugiardi.
3. Sei costante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti.
4. Ho però da rimproverarti che hai abbandonato il tuo amore di prima.
5. Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti e compi le opere di prima. Se non ti ravvederai verrò da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto.
6. Tuttavia hai questo di buono, che detesti le opere dei Nicolaiti, che anch’io detesto.
7. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Al vincitore darò da mangiare dell’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio.
Commento esegetico.
Prima di esaminare le singole Lettere, farò una introduzione generale.
Le sette lettere alle sette chiese fanno da introduzione al vero e proprio discorso di rivelazione. Ci fanno conoscere le tensioni e i problemi delle comunità della fine del primo secolo, che sono anche le nostre.
Tutte e sette le lettere hanno uno schema fisso.
- L’indirizzo: “All’angelo della Chiesa di... scrivi”.
- La presentazione di Cristo, che dà autorità alla parola del profeta: “Così parla Colui che...”.
- L’esame di coscienza, cioè la descrizione delle situazioni in cui la comunità si trova, il bene e il male, elogi e rimproveri: “Mi è nota la tua condotta...”.
- L’invito all’ascolto: “Chi ha orecchi, intenda”.
- La promessa del premio: “Al vittorioso...”
I titoli con cui Cristo è presentato all’inizio delle singole lettere sono ripresi dalla visione introduttiva (1, 9ss.). Cristo è colui che tiene nella destra le sette stelle e cammina tra i sette candelabri (2,1; cfr. 1,16); è il Primo e l’Ultimo, Colui che morì e risuscitò (2,8 cfr. 1, 17-18); tiene una spada affilata a doppio taglio (2,12 cfr. 1,16); i suoi occhi sono fiamma ardente e i suoi piedi simili al bronzo lucente (2,18 cfr. 1, 14-15); possiede la chiave di Davide, la chiave che apre e nessuno chiude, chiude e nessuno apre (3,7 cfr. 1,18); è il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio (3,14 cfr. 1,5).
Da tutta questa serie di affermazioni traspare la convinzione che le comunità sono sotto la signoria del Cristo morto e risorto. La comunità cristiana trova la propria identità confrontandosi con la parola di Cristo morto e risorto. E’ sulla base di questo confronto che scaturisce l’esame di coscienza. La parola del Signore è una spada a doppio taglio, penetra nel profondo e mette a nudo le contraddizioni che invece la comunità vorrebbe nascondere. Le comunità trovano nel loro Signore il giudice e il salvatore.
Dopo questa doverosa introduzione generale alle sette Chiese, esaminiamo, ora, singolarmente le Lettere, cominciando dalla prima.
Efeso: metropoli commerciale dell’Asia e sede del governo proconsolare, questa città era un centro culturale e religioso. La tendenza sincretista (fusione di dottrine diverse per formare un unico sistema religioso) del tempo aprì la porta a molte pratiche superstiziose, tra le quali erano predominanti il culto imperiale e l’adorazione della dea pagana Artemide (Atti 19, 27.35).
Questa Chiesa fu fondata da Paolo nel 53-56 circa d.C. (Atti 19, 8.10).
“Che ... cammina in mezzo”:
Cristo è costantemente presente in mezzo a tutte le comunità cristiane (Mt. 18,20; 28,30; 2 Cor. 6, 16ss) per guidarle ed essere per loro la fonte della vita.
“Conosco le tue opere”: cioè, la totalità della vita cristiana.
“Hai messo alla prova”: coloro che si spacciavano per apostoli; erano probabilmente predicatori ambulanti, che avevano forse qualche relazione con i nicolaiti (v.6). Paolo aveva previsto tale pericolo (Atti 20, 29ss., 1 Tim. 1,7)
“Hai abbandonato il tuo amore di prima” (Cfr. Atti 19,20; 20,37; Ef. 1,3ss.). L’abbandono dell’amore fraterno implica la perdita dell’amore di Cristo, infatti, la carità è la nota costitutiva di una comunità cristiana.
“Ricordati... ravvediti... compi le opere di prima...”: sono i tre stadi di una conversione totale.
“Toglierò il tuo candelabro”: Efeso perderà il primato di metropoli religiosa.
“Nicolaiti”: (dal greco: “coloro che seducono il popolo”). Si conosce ben poco di questo gruppo, sembra sia stato influenzato da certe idee gnostiche (gnosticismo: è un sistema di filosofia religiosa i cui adepti pretendevano di avere una conoscenza totale e privilegiata della verità). I nicolaiti, gruppo o setta di libertinaggio morale, probabilmente insegnavano che i cristiani potevano mangiare le carni immolate agli idoli e soddisfare i desideri della carne (v. 14).
“Ciò che lo Spirito dice”: lo Spirito di Cristo il quale, tramite il profeta, interpreta le parole di Cristo.
“Al vincitore...”: questo termine militare dà per scontato che la vita cristiana è un campo di battaglia. Nell’Apocalisse questa frase viene applicata al soldato cristiano fedele (12,11; 15,2; 21,8) e a Cristo (3,21b; 5,5; 17,14).
“Mangiare dell’albero della vita”: simboleggia la partecipazione alla vita eterna (22, 2.14). L’ “albero della vita” fa riferimento al racconto della Genesi sul paradiso terrestre. Il decreto che escludeva l’uomo dall’albero della vita (Gen. 3, 22ss.) è ora abrogato da Cristo a condizione che i cristiani riportino una vittoria personale sul peccato.
In sintesi: salda nella fede, la Comunità di Efeso resiste alla persecuzione e lotta contro alcuni eretici (Nicolaiti). Ma il suo amore di un tempo è in calo: senza la carità, le sue attività non valgono nulla. Deve dunque convertirsi, altrimenti i doni di grazia passeranno ad altri (“Rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto”). A chi trionfa è promessa la massima ricompensa: la felicità eterna del Paradiso.
Commento spirituale
“Hai abbandonato il tuo amore di prima... ravvediti...”.
La comunità cristiana ha il suo fondamento e la sua ragione d’esistere solo nella carità. I credenti devono essere “assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere”(At. 2,42).
Quest’esperienza storica della prima comunità cristiana è irrepetibile, però S. Luca, delinea nel Libro degli Atti, la figura essenziale di ogni vera comunità cristiana: comunità concreta di credenti in Cristo, santi e peccatori, riuniti sotto la guida dei pastori, nella condivisione di beni spirituali e materiali, dove il mistero pasquale del Signore è proclamato con la predicazione, attualizzato nell’eucarestia e negli altri sacramenti, vissuto nella carità. Perciò la prassi comunitaria seguirà criteri diversi rispetto ad altri gruppi umani: adesione libera (Gal. 5,13), corresponsabilità di tutti (1 Ts. 5,11), autorità come servizio (2 Cor. 4,5), correzione e aiuto fraterno (Rm. 15,14), rinuncia a reagire con la violenza al male subìto (Rm. 12, 17-21), attenzione preferenziale agli ultimi e superamento delle discriminazioni sociali (Gal. 3,28).
Nella misura in cui la comunità cristiana assumerà questi lineamenti, contribuirà efficacemente a costruire rapporti più fraterni fra gli uomini e sarà immagine credibile della comunione trinitaria: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv. 17,21).
Tuttavia la Chiesa include anche i peccatori, ecco l’invito che viene fatto a questa comunità di Efeso: “Ravvediti... compi le opere di prima...” cioè, ritorna a vivere l’amore fraterno e la condivisione, perché la zizzania crescendo insieme al grano (Mt.13, 24-30.36-43), potrebbe avere il sopravvento sul buon seme. Difatti, già nelle prime comunità cristiane, fondate direttamente dagli apostoli, compaiono le prime difficoltà: a Gerusalemme la menzogna di Ananìa e Saffìra, e le tensioni per gli ostacoli posti da alcuni all’ingresso dei pagani convertiti, a Corinto le divisioni, il disordine e perfino un caso di incesto (1 Cor. 1, 11-12; 5,1; 11,18). I secoli successivi, fino ai nostri giorni, hanno visto corruzione, violenza, sete di potere e di ricchezza, discriminazioni, intolleranza.
Di fronte a questo quadro poco edificante, potremmo chiederci: “Com’è possibile credere che Gesù sia venuto, se nel mondo nulla è cambiato?”.
La risposta è che la Chiesa, pur essendo la forma autentica e definitiva del popolo di Dio, è ancora in cammino nella storia. Sebbene per l’assistenza dello Spirito Santo sia preservata da una defezione totale, è ancora soggetta nei suoi membri alla tentazione di voltare le spalle a Dio, come lo fu Israele in cammino nel deserto. La Chiesa non è il Regno compiuto; è solo il segno, lo strumento e il germe di esso.
LETTERA ALLA CHIESA DI SMIRNE
(Ap. 2, 8-11)
8. All’angelo della Chiesa di Smirne scrivi: Così parla il Primo e l’Ultimo, che era morto ed è tornato alla vita:
9. Conosco la tua tribolazione, la tua povertà – tuttavia sei ricco – e la calunnia da parte di quelli che si proclamano Giudei e non lo sono, ma appartengono alla sinagoga di satana.
10. Non temere ciò che stai per soffrire: ecco, il diavolo sta per gettare alcuni di voi in carcere, per mettervi alla prova e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita.
11. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo spirito dice alle Chiese: Il vincitore non sarà colpito dalla seconda morte.
Commento esegetico.
“Smirne”: dopo Efeso, è la città commerciale più importante dell’Asia. I giudei, piuttosto numerosi in quest’area, erano particolarmente ostili ai cristiani.
“Conosco la tua povertà”: la povertà di questa comunità era in parte dovuta all’origine servile dei suoi membri (1 Cor. 1, 26) e in parte alle privazioni causate dalla loro fede cristiana.
“Tuttavia sei ricco”: la ricchezza spirituale di questa chiesa si oppone alla sua povertà materiale.
“E la calunnia...”: i Giudei stavano indubbiamente tentando di screditare Cristo e i cristiani (Atti 13,45), e nell’ostilità di alcuni gruppi giudaici contro le comunità cristiane si ravvisa l’azione nascosta di satana (“sinagoga di satana”), che ha già provocato la morte di Gesù (Gv. 8,44).
“Per dieci giorni”: come i giovanetti del libro di Daniele superarono la prova dei dieci giorni uscendone più belli e più forti (Dan. 1,12.14), così la brevità del tempo della tribolazione, messa in contrasto con l’eternità della ricompensa (2 Cor. 4,17), darà forza a questa comunità.
“La corona della vita”: nel tempo futuro, il fedele riceverà una corona di gloria (3,11; 4,4.10; 12,1; 14,14). La corona (simbolo di vittoria) e la vita faranno dimenticare ai cristiani l’umiliazione della persecuzione e della morte.
“La seconda morte”: è la morte eterna, così chiamata per contrasto con la morte corporale (20,6.14; 21,8). I martiri subiranno la morte fisica, ma sfuggiranno alla morte vera: la dannazione eterna.
In sintesi: questa comunità, povera materialmente ma ricca spiritualmente, conoscerà presto una furiosa persecuzione, provocata dai Giudei del posto, ma la durata sarà limitata (“dieci giorni”). La persecuzione avrà l’effetto di rafforzare e consolidare i cristiani di Smirne.
Commento spirituale
La comunità di Smirne, è povera, piccola, limitata nei mezzi, Dio però “che ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti” (1 Cor. 1,27), non mancherà di assicurare a questa Chiesa la sua presenza e il suo amore.
Il Signore, certamente, non risolverà i problemi e non cambierà le situazioni di questa comunità, come per incanto, ma annuncerà che Dio è dalla loro parte, perché si mette a fianco degli oppressi, degli affamati, dei malati, degli afflitti, dei perseguitati e comincia a liberarli (Mt. 10, 7-8; 11, 4-6).
Rendendo visibile con il suo comportamento l’agire stesso di Dio, Gesù va incontro a ogni miseria spirituale e materiale. Nutre con la parola e con il pane le folle stanche e senza guida, disprezzate dai gruppi religiosi osservanti. Si commuove di fronte ai malati, che gli si accalcano intorno, e li guarisce. Avvicina varie categorie di emarginati, i bambini, le donne, i lebbrosi, i peccatori segnati a dito, come i pubblicani e le prostitute, i pagani. Tende la mano a chiunque è umiliato dal peccato, dalla sofferenza, dal disprezzo altrui.
Gesù proclama beati gli ultimi della società, perché sono i primi destinatari del Regno. Proprio perché sono poveri e bisognosi, Dio nel suo amore gratuito e misericordioso va loro incontro e li chiama ad essere suoi figli, conferendo loro una dignità che nessuna circostanza esteriore può annullare o diminuire: né l’indigenza, né l’emarginazione, né la malattia, né l’insuccesso, né l’umiliazione, né la persecuzione, né alcun’altra avversità.
Anzi, una situazione fallimentare, come sembra vivere la comunità di Smirne, può riuscire addirittura vantaggiosa. I poveri, i sofferenti e i peccatori sperimentano acutamente la loro debolezza. Sono disposti a lasciarsi salvare da Dio. Sono portati a misurare il valore della propria persona non dai beni esteriori, ma dall’amore che il Padre ha per loro. Così “passano avanti nel regno di Dio” (Mt. 21,31). Per farne però l’esperienza gioiosa, devono abbandonarsi al suo amore, con umiltà e fiducia, e quindi convertirsi. In tal caso possono essere beati perfino in mezzo alle tribolazioni (Lc. 6, 22-23).
Il regno è offerto a tutti, ma raggiunge effettivamente solo chi, riconoscendo la propria insufficienza e la precarietà dei beni terreni attende la salvezza unicamente da Dio e, con la sua grazia, diventa giusto mite e misericordioso con gli altri.
LETTERA ALLA CHIESA DI PERGAMO
(Ap. 2, 12-17)
12. All’angelo della Chiesa di Pergamo scrivi: Così parla Colui che ha la spada affilata a due tagli:
13. So che abiti dove satana ha il suo trono; tuttavia tu tieni saldo il mio nome e non hai rinnegato la mia fede neppure al tempo in cui Antipa, il mio fedele testimone, fu messo a morte nella vostra città, dimora di satana.
14. Ma ho da rimproverarti alcune cose: hai presso di te seguaci della dottrina di Balaàm, il quale insegnava a Balak a provocare la caduta dei figli d’Israele, spingendoli a mangiare carni immolate agli idoli e ad abbandonarsi alla fornicazione.
15. 15. Così pure hai di quelli che seguono la dottrina dei Nicolaiti.
16. Ravvediti dunque; altrimenti verrò presto da te e combatterò contro di loro con la spada della mia bocca.
17. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi la riceve.
Commento esegetico.
“Pergamo”: era un centro pagano sincretistico con molti templi dedicati a diversi dei. Anche qui la Chiesa deve aver incontrato grandi difficoltà (v. 13 ss.).
“Dove satana ha il suo trono”. Pergamo viene così definita, o per il culto di Asclepio, simboleggiato da un serpente (12,9: lo stesso simbolo usato per satana), o a causa del culto imperiale, che era particolarmente popolare in questa città.
“Testimone fedele”: il Signore attribuisce ad Antipa un titolo suo proprio (1,5; 3,14; 1 Tim. 6,13), perché egli rimane fedele al suo Maestro fino alla fine.
“La dottrina di Balaam”: secondo una tradizione giudaica (Num. 22-24), il re di Moab, Balak, preoccupato per l’ingresso nel suo territorio delle tribù ebraiche, affida al mago Balaam, l’incarico non solo di bloccare Israele, col ricorso alle sue arti magiche, ma anche di attirare gli israeliti all’idolatria con l’aiuto delle figlie di Moab (Num. 25, 1-3). Nella Bibbia l’idolatria è paragonata alla fornicazione, cioè infedeltà nei confronti del vero Dio (Osea 1,2).
“La dottrina dei nicolaiti”: i nicolaiti e i discepoli di Balaam formavano probabilmente un unico gruppo. La loro dottrina era imparentata con quella dei libertini che avevano travisato la dottrina di S. Paolo sulla libertà cristiana; disdegnando le restrizioni imposte dal decreto apostolico (Atti 15, 22-29), essi incoraggiavano un ritorno alla sfrenatezza morale pagana.
“Verrò presto”: usato sette volte (3,11; 16,15; 22,7; 12.17.20), questo ammonimento mette in luce uno dei concetti centrali dell’Apocalisse: il Cristo glorioso interverrà presto nella storia umana per salvare e giudicare.
“Combatterò contro di loro”: cioè, contro i nicolaiti, ai quali la chiesa di Pergamo, in linea di massima, non si associò.
“La manna nascosta”: questo cibo celeste, simbolo di unione con Dio nella vita eterna, è ora nascosto, come ogni cosa del tempo avvenire (Gv. 6,32; Col. 3,3).
“Una pietruzza bianca, e sulla pietra scritto un nome nuovo”: l’usanza di portare amuleti, su cui era scritto qualche nome magico, era piuttosto diffusa nel mondo pagano. Si credeva che chi conoscesse questo misterioso nome potesse far uso del suo potere per proteggere se stesso dagli spiriti maligni. Cristo, invece, asserisce che è il suo nome, di Messia vincitore, (“nome nuovo”) che nessuno è in grado di leggere (19,12), quello che offre la vera protezione a coloro che gli sono fedeli.
Queste immagini significano la salvezza promessa a chi supererà la prova.
In sintesi: questa comunità vive in una città: Pergamo, famosa per i suoi templi pagani. Dio promette “presto” la sua liberazione e la salvezza a coloro che sono rimasti saldi nella prova.
Commento spirituale
La comunità di Pergamo, vive una situazione dove sembra che satana abbia il suo trono. Vive cioè in una realtà prevalentemente pagana, circondata da idoli e templi. Anche le nostre Comunità oggi si lasciano condizionare dal neo-paganesimo che va sotto il nome di benessere, potere, ambizione, ricchezza, possesso.
“La Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria della terra, bensì per diffondere, anche col suo esempio, l’umiltà e l’abnegazione.
La Chiesa prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio, annunziando la passione e la morte del Signore fino a che Egli venga. Dalla virtù del Signore risuscitato trova forza per vincere con pazienza e amore le sue interne ed esterne afflizioni e difficoltà, e per svelare al mondo, con fedeltà, anche se non perfettamente, il mistero di Lui, fino a che alla fine dei tempi sarà manifestato nella pienezza della sua luce” (Conc. Vat. II, Lumen gentium,
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La Chiesa non è mossa da ambizione di prestigio o di potere, ma unicamente dalla “cura e responsabilità per l’uomo” (Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 53), per ogni uomo concreto, amato e redento da Cristo. E dal mistero di Cristo trae luce per illuminare la vera identità dell’uomo e orientare il suo cammino storico.
Ciò che emerge nella cultura contemporanea è la smania di guadagnare, l’ambizione della carriera, la ricerca del successo ad ogni costo. Il potere e la ricchezza diventano misura di successo personale, modello di vita proposto dai mezzi di comunicazione. Si è qualcuno, se si possiede una seconda casa, una seconda macchina, se si frequentano certi ambienti raffinati, eleganti, se si fanno certi viaggi. I più deboli finiscono inesorabilmente emarginati dalla concorrenza. Si affonda nel materialismo pratico, incapaci di amore disinteressato, indifferenti verso Dio, spiritualmente ciechi.
Il cristiano si guardi dalla bramosia del possesso, da “quella avarizia insaziabile che è idolatria” (Col. 3,5).
La vicinanza di Dio dà il coraggio delle scelte radicali. Innanzitutto libera dalla bramosia di possedere.
Gesù stesso invita l’uomo a confidare in Dio, Padre sempre premuroso e vicino, e a vivere nel presente libero dall’ansia per il domani. L’uomo vale assai più dei beni materiali e del potere. E’ stoltezza far dipendere il proprio valore e la propria salvezza dalla ricchezza accumulata (Mt. 6, 25-34). La salvezza viene dall’abbandono fiducioso alla parola di Dio e non dall’attivismo pieno di affanni (Lc. 10, 38-42). Anzi, “la preoccupazione del mondo e l’inganno della ricchezza soffocano la parola ed essa non dà frutto” (Mt. 13,22). La ricchezza è un padrone spietato che sbarra la strada verso il regno (Mt. 19, 21-24).
Gesù arriva forse al paradosso quando dice. “Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma”(Lc. 12,33). Solo così l’uomo sperimenta che donare è bello, anzi: “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!” (At. 20,35).