da Leonardo » ven gen 02, 2009 9:58 pm
Lo chiamano Natale.
(Una ricordo del Natale, di Dino BUZZATI)
“Ti ricordi” chiese, nel paradiso degli animali, l’anima del somarello all’anima del bue “ per caso ti ricordi quella notte, tanti anni fa, quando ci siamo trovati in una specie di capanna, e là, proprio nella mangiatoia...?”
“Lasciami pensare... Ma sì” confermò il bue. “Nella mangiatoia c’era un bambino appena nato. Come lo potrei dimenticare? Era un bambino così bello.”
“Da allora, se non sbaglio” fece l’asino “sai tu, da allora, quanti anni son passati?”
“Figurati, con la memoria da bue che ho!” “1959, esattamente.” “Caspita!”
“E, a proposito, lo sai chi era quel bambino?”
“Come faccio a saperlo? Era gente di passaggio. Certo, un fantolino meraviglioso. Chissà perché, non mi è mai uscito di mente. E sì che i genitori parevano gente molto comune. Dimmi, chi era? ”L’asinello sussurrò qualche cosa in un orecchio al bue.
“Ma no!” fece costui sbalordito. “Sul serio! Vorrai scherzare, spero.” “La pura verità. Lo giuro... del resto, io l’avevo subito capito.”
“Io no, confesso” disse il bue. “Si vede che tu sei più intelligente. A me, non mi aveva neanche sfiorato il sospetto. Benché, certo, a vedersi, fosse un bambino straordinario.”
“Bene, da allora, gli uomini, ogni anno, fanno gran festa per l’anniversario della nascita. E per loro non ci sono giornate più belle. Tu li vedessi. E’ il tempo della serenità, della dolcezza, del riposo dell’animo, della pace, delle gioie familiari, del volersi bene. Perfino gli assassini diventano buoni come agnelli. Lo chiamano Natale. Anzi, amico, mi viene un’idea. Già che siamo in argomento, vuoi che ti conduca a vederli gli uomini che festeggiano il Natale giù sulla terra.” “Ci sei già stato?” “Ogni anno faccio una scappata.
Mi hanno dato un lasciapassare speciale per aver scaldato il bambino con il fiato.”
“Su, vieni, se non vuoi perdere il meglio. Oggi è proprio la vigilia.”
Era uno spettacolo impressionante, i mille lumi delle vetrine, i festoni, le ghirlande, gli abeti, e lo sterminato ingorgo di automobili che tentavano affannosamente di passare in angusti budelli e il formicolio vertiginoso della gente che andava e veniva, entrava ed usciva, si accalcava nei negozi, si caricava di pacchi e pacchetti, tutti con una espressione ansiosa e frenetica, come se fossero inseguiti.
“Senti, amico asinello, tu mi hai detto che mi portavi a vedere il Natale. Guarda che ti devi essere sbagliato. Te lo dico io: qui stanno facendo la guerra.”
“Ma non vedi come sono tutti contenti?”
“Contenti? A me sembrano dei pazzi. Ma non vedi che facce spiritate? Non vedi che occhi di febbre?”
“Perché tu sei un provinciale, caro il mio bue, che non ti sei mai mosso dal paradiso. Tu non sei pratico degli uomini moderni, tutto qui. Per divertirsi, per trovare gioia, per sentirsi felici, hanno bisogno di rovinarsi i nervi.”
Passavano fattorini in bicicletta con immense cataste di pacchi pericolanti, camioncini caricavano e scaricavano, gigantesche pile di dolci e montagne di fiori si disfacevano sotto l’assalto del pubblico anelante, lampadine si accendevano e spegnevano, strane canzoni simili ad urli rimbombavano da ogni parte.
Dovunque arrivassero, era il medesimo spettacolo. Andare e venire, comprare o impaccare, spedire e ricevere, imballare e sballare, chiamare e rispondere. E tutti guardavano continuamente l’orologio, tutti correvano, tutti ansimavano col terrore di non fare in tempo e qualcuno crollava, boccheggiando, sotto l’incalzante marea di pacchi, plichi, cartoncini, calendari, strenne, telegrammi, lettere, carte, biglietti, eccetera.
“Mi avevi detto” osservò il bue “che era la festa della serenità, della pace, del riposo dell’animo.”
“Già” rispose l’asinello. “Una volta era così. Ma, cosa vuoi, da qualche anno, all’avvicinarsi del Natale, gli uomini vengono morsi da una misteriosa tarantola e non capiscono più niente. Ascoltali, del resto.”
Il bue ascoltò, stupito. Per le strade, nei negozi, negli uffici, nelle fabbriche, uomini e donne si scambiavano l’un l’altro, come automi, delle monotone formule: buon Natale, auguri, auguri, a lei, grazie altrettanto, auguri, auguri, felici feste, grazie, auguri, auguri, auguri. Era un brusio che riempiva la città.
“Ma ci credono?” chiese il bue “Vogliono veramente così bene al prossimo?”
L’asinello tacque.“ E se ci ritirassimo un po’ in disparte?” suggerì il bovino.
“Ho ormai la testa ch’é un pallone.”
Sgusciarono attraverso le cateratte vorticose d’automobili, si allontanarono un poco dal centro, dalle luci, dal frastuono , dalla frenesia.
“Dimmi, tu che sei pratico” chiese il bue, ancora poco persuaso “ma sei proprio sicuro che non siano usciti tutti pazzi?”
“No, no, è semplicemente il Natale.”
Ma ti ricordi, quella notte, a Betlemme, la capanna, i pastori, quel bambino? era freddo, anche lì, eppure c’era una pace, una soddisfazione. Come era diverso!”
“E’ vero. E quelle zampogne lontane, che si sentivano appena appena.”
“E la stella? Chissà che non ci sia ancora. Le stelle di solito hanno vita lunga.”
“Ho idea di no” disse il bue, scettico. ”C’è poca aria di stelle, qui.”
Alzarono i musi a guardare , non si vedeva niente. Sulla città c’era solo un soffitto di caligine.
Dino Buzzati da ”Corriere d’informazione”, 25 dicembre 1959
festina lente