L’UOMO NON È SOLO MATERIA. LA CHIESA E LE RESPONSABILITÀ PER IL FUTURO
CAMILLO RUINI
L’ articolo pubblicato ieri da Aldo Schiavone su La Repubblica, con il titolo «La Chiesa nel mondo che cambia», rinnova con forza sia la critica sia la domanda che l’autore ha già rivolto più volte alla Chiesa, a proposito del suo rapporto con la società e la cultura del nostro tempo. Può essere utile perciò tentare una risposta, che tenga conto di entrambi gli aspetti. Per intenderci è bene però andare subito al cuore del problema e cioè alla tesi di Schiavone che le istituzioni e le strutture umane, alla fine l’uomo stesso, sono riconducibili «alla storia e solo alla storia». A partire da qui egli ritiene sbagliata e inaccettabile quella che gli appare come «l’intransigente chiusura cattolica su tutte le questioni che implicano un rapporto davvero trasformatore fra tecnica e naturalità umana ». Ora, se l’uomo fosse realmente 'soltanto storia' potrebbe essere difficile non convenire in qualche misura con Schiavone: dico 'in qualche misura' perché proprio le vicende e le esperienze della storia, considerate nella loro concreta realtà e non secondo un unilaterale modello evolutivo-progressista, indicano come determinate istituzioni e strutture, ad esempio la famiglia monogamica, siano state e rimangano fondamentali per la formazione della persona, l’umanizzazione della convivenza e la stessa dinamicità dello sviluppo socio-economico.
Ma proprio la tesi che l’uomo in ultima analisi sarebbe solo storia è in se stessa estranea e incompatibile rispetto alla fede cristiana, oltre che, a mio parere, ad una seria e rigorosa fondazione dell’umanesimo. Schiavone evidentemente non vede e non condivide una tale estraneità, e per questo si sente autorizzato a valutare, criticare e cercare di orientare i comportamenti della Chiesa a partire da un principio ('l’uomo è soltanto storia') che in realtà alla Chiesa rimane esterno, anzi, ha ben poco a che fare con essa.
Ritorniamo al punto: l’uomo è certamente storia, in quanto nasce, si sviluppa, vive nella storia, che per lui è qualcosa di intrinseco e di costitutivo, non certo di esterno. Ma l’uomo, per la fede cristiana, è anche e ancor prima 'immagine di Dio', in concreto partecipe della non riducibilità di Dio alla natura come alla storia. E per questo ha un senso che Dio chiami l’uomo alla vita eterna, ben aldilà delle vicende della storia. Possiamo aggiungere che senza questa peculiarità dell’uomo non sarebbe giustificato, anzi non si sarebbe nemmeno costituito, quell’insieme di elementi etici, giuridici, filosofici, estetici..., che formano l’ossatura della nostra civiltà e ai quali, nella sostanza, nessuno vorrebbe rinunciare. D’altra parte Schiavone riconosce cordialmente che senza il contributo cattolico non è possibile dar vita a una 'etica forte' adeguata alle responsabilità che dovremo assumerci per il futuro della nostra specie. Al riguardo egli contrappone l’atteggiamento aperto e coraggioso che la Chiesa avrebbe assunto sui grandi temi sociali, dopo «la vittoria sul comunismo» al suo arroccarsi sull’«ordine naturale» in ambito etico- antropologico e chiede pertanto che anche su questo terreno la Chiesa abbia il coraggio e la lungimiranza di aprirsi.
Penso di poter rispondere che anche la Chiesa avverte profondamente le comuni responsabilità per il futuro gravido di radicali novità che si fa avanti velocemente. Un appello come quello di Aldo Schiavone non la lascia dunque in alcun modo indifferente. Per rimanere però al confronto critico che egli fa tra gli atteggiamenti della Chiesa, aperti in campo sociale e chiusi in campo antropologico, un’osservazione viene spontanea, anche a prescindere da varie altre precisazioni che mostrerebbero come questa contrapposizione – abbastanza di moda anche in ambienti cattolici – sia più apparente che reale. Schiavone stesso afferma che l’apertura della Chiesa sui temi sociali sarebbe arrivata dopo la vittoria sul comunismo. Lascio a lui questa valutazione, ma è certamente vero che la caduta del comunismo ha, per così dire, sgombrato il campo dal rischio di un fatale fraintendimento. Perché non chiedersi allora – in maniera analoga – se la condizione base per un atteggiamento più serenamente aperto da parte della Chiesa in ambito antropologico non sia proprio il superamento di quel riduzionismo del soggetto umano alla natura e alla storia (per Schiavone alla storia, che assorbe in sé anche la natura) che oggi invece vorrebbe presentarsi come il punto più alto e più dinamico dell’attuale civiltà? In fondo si tratta, in entrambi i casi, di riconoscere che l’uomo non è solo materia.