da GrisAdmi » dom dic 07, 2008 3:56 pm
Capitolo 6
PER NOI OBBEDIENTE FINO ALLA MORTE DI CROCE
Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti. (Mc 10, 45)
[207] Affascinati dalla predicazione e dalle opere di Gesù, cominciamo a intuire l’identità misteriosa della sua persona. Al di là degli insegnamenti e delle singole azioni, quel che più conta è il dono totale di sé, maturato durante tutta la vita e portato a termine nella Pasqua. Attraverso l’esistenza terrena, la morte e la risurrezione, viene costituito per noi il Salvatore, che accogliendo e rivelando l’amore del Padre ci libera dal peccato e da ogni male. A lui ci accostiamo con fiducia e da lui impariamo a donare noi stessi nel servizio disinteressato.
1 – IL REGNO DI DIO E LA PERSONA DI GESU’
CCC, 520
Autorità e dedizione CdA, 262; 422; 424 [208] Lo scopo di Gesù è rivelare e attuare la presenza salvifica di Dio nella storia, il suo regno. Ciò avviene non soltanto attraverso le parole e le opere, ma anche e soprattutto attraverso il mistero della morte e risurrezione, che egli chiama la sua “ora” (Gv 2,4; 12,23; 17,1). Tra la venuta del regno di Dio e la vicenda personale del Maestro c’è una misteriosa compenetrazione: nel dono che egli fa di se stesso si manifesta il regno di Dio. Qual è il motivo di questo collegamento così stretto? Qual è il segreto della persona di Gesù?
[209] Esteriormente Gesù si presenta come un “rabbì”, un maestro della Legge, in quanto si circonda di discepoli e insegna. I discepoli però se li sceglie liberamente, come vuole; e nell’insegnare non commenta le Scritture come gli scribi, ma propone “una dottrina nuova” (Mc 1,27), con immediatezza e autorità; non usa neppure la formula dei profeti “oracolo di JHWH”, ma la sostituisce con un audace: “Io vi dico” (Mt 5,20), per di più in contrapposizione a: “Fu detto”, cioè fu detto da Dio (Mt 5,21); apre il discorso con un insolito: “Amen amen”, che significa “In verità, in verità vi dico” (Gv 1,51), per asserire che la sua parola è sicura e solida come la roccia. La stessa autorità egli esercita nel rimettere i peccati e nel celebrare il banchetto del Regno con i peccatori, verso i quali si mostra nello stesso tempo misericordioso ed esigente, oltre ogni “ragionevole” misura; e ancora la esercita nel compiere miracoli spontaneamente, a nome proprio. Pretende di essere decisivo per la salvezza: “Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde” (Mt 12,30); “Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt 10,32-33).Esige di essere amato più dei genitori e dei figli e chiede che si lasci tutto per seguirlo. La sua persona, in definitiva, è più decisiva della sua dottrina e della sua azione.
[210] Autorità e pretese indubbiamente inaudite. D’altra parte Gesù vive poveramente, al punto che “non ha dove posare il capo” (Mt 8,20). Non impiega mai la sua potenza miracolosa per un vantaggio personale o per imporre il proprio progetto, a costo di deludere quanti si aspettano un Messia più efficiente. Servizio e dono di sé animano il suo insegnamento e la sua attività; presto troveranno l’espressione suprema nella sua morte e risurrezione. In Gesù autorità e servizio, misericordia e austerità si fondono in modo del tutto singolare. Sorgente di questa singolarità è l’esperienza di Dio come “Abbà”: “Tutto mi è stato dato dal Padre mio” (Mt 11,27). Ha ricevuto tutto dal Padre e perciò è totalmente sottomesso a lui e nello stesso tempo a lui uguale nella maestà divina e nella capacità di amare.
Il Regno come amore [211] Gesù è una cosa sola con il Padre e ne impersona il regno. Nel servizio e nel dono di sé, non meno che nell’autorità, lo rivela, lo glorifica: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi” (Gv 15,9). Il Padre è il primo ad amare, a donarsi, anzi è l’amore stesso; e il modo più appropriato di manifestarlo è amare, servire, dare se stesso. Ecco perché Gesù ha interpretato il suo messianismo come servizio fino alla morte in croce e alla risurrezione. Ecco perché il regno di Dio viene “con potenza” (Mc 9,1) nella sua Pasqua.
[212] Gesù rivela e attua nella storia la presenza salvifica di Dio-Amore, mediante il servizio e il dono di sé fino alla morte in croce e alla risurrezione.
2 -CHI E’ COSTUI
CCC, 439-440
Personaggio paradossale CdA, 78 [213] Gesù è un personaggio singolare e affascinante. Magnanimo e umile. Forte e mite. Totalmente libero e totalmente a servizio. Vicino al Dio santo e vicino all’uomo peccatore. Di viva intelligenza e squisita sensibilità. Elevato nel pensiero e semplice nell’esprimersi. Contemplativo e impegnato nell’azione. Profeticamente indignato verso i prepotenti e gli ipocriti e premuroso verso gli oppressi, i malati, i semplici e i bambini. Realistico nel valutare la fragilità e la malvagità umana e fiducioso nelle possibilità di conversione e di bene. Aperto all’amicizia e ai valori della vita e pronto ad accettare la solitudine e la morte. Soprattutto singolare, incomparabile nell’autorità e nel dono di sé.
Le opinioni della gente CdA, 79 [214] Già al suo tempo la gente, presa dallo stupore, si domandava: da dove gli viene questa autorità, questa potenza nell’operare e questa sapienza nel parlare? qual è la vera identità di quest’uomo? I discepoli stessi non finivano di meravigliarsi e si dicevano tra loro: “Chi è dunque costui?” (Mc 4,41).Presto “il suo nome era diventato famoso” (Mc 6,14) e in Galilea si affermava sempre più, nell’opinione popolare, l’idea che Gesù fosse un grande profeta taumaturgo; tant’è vero che, in occasione dell’ingresso solenne a Gerusalemme, ai cittadini che chiedono spiegazioni la folla dei pellegrini galilei risponderà: “Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea” (Mt 21,11).Per alcuni farisei era invece un falso profeta, posseduto da Satana, perché violava la legge e si intratteneva con i peccatori.
Riservatezza di Gesù CdA, 285 [215] Gesù, da parte sua, induce la gente a interrogarsi e lascia la domanda sempre aperta. Per non essere frainteso in senso politico nazionalista, evita di proclamarsi esplicitamente Messia, sebbene riceva pressioni in questo senso: “Fino a quando terrai l’animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente” (Gv 10,24). Invece di rispondere, invita a riflettere sul carattere misterioso di questo personaggio da tutti atteso: “Come mai dicono gli scribi che il Messia è figlio di Davide?... Davide stesso lo chiama Signore: come dunque può essere suo figlio?” (Mc 12,35.37).
Intuizione di Pietro [216] Gli interessa relativamente quello che dice la gente; provoca piuttosto i suoi discepoli a pronunciarsi in prima persona: “E voi chi dite che io sia?” (Mc 8,29).A nome dei discepoli risponde Pietro: “Tu sei il Cristo”. Pietro intuisce che Gesù è il salvatore e liberatore definitivo che introduce il regno di Dio, colui che Israele attendeva da secoli in base alla profezia di Natan al re David: “Io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere... Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio... La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre” (2Sam 7,12.14.16).Pietro intuisce, ma non comprende. Quando Gesù annuncia la propria morte, egli si ribella. Secondo la mentalità corrente ritiene che il Messia debba essere un trionfatore sulla scena di questo mondo; non sa proprio immaginarselo sconfitto e addirittura ucciso. Gesù lo rimprovera duramente: “Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mc 8,33).
[217] Gli uomini avvertono il fascino di Gesù e si interrogano su di lui: è una ricerca decisiva, una domanda da porre con grande serietà e disponibilità a lasciarsi coinvolgere.
3 – MESSIA SERVO
CCC, 440; 536; 539; 555; 557; 601
Più che profeta [218] La personalità di Gesù, soprattutto l’autorità inaudita e il totale dono di sé, lasciano trasparire un profondo mistero. Viene spontaneo domandarsi se egli non abbia provato a definire la sua identità con qualche titolo o in riferimento a qualche figura dell’Antico Testamento. Gesù si pone senz’altro al di sopra dei profeti e dei sapienti: “Ecco, ora qui c’è più di Giona!... c’è più di Salomone!” (Mt 12,41-42). Del resto, se Giovanni Battista, l’ultimo e il più grande dei profeti, ha un ruolo inferiore al più piccolo di quanti appartengono alla nuova realtà del regno di Dio, incomparabilmente più elevata deve essere la posizione di colui che rende presente il Regno stesso. Tuttavia Gesù si situa nella linea dei profeti e non respinge la qualifica di “profeta”, con cui viene designato in ambienti popolari. Solo che, a differenza della gente, non mette l’accento sul potere di taumaturgo, ma sul destino di profeta rifiutato, perseguitato e martire, perché fedele a Dio e alla missione ricevuta: “Non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme. Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto!” (Lc 13,33-34).
Servo CdA, 180 [219] Sulla strada verso Gerusalemme, la ricerca di potenza, di benessere e di prestigio dei discepoli si scontra ripetutamente con la logica di Gesù, secondo cui il Regno è servizio e in esso il primo è colui che serve. La discussione culmina con un’affermazione importante: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45).
CdA, 230; 231 Sullo sfondo affiora la misteriosa figura del Servo di JHWH, delineata dal libro di Isaia: figura di profeta inviato a Israele e a tutti i popoli, obbediente a Dio, umiliato e perseguitato a motivo della sua fedeltà. Egli è solidale con i peccatori e mite come un agnello condotto al macello; è “schiacciato per le nostre iniquità” (Is 53,5); porta il peccato di tutti e intercede per i malvagi; ma, “dopo il suo intimo tormento vedrà la luce”, “vivrà a lungo”, riceverà “in premio le moltitudini” e realizzerà il progetto del Signore (Is 53,10-12). In riferimento a questa figura, Gesù si presenta come Messia-Servo. Ciò apparirà ancor meglio nella celebrazione dell’ultima cena.
[220] Gesù si identifica con la figura profetica del Servo del Signore: “non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45).
4 – IL FIGLIO DELL’UOMO UMILIATO E GLORIOSO
CCC, 440; 649; 661
Titolo preferito [221] Per parlare di sé, Gesù preferiva usare il titolo di Figlio dell’uomo: lo si può arguire dal fatto che esso ricorre nei Vangeli ben ottantadue volte e sempre sulla sua bocca, come autodesignazione. Il riferimento è a un personaggio celeste del libro di Daniele, che appare “sulle nubi del cielo”, riceve da Dio “potere, gloria e regno” su “tutti i popoli, nazioni e lingue”, “un potere eterno, che non tramonta mai” (Dn 7,13-14).
Umiliato e glorioso [222] Denominandosi Figlio dell’uomo, Gesù si presenta come giudice e salvatore escatologico, che in futuro verrà nella gloria. Ma, innovando profondamente il significato di questa figura, dichiara che il Figlio dell’uomo esercita già ora il potere di giudicare e salvare; soprattutto aggiunge che egli adesso è umiliato e perseguitato. Questa tensione tra presente e futuro corrisponde alla dinamica del Regno, ora nascosto e avversato, in futuro glorioso. Il Figlio dell’uomo impersona il Regno. Dopo la sua morte e risurrezione, ricevuto il dono dello Spirito Santo, i discepoli lo capiranno meglio e potranno constatare la verità della sua parola: “Vi sono alcuni qui presenti che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza” (Mc 9,1).
La trasfigurazione CCC, 554-556 [223] Intanto a tre di loro, Pietro, Giacomo e Giovanni, il Maestro concede di pregustare un anticipo della sua gloria futura. Mentre si trova in preghiera “su un alto monte” (Mt 17,1), si trasfigura. Diviene sfolgorante come la luce. Con Mosè ed Elia, che nel frattempo sono apparsi, parla della necessità di passare attraverso la croce per entrare nella gloria. Mentre una nube luminosa avvolge i discepoli, risuona la voce del Padre, che lo proclama ancora Messia-Servo, come nel battesimo al fiume Giordano, ed esorta a seguirlo nel suo difficile cammino. Mentre discendono dal monte, Gesù ribadisce ai discepoli che “il Figlio dell’uomo dovrà soffrire” (Mt 17,12), come ha sofferto Giovanni Battista.
[224] Gesù è il Figlio dell’uomo, il salvatore che in futuro verrà nella gloria e ora subisce umiliazione e persecuzione.
5 – MINACCIE DI MORTE
CCC, 557; 587-591
Gli avversari [225] I Vangeli ci consentono di individuare con buona approssimazione la dinamica che portò alla crisi del ministero di Gesù. Il progetto del Regno, che si attua nella conversione incondizionata a Dio e all’uomo, appariva poco concreto alle folle: non rispondeva alle attese di riscatto nazionale e di benessere materiale. Dopo gli entusiasmi iniziali, esse cominciarono a diradarsi. Quanto alle autorità e agli appartenenti ai circoli elitari, sebbene tra loro ci fosse chi credeva in Gesù di nascosto, erano in genere sempre più ostili verso di lui e consideravano religiosamente deviante la sua attività, anche se egli frequentava le sinagoghe e il tempio, e si comportava ordinariamente come un giudeo devoto. Tra i farisei, la cui influenza nelle sinagoghe era predominante, non pochi erano in preda a crescente inquietudine e irritazione. Secondo costoro, Gesù sovvertiva la Legge, violava il sabato, praticava la magia con la forza del demonio per sviare il popolo. Per questi reati era prevista la pena di morte, mediante lapidazione. Sadducei e anziani, o notabili, che controllavano il sinedrio di Gerusalemme, suprema assemblea della nazione, erano sempre più allarmati per la sua contestazione del tempio: un falso profeta, che bestemmiasse contro la legge di Mosè e il tempio, meritava di morire. Per di più si trattava di un profeta pericoloso per la notevole popolarità di cui ancora godeva, come aveva dimostrato l’ingresso messianico a Gerusalemme. I devoti osservanti, a qualunque gruppo appartenessero, educati come erano al rispetto dell’assoluta trascendenza di Dio, facilmente rimanevano scandalizzati di fronte a un uomo che si attribuiva un’autorità pari a quella di Dio. Questi risentimenti presero corpo in un complotto contro Gesù e in una prima condanna da parte del sinedrio, mentre egli si teneva nascosto. Bisognava però arrestarlo senza dare nell’occhio, per non provocare tumulti tra la folla dei pellegrini galilei che lo consideravano un profeta. Giuda, con il suo tradimento, offrì la possibilità di arrestarlo a colpo sicuro.
La consapevolezza di Gesù [226] Da tempo Gesù si rendeva conto del rischio mortale. Ripetutamente aveva affermato che quanti si convertono al Regno vanno incontro a persecuzioni: a maggior ragione la stessa sorte sarebbe toccata a lui; tanto più che anche Giovanni Battista era stato ucciso, per ordine di Erode. Nei Vangeli troviamo numerose predizioni di Gesù riguardo a un suo futuro di sofferenza: alcune sono allusive; tre sono piuttosto dettagliate, rese probabilmente più esplicite dai discepoli alla luce degli eventi compiuti. Gesù dunque è consapevole del pericolo; ma gli va incontro con decisione: “Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore” (Mc 10,32). Il pericolo non indebolisce la sua fedeltà a Dio e non rallenta i suoi passi.
[227] L’ostilità contro Gesù fu alimentata da quanti, senza comprenderne le opere e l’insegnamento, lo considerarono un sovvertitore della religione e un pericoloso agitatore di folle. Gesù era consapevole della morte che lo attendeva, ma andò incontro ad essa con coraggio, per essere fedele a Dio.
6 - L’ULTIMA CENA
CCC, 610-611; 1323; 1333; 1337-1344
Festa del Regno che viene CdA, 198; 685 [228] Al sopraggiungere della pasqua ebraica, Gesù si mette a mensa con i Dodici, che rappresentano l’Israele degli ultimi tempi, e durante il banchetto manifesta il suo atteggiamento davanti alla morte imminente.
[229] Innanzitutto testimonia una certezza: il regno di Dio verrà comunque, il raduno di Israele proseguirà. La cena pasquale ebraica, memoriale della liberazione dall’Egitto e rendimento di grazie per le meraviglie compiute da Dio in occasione dell’esodo, aveva sempre più accentuato, con il passare dei secoli, il carattere di attesa della liberazione definitiva e della venuta del regno di Dio. Da parte sua, Gesù ha già celebrato più volte la festa del Regno con pubblici conviti; l’ha già presentata in una parabola come un banchetto, che rischia di fallire per il rifiuto degli invitati, ma poi ottiene uno splendido successo. Ora, di fronte alla incombente minaccia di morte, egli celebra il banchetto, nella ferma fiducia che il Regno sta venendo, nonostante l’apparente fallimento: “Da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio” (Lc 22,18). I Dodici sederanno ancora a mensa con lui; le dodici tribù si raccoglieranno nell’unità intorno a lui: neppure la morte potrà impedirgli di offrire commensalità e comunione ai suoi amici. Dio infatti “non è un Dio dei morti ma dei viventi!” (Mc 12,27) e non abbandona i giusti nella morte.
Dono di se stesso [230] Gesto di speranza è dunque l’ultima cena. Ma ancor più è gesto di autodonazione per la salvezza dell’umanità. Mentre mangiavano, Gesù “preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”” (Lc 22,19-20).
CdA, 219 Spezza il pane e versa il vino, come tra gli ebrei faceva qualsiasi padre di famiglia; ma con la sua parola trasforma il pane nel suo corpo “dato” e il vino nel suo sangue “versato”; trasforma questi elementi basilari del nutrimento dell’uomo nella sua stessa persona, che si dona per la salvezza degli uomini. Identificandosi con la figura del Servo di JHWH, si consegna alla morte per i Dodici e per il popolo da essi rappresentato; si offre perché il raduno di Israele si riapra, nonostante il rifiuto ostinato e omicida, e tutte le nazioni della terra siano chiamate alla salvezza. Per circa tre anni instancabilmente Gesù ha operato perché gli uomini riscoprissero Dio come Padre di tutti: dei poveri, dei discriminati, dei peccatori, dei nemici, di quelli che soffrono e di quelli che fanno soffrire. Per rivelare il volto misericordioso di lui, ha contestato il sistema religioso vigente e si è esposto alla morte. Ora fa della morte il compimento del suo servizio; va incontro ad essa in atteggiamento di solidarietà verso tutti, compresi i suoi persecutori; e così rimane fedele al suo Dio, compie la sua volontà e a lui si abbandona fiducioso, perché il Regno venga, come vittoria definitiva dell’amore e della vita, come nuova ed eterna alleanza, per Israele e per l’umanità intera.
CdA, 691-693; 697 [231] Durante la cena Gesù ha voluto anche lavare i piedi dei suoi discepoli, e ha detto “Io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27): un gesto e una parola che sintetizzano il senso della sua vita e della sua morte, come servizio a Dio a favore dell’umanità; un appello ai credenti perché seguano il suo esempio e diano testimonianza ogni giorno all’amore senza limiti con cui Dio ha amato il mondo. La cena viene ad essi consegnata come “memoriale”, ricordo e attualizzazione, nel rito, della sua dedizione: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19). Dall’eucaristia, sacramento del suo sacrificio, riceveranno forza per fare di se stessi un dono al Padre e ai fratelli.
[232] Nell’ultima cena Gesù manifesta il suo atteggiamento davanti alla morte: ferma fiducia che il regno di Dio verrà in pienezza e consegna di se stesso per la salvezza di tutti.
7- LA PASSIONE
CCC, 593-598
Il processo [233] Giuda consegna Gesù alle autorità del tempio e accompagna al monte degli Ulivi, nell’orto del Getsemani, le guardie e i servi, mandati ad arrestarlo. Dopo l’arresto, nella notte stessa, viene avviato il processo con una istruttoria informale nella casa del sommo sacerdote. Intanto le guardie e i servi scherniscono Gesù come profeta da strapazzo: dopo averlo bendato, lo maltrattano con sputi, schiaffi e percosse. Al mattino seguente si riunisce il sinedrio e lo condanna a morte, quale falso profeta che sovverte la legge e il tempio, e come bestemmiatore che usurpa prerogative divine. Ma la sentenza non può essere eseguita senza l’approvazione dell’autorità romana; allora il sinedrio lo consegna in catene al governatore Ponzio Pilato, con la falsa accusa di essere un agitatore politico e un pretendente Messia in senso nazionalistico.
[234] Pilato odia gli ebrei e li tratta con arroganza. Svolge un supplemento di indagine e capisce subito che Gesù è politicamente innocuo per l’impero di Roma ed è rifiutato solo per motivi religiosi. Per liberarsi del fastidio, saputo che Gesù proviene dalla Galilea, lo manda da Erode, che ha il governo di quella regione, presente anche lui a Gerusalemme per la Pasqua. Erode lo prende per un fatuo sognatore e insieme alla corte lo schernisce come re da burla, facendogli indossare una lussuosa veste regale; e così mascherato lo rinvia al governatore. I capi ebraici, decisi a spuntarla, coinvolgono la folla e fanno leva sul servilismo di Pilato verso l’imperatore e sulle sue ambizioni di carriera. Per non avere noie con le autorità di Roma, Pilato finisce per cedere e consegna Gesù alla morte. La motivazione ufficiale, secondo la scritta da fissare sopra la croce, è: “Il re dei giudei” (Mc 15,26), cioè un ribelle politico.
La morte in croce [235] Secondo la prassi, Gesù viene crudelmente flagellato; quindi ancora schernito atrocemente dai soldati con la coronazione di spine. Viene condotto in un luogo appena fuori le mura della città, chiamato Gòlgota, e lì crocifisso. Muore di una morte dolorosa e umiliante, riservata ai criminali più pericolosi, messi al bando dalla società e considerati maledetti da Dio. Il suo cadavere non finisce nella fossa comune, solo perché alcuni amici, dopo averne coraggiosamente fatto richiesta al governatore, lo seppelliscono con onore in una tomba nuova.
[236] Gesù viene ingiustamente condannato a morte dal sinedrio, come falso profeta e bestemmiatore, e da Ponzio Pilato, come ribelle politico; viene flagellato, coronato di spine e crocifisso; muore nel dolore e nell’umiliazione, come uno scomunicato e un maledetto da Dio.
8 – L’ANGOSCIA E L’ABBANDONO
CCC, 612; 2605
Al Getsemani [237] Qual è lo stato d’animo di Gesù durante la passione? Al di là degli avvenimenti esteriori, c’è una passione interiore, ancor più dolorosa e misteriosa. Nel Getsemani Gesù è in agonia. Si getta bocconi a terra, si alza e va dai discepoli, torna a inginocchiarsi, supplica il Padre, prova un’angoscia tremenda, fino a sudare sangue. È orrore per la morte prematura e crudele, repulsione per l’odio e il peccato, amarezza per il rifiuto della sua opera. Chi ama soffre a motivo del suo amore; e nessuno ama più del Figlio di Dio. La solitudine lo opprime. È uomo come tutti e prova il bisogno umanissimo di essere confortato dagli amici; ma i discepoli dormono un sonno pesante, i loro occhi sono spenti: “Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola?” (Mc 14,37).A prezzo di una sofferenza indicibile, Gesù riesce ad assoggettare la sua sensibilità umana alla volontà del Padre, che lo consegna alla morte indifeso: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36).
Sul Calvario [238] Un altro spiraglio sulla passione interiore di Gesù si apre con il misterioso grido dall’alto della croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34). È paradossale che faccia esperienza dell’assenza di Dio colui che ne ha proclamata l’assoluta vicinanza. Il grido è la citazione iniziale di un salmo, che esprime la desolazione del giusto perseguitato e insieme la sua fiducia in Dio. Alla luce del salmo, l’assenza di Dio, che Gesù sperimenta, va intesa come consegna nelle mani dei nemici. Ma l’abisso dell’abbandono è ancora più profondo.
[239] Gesù si fa solidale con gli uomini peccatori, fino a sentire come propria la loro separazione da Dio: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno” (Gal 3,13). Nel suo amore appassionato, sperimenta il peso dei nostri peccati e delle sofferenze che ne derivano: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore” (2Cor 5,21); “Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce” (1Pt 2,24).Alcune esperienze dei mistici ci aiutano a intuire, per analogia, quanto sia tremenda per Gesù l’esperienza dell’abbandono da parte del Padre: “Non c’è pena tanto grave per l’anima quanto il pensiero di essere stato abbandonato da Dio... L’anima prova molto al vivo l’ombra di morte e il gemito di morte e i dolori dell’inferno”; “Sono sprofondata in questa orribilissima tenebra, priva di Dio, dove pare sia venuta meno ogni speranza di bene... Dio mi è chiuso, del tutto nascosto, così che non posso ricordarlo, né ricordare il ricordo che ne ho avuto, né credere che sia lui a permettere ciò”.Gesù crocifisso, sebbene sperimenti l’abbandono di Dio, non cessa di abbandonarsi a lui con fiducia assoluta: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46).
[240] Due preghiere, l’una nell’orto del Getsemani e l’altra sulla croce, sollevano il velo sulla passione interiore di Gesù, più dolorosa di quella esteriore: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice!” (Mc 14,36); “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34).
9- LA DISCESA AGLI INFERI
CCC, 631-635
Tra i morti [241] Secondo la fede della Chiesa, formulata nel “Credo apostolico”, Gesù, morendo, “discese agli inferi”. Cosa significa questa espressione piuttosto oscura? Gli inferi sono la dimora simbolica dei defunti. Al tempo di Gesù si riteneva che vi fossero sedi e condizioni diverse per i giusti e per i malvagi, mentre gli uni e gli altri attendevano la piena retribuzione nel giudizio finale.
Vittoria sulla morte [242] Gesù è andato tra i morti e poi è risorto dai morti. Ha raggiunto i morti come Salvatore; ha portato loro i benefici della sua morte redentrice: “È stata annunziata la buona novella anche ai morti” (1Pt 4,6). I giusti delle passate generazioni ottengono “la perfezione” (Eb 12,23) e vengono introdotti nel santuario celeste, al seguito di Cristo morto e risorto. Il senso di questa fede neotestamentaria si riassume in tre affermazioni: Gesù è veramente morto; la sua morte redentrice ha valore salvifico per tutti gli uomini, anche per quelli vissuti prima di lui; il suo incontro con i giusti già morti comunica loro la pienezza della comunione con Dio. In definitiva la discesa agli inferi, più che soggezione alla morte, è vittoria su di essa. L’icona del Sabato Santo rappresenta Cristo sfolgorante di luce, che abbatte le porte, spezza le catene, annuncia la liberazione, prende per mano Adamo e lo solleva, riconduce fuori i morti.
[243] Entrando nella morte, Gesù ha comunicato la pienezza della vita ai giusti che erano in attesa.
10 – IL MISTERO DELLA REDENZIONE
CCC, 599-618
Dio primo protagonista [244] Chi ha provocato la morte di Gesù? I suoi avversari storici soltanto? Oppure Dio ha fatto ricadere su di lui il castigo dovuto ai nostri peccati? Ha fondamento l’immagine di un Dio inflessibile, che soddisfa le esigenze della giustizia attraverso il sacrificio di un innocente? Addentrandoci in questi interrogativi ci accostiamo al significato della redenzione. Dal punto di vista storico, la morte di Gesù è stata voluta dalle autorità ebraiche e romane del tempo e dalla folla di Gerusalemme abilmente manipolata; non da tutti gli ebrei di allora; tanto meno da quelli delle generazioni successive. Ma le cause storiche non spiegano adeguatamente la croce di Cristo: ad un livello diverso tutti gli uomini ne sono responsabili. Quei pochi che, in varia misura, l’hanno provocata direttamente sono soltanto i rappresentanti del peccato, radicato in ogni uomo, in ogni popolo e in ogni epoca: “Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture” (1Cor 15,3).“Secondo le Scritture” significa: secondo il progetto di Dio adombrato nell’Antico Testamento. Dietro la morte di Gesù c’è dunque un disegno di Dio, un disegno di amore, che la fede della Chiesa chiama “mistero della redenzione”. Come l’antico Israele fu liberato dalla schiavitù d’Egitto per ricevere il dono dell’alleanza e della terra promessa, così l’umanità intera viene redenta, cioè liberata dalla schiavitù del peccato e introdotta nel regno di Dio. Sorprendendo ogni umana aspettativa, Dio si rivela nella debolezza e nella stoltezza della croce come amore senza misura; abbraccia mediante il Crocifisso coloro che sono lontani da lui; quindi finalizza la morte del suo Messia alla salvezza dei peccatori, mediante la gloriosa risurrezione.
Mistero d’amore [245] Il mistero della redenzione, secondo il Nuovo Testamento, è mistero di amore. Per avvicinarci ad esso il più possibile, nessuna prospettiva o linguaggio è più adatto di quello dell’amore gratuito. Dio è in sé perfettissimo, felice e immutabile: non può né diminuire né crescere, né perdere né acquistare. È per amore del tutto libero e gratuito che chiama in essere le creature e concede la sua alleanza. Non acquista nulla per sé; vuole solo comunicare vita e perfezione; ma lo vuole con assoluta serietà, appassionatamente.
[246] L’uomo, creato libero, si chiude con il peccato all’amore e ai doni di Dio. Danneggia se stesso, non Dio. A ognuno potrebbero essere rivolte le parole di Eliu nel libro di Giobbe: “Contempla il cielo e osserva, considera le nubi: sono più alte di te. Se pecchi, che gli fai? Se moltiplichi i tuoi delitti, che danno gli arrechi? Se tu sei giusto, che cosa gli dai o che cosa riceve dalla tua mano? Su un uomo come te ricade la tua malizia, su un figlio d’uomo la tua giustizia!” (Gb 35,5-8). E con il concilio Vaticano II si potrebbe aggiungere: “Il peccato è una diminuzione per l’uomo stesso, impedendogli di conseguire la propria pienezza”.Tuttavia il peccatore offende Dio e gli procura una misteriosa “sofferenza”, che, secondo la Bibbia, è amarezza e delusione, gelosia, ira e soprattutto compassione. Al di là degli evidenti antropomorfismi, dobbiamo pensare che Dio viene offeso nel suo amore di Creatore e di Padre, con cui liberamente si rivolge all’uomo e si lega a lui; viene offeso nel suo voler donare e si oppone attivamente con la sua volontà santificatrice alla miseria dell’uomo come fosse la propria, per vincere il male con il bene.
[247] Nel suo amore sempre fedele, nella sua misericordia senza limiti, “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Lo ha mandato, uomo tra gli uomini; gli ha ispirato e comunicato il suo amore misericordioso per i peccatori, lo ha consegnato nelle loro mani, donandolo incondizionatamente, nonostante il rifiuto ostinato e omicida. L’iniziativa è del Padre: “È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo” (2Cor 5,19). È lui che ama per primo; è lui che per primo “soffre una passione d’amore”, “la passione dell’impassibile”; è lui che infonde nel Cristo la carità e suscita la sua mediazione redentrice, da cui derivano a noi tutti i benefici della salvezza. “Questo imperscrutabile e indicibile “dolore” di Padre” suscita “l’ammirabile economia dell’amore redentivo di Gesù Cristo”.
[248] Il Cristo accoglie liberamente l’iniziativa del Padre: “Il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa” (Gv 5,19). Condivide l’atteggiamento misericordioso del Padre, la sua volontà e il suo progetto: “Ha dato se stesso per i nostri peccati..., secondo la volontà di Dio e Padre nostro” (Gal 1,4). Si è donato agli uomini senza riserve, si è consegnato nelle loro mani, senza tirarsi indietro di fronte alla loro ostilità, prendendo su di sé il peso del loro peccato: “uno è morto per tutti” (2Cor 5,14). Così ha vissuto e testimoniato nella sua carne la fedeltà incondizionata di Dio all’umanità peccatrice. Questa è la sua obbedienza e la sua offerta sacrificale a Dio: “Ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore” (Ef 5,2).
[249] Si è offerto “con uno Spirito eterno” (Eb 9,14). Come il fuoco consumava le vittime sacrificali degli antichi sacrifici rituali, così “lo Spirito Santo agì in modo speciale in questa assoluta autodonazione del Figlio dell’uomo, per trasformare la sofferenza in amore redentivo”. Lo Spirito Santo era la forza divina della carità che il Padre ispirava nel Figlio e il Figlio accoglieva, offrendosi per noi.
Il Crocifisso risorto, nostro Salvatore CdA, 274; 399; 401-404 [250] Dio, nella sua misericordia, non solo dona agli uomini peccatori il Figlio unigenito irrevocabilmente, fino alla morte in croce, ma lo risuscita a loro vantaggio, costituendolo loro “capo e salvatore” (At 5,31). Dopo aver reso Gesù solidale con noi fino alla morte, il Padre lo ricolma della sua compiacenza, lo glorifica con la risurrezione e lo costituisce principio di rigenerazione per tutti gli uomini con la potenza dello Spirito Santo: “È stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione” (Rm 4,25).Nell’evento globale della morte e risurrezione di Cristo si attua il mistero della redenzione, in quanto viene preparato e “reso perfetto” (Eb 5,9) per il genere umano il Salvatore, incarnazione dell’amore misericordioso e potente del Padre. “Colui che è più forte di ogni cosa al mondo, è apparso immensamente debole... Egli si è abbassato per gli uomini facendosi uomo e noi siamo saliti su un uomo abbassatosi fino a terra. Egli si è rialzato e noi siamo stati elevati”.
[251] Dopo l’evento pasquale, attraverso il ministero della Chiesa, in virtù dello Spirito di Cristo, la salvezza raggiunge i singoli uomini. Così la vita nuova “viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione... Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro” (2Cor 5,18.20).I credenti, accogliendo la redenzione, diventano anche cooperatori della salvezza degli altri. Seguendo Cristo, sostenuti dalla sua grazia, abbracciano la croce, muoiono al proprio egoismo, ricevono la forza nuova dell’amore e la introducono nel tessuto sociale della famiglia umana.
[252] Dio Padre ha mandato il suo Figlio tra gli uomini, lo ha lasciato in balìa della loro violenza, lo ha reso solidale con i peccatori fino alla morte in croce, lo ha risuscitato come loro Salvatore: “Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).Gesù Cristo, condividendo l’amore del Padre per noi peccatori, si è consegnato nelle nostre mani, si è donato senza riserve fino alla morte, ha portato il peso dei nostri peccati; quindi è risuscitato per comunicarci lo Spirito Santo e renderci giusti. Così ha manifestato l’amore misericordioso del Padre, lo ha glorificato.Lo Spirito Santo, amore del Padre e del Figlio, ha animato l’esistenza umana di Gesù, in modo che fosse un continuo dono di sé agli uomini, fino al vertice supremo della morte in croce e della risurrezione. Gli uomini, nella misura in cui sono peccatori, sono solidali con chi ha condannato e ucciso Gesù; ma possono convertirsi e diventare giusti, perché l’amore di Dio e di Cristo è più forte di ogni peccato.
11 – INTERPRETAZIONI RITUALI MORALI E GIURIDICHE
CCC, 599-618
Diversi linguaggi [253] “Guarda se trovi in me altro che amore”, sentì dirsi da Dio una grande mistica. La prospettiva dell’amore gratuito aiuta a capire correttamente altre forme di linguaggio, con cui la Chiesa ha interpretato fin dalle origini l’inesauribile ricchezza del mistero della croce: riscatto, sacrificio, espiazione, soddisfazione, merito.
Riscatto [254] “Riscatto” “a caro prezzo” (1Cor 6,20; 7,23) significa che l’opera della liberazione è stata onerosa per Cristo; non che egli abbia pagato il prezzo a Dio come a un creditore esoso. Anzi l’iniziativa parte proprio dall’amore di Dio ed è assolutamente gratuita, come la liberazione di Israele dall’Egitto.
Sacrificio [255] “Sacrificio” è la morte di Gesù in quanto porta a compimento “una volta per tutte” (Eb 7,27) il senso dei riti sacrificali dell’Antico Testamento: i sacrifici di alleanza, l’olocausto, l’oblazione, il sacrificio pacifico, quello di riparazione e quello di espiazione, soprattutto il sacrificio dell’agnello pasquale. Tali sacrifici convergono in definitiva verso un unico obiettivo: attuare la comunione dell’uomo con Dio, rendendolo partecipe della sua santità.
Espiazione [256] “Espiazione” è da intendere come purificazione, non come castigo sostitutivo. Cristo non è stato condannato da Dio al posto nostro, anche se ha sofferto al posto nostro e a vantaggio nostro. Dio lo ha consegnato, non condannato; lo ha fatto diventare “maledizione per noi” (Gal 3,13), ma non è stato lui a maledirlo. L’amore di Dio ha fatto di Cristo lo strumento di espiazione, cioè di purificazione dei nostri peccati, di riconciliazione dei peccatori e di restaurazione dell’alleanza. La croce del Redentore non ci esime dal portare la nostra. Al contrario ci risana e ci rimette in piedi, perché camminiamo sulle sue orme. Siamo chiamati, come lui, a servire gli altri, accettando fatiche, rinunce e sofferenze.
Soddisfazione [257] “Soddisfazione” vuol dire che la croce di Cristo ricostruisce l’ordine oggettivo del mondo e il suo giusto rapporto con Dio, riparando i danni causati dal peccato. Dio è soddisfatto nel suo amore creatore e santificatore, nel suo voler dare appassionato. È giusto con se stesso, perché egli è carità. La sua è una giustizia giustificante, che rende giusto chi non lo è e concretamente coincide con la sua misericordia. È lui stesso che suscita la mediazione e l’intercessione di Cristo, e subordina ad essa ogni suo altro dono.
Merito [258] “Merito” esprime il valore sommo davanti a Dio dell’offerta di sé, con cui il Cristo si dispone a ricevere dal Padre la gloriosa risurrezione e a diventare principio di vita nuova per i peccatori. In definitiva tutte le interpretazioni convergono nell’indicare la compiacenza del Padre per la dedizione del Cristo e la costituzione di lui risorto come unico Salvatore per tutti.
[259] Le forme di linguaggio, con cui nella tradizione cristiana è stato presentato il mistero della redenzione, vengono interpretate correttamente nella prospettiva dell’amore prioritario e gratuito del Padre; fuori di essa rischiano di essere fraintese.
Trianello
Deus non deserit si non deseratur
Augustinus Hipponensis (De nat. et gr. 26, 29)