LA LIBERTA' RELIGIOSA E IL CONCILIO VATICANO IIE’ormai noto il dibattito in atto circa la questione della “continuità” delle nuove dottrine del Concilio Vaticano II con gli insegnamenti della Chiesa ad esso precedenti. Questo dibattito sorse sin dall’immediato postconcilio, ma solo nel corso di questi ultimi anni sono emersi con sempre maggiore chiarezza i punti attorno ai quali la discussione presenta una vera e propria ragion d’essere, sia per l’importanza degli argomenti, sia per il linguaggio della Chiesa, il quale, dal preconcilio, soprattutto ottocentesco, al Concilio, sembra esser andato soggetto ad una certa evoluzione, per la quale appare difficile evidenziare quella “continuità” della quale il Papa ci ha di recente parlato come criterio della giusta esegesi dei testi conciliari.concilio
Uno di questi punti circa i quali sembra esistere una contraddizione tra l’insegnamento del Concilio ed in particolare quello di due Papi dell’Ottocento, Gregorio XVI e il Beato Pio IX, è la questione della “libertà religiosa”, che ai loro tempi era chiamata “libertà di coscienza”. Quest’ultima espressione non ricorre nel Concilio, mentre si trova la prima. I due concetti però non coincidono esattamente e soprattutto l’apparente discontinuità tra l’insegnamento di quei due Pontefici e quello del Vaticano II, è data dal fatto che mentre essi condannano la “libertà di coscienza”, il Concilio esalta la “libertà religiosa” come diritto umano universale, che deve vincolare non solo la legislazione della Chiesa ma anche quella dello Stato.
Tuttavia, tra i due concetti c’è un nesso molto stretto. Preferisco parlare di “libertà della coscienza”, più che “di coscienza”. Infatti mentre la prima espressione rimanda ad una coscienza che fonda la sua libertà sulla verità, l’altra espressione, tipica del liberalismo, fa pensare piuttosto alla pretesa inversa di determinare i contenuti del vero in base ad una arbitraria ed assoluta decisione individuale.
La libertà religiosa, dal canto suo, suppone la libertà della coscienza, in quanto in essa e secondo essa l’uomo decide e deve decidere il suo atteggiamento morale nei confronti di Dio ed in particolare il genere di culto da renderGli. Una religione è libera se la coscienza che la stabilisce e la sceglie è libera.
Ma perché i Papi del preconcilio hanno condannato la “libertà di coscienza”? Perché essi si riferivano alla concezione liberale ed indifferentistica della libertà di coscienza, per la quale la coscienza singola non è vincolata ad una verità oggettiva di qualunque tipo e quindi neppure in campo religioso, ma essa si sente autorizzata a stabilire il vero con un atto della volontà; ed essendo la volontà libera per sua natura, da qui la concezione liberale della libertà di coscienza e per conseguenza, della libertà religiosa. In questo senso, rifacendomi alla distinzione che ho fatto sopra, non si trattava di una vera libertà della coscienza.
A questa concezione è legato quello che Gregorio XVI chiamò “indifferentismo religioso”: se ognuno è libero di fissare per conto proprio, in base ad una libertà illimitata, sciolta da qualunque legge o norma, il proprio credo religioso e per conseguenza la propria condotta davanti a Dio, e persino di negare l’esistenza stessa di Dio, e posto che ogni coscienza umana è di eguale dignità, ne viene come conseguenza logica che la religione di Tizio vale tanto quanto quella di Caio, purchè in entrambi i casi essa sia frutto della propria “libertà di coscienza”, mentre nel contempo da questo principio nasce un’ulteriore conseguenza o, se vogliamo, alla base di tutto c’è un altro aberrante principio: la negazione dell’oggettività e dell’universalità della verità ed il convincimento che il vero sia qualcosa di solamente relativo ad ogni soggetto: il relativismo o soggettivismo gnoseologico. Infatti in questa concezione non è il soggetto che deve adeguarsi o conformarsi all’oggetto, ossia al reale o all’essere, ma è l’essere o il reale che dipende dalla volontà o dal pensiero del soggetto.
E’ ovvio che i Papi del preconcilio non potevano che condannare simili aberrazioni; però c’è da tener presente che essi si riferivano a tali aberrazioni sotto il nome di “libertà di coscienza”, assumendo l’espressione nel senso nel quale la usavano i liberali e gli indifferentisti. Il mutamento avvenuto col Concilio è consistito soprattutto in un mutamento di linguaggio e, se vogliamo, di punto di vista. Tale mutamento non ha affatto smentito la precedente condanna, ma essa è presupposta alla visuale proposta dal Concilio. Spiego questi due punti.
Quanto al linguaggio, il Concilio ha inteso la libertà della coscienza non in un senso liberale-soggettivista, ma in un senso cristiano, conformemente allo stesso dato rivelato, soprattutto così come emerge dalla dottrina paolina della coscienza e della libertà. Il timore, quindi, che il Concilio sia rimasto influenzato da quegli stessi errori che già i Papi dell’Ottocento avevano condannato, non ha alcun fondamento.
Corrispondentemente a ciò non ha neppure alcun fondamento l’interpretazione modernista del concetto conciliare della libertà, come per esempio quella di Rahner, il quale, sul solco della tradizione idealistica, concepisce la libertà come autodeterminazione della persona da parte di se stessa, assimilandola all’illimitatezza della libertà divina, come già a suo tempo notava l’allora Card. Ratzinger.1
Quanto alla visuale conciliare sulla libertà di religione, essa assume il punto di vista soggettivo, che indubbiamente caratterizza il pensiero moderno rispetto a quello medioevale, più attento al punto di vista oggettivo. Il che non vuol dire che il Concilio indulga in alcun modo al soggettivismo. Intendo solo dire che il Concilio concentra l’attenzione sulla possibilità che la coscienza rettamente intenzionata possa tuttavia errare involontariamente, senza che ciò privi la coscienza della dignità di restare guida dell’agire umano. Per questo il Concilio afferma che “succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità”, mentre l’etica medioevale, ponendosi dal punto di vista dell’oggettività, sottolinea il dovere di aderire al vero e di respingere il falso.
Tuttavia bisogna tener presente che la dignità della coscienza soggettiva si fonda sulla possibilità di attingere alla verità oggettiva, così come il riferimento alla verità oggettiva non sarebbe possibile senza il dinamismo della coscienza soggettiva, la quale resta riferita, almeno intenzionalmente, al vero oggettivo anche quando involontariamente resta irretita nell’errore. Per questo il Concilio afferma: “ Quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa e tuttavia cercano sinceramente Dio e coll’aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di Dio conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna (Denz. 3869-3872 2)”3.
C’è da notare a questo punto che la verità, sia essa oggettiva o sia soggettiva, è pur sempre verità, ossia, come dice S.Tommaso, adaequatio intellectus et rei, con la differenza che mentre la verità oggettiva è effettiva conformità del pensiero al reale in sè stesso, la verità soggettiva è conformità al reale così come appare alla coscienza, la quale può essere involontariamente errante, per cui, benchè in tal caso non sia colta la verità oggettiva, questo stato della coscienza è sufficiente perché il soggetto non abbia colpa dell’errore e perché la coscienza sia legittimamente guida del pensare e dell’agire.
In questi termini il Concilio Vaticano II definisce la coscienza. Essa “è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria4. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge, che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo. Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità tanti problemi morali, che sorgono nella vita dei singoli quanto in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi sociali si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità. Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità. Ma ciò non si può dire quando l’uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all’abitudine del peccato”5.
Un documento pontificio che sembrerebbe contrastare la libertà religiosa è l’enciclica Quanta cura del Beato Pio IX del 1846. Così infatti essa si esprime: “Contro l’insegnamento delle Sacre Scritture, della Chiesa e dei Santi Padri” (i liberali) “non dubitano di asserire che ‘la migliore condizione della società è quella in cui non si riconosce all’impero il dovere di reprimere con pene stabilite i violatori della religione cattolica, se non in quanto ciò sia richiesto dalla pace pubblica’. Con tal assolutamente falsa idea di governo della società non temono di appoggiare quell’altra opinione sommamente dannosa alla Chiesa cattolica ed alla salute delle anime, chiamata deliramento dal Nostro predecessore Gregorio XVI di veneranda memoria, cioè ‘la libertà di coscienza e dei culti essere diritto proprio di ciascun uomo, che si deve con legge proclamare e sostenere in ogni società bene costituita, ed essere diritto di ogni cittadino una totale libertà, che non può essere limitata da alcuna autorità sia civile sia ecclesiastica, in virtù della quale possano manifestare e dichiarare i propri pensieri quali che siano, palesemente e in pubblico, sia a viva voce, sia con la stampa, sia in altro modo’” 6.
In questo brano di Pio IX si possono notare due cose, una delle quali è stata effettivamente superata dal Vaticano II, mentre l’altra è stata confermata e chiarificata: la prima cosa che traspare dalle parole del Papa è il suo implicito sostegno alla dottrina della “religione di Stato”. Ciò risulta dal dovere dello Stato, asserito dal Papa, di “reprimere i violatori della religione cattolica”, mentre la seconda cosa da notare è che il Papa non condanna la “libertà di coscienza e dei culti” in modo assoluto, ma la sua concezione liberale, fondata sull’indifferentismo e sul relativismo religioso ed assegnante alla coscienza individuale o collettiva un ruolo di regola suprema dell’agire che in realtà spetta solo a Dio.
Infatti la stima che Pio IX aveva per la coscienza individuale in buona fede è documentata dalla seguente dichiarazione: “Coloro che versano in un’invincibile ignoranza circa la nostra santissima religione, ma che osservano con cura le legge naturale e i suoi precetti, da Dio scolpiti nei cuori di tutti e che, disposti ad obbedire a Dio, conducono una vita onesta e retta, possono, con l’aiuto della luce e della grazia divina, conseguire la vita eterna, giacchè Dio vede perfettamente, scruta, conosce le menti, gli animi, i pensieri, le abitudini di tutti e nella sua suprema bontà, nella sua infinita clemenza non permette che sia punito con i supplizi eterni chi non è reo di colpa volontaria”.7
E’ su questi presupposti, in linea col pensiero di Pio IX, che il Concilio definisce in questi termini la libertà religiosa: “Cresce il numero di coloro i quali esigono che gli uomini nell’agire seguano la loro iniziativa e godano di una libertà responsabile, non mossi da coercizione, bensì guidati dalla coscienza del dovere … La libertà religiosa, che gli uomini esigono nell’adempiere il dovere di onorare Dio, riguarda l’immunità dalla coercizione nella società civile. Essa lascia intatta la dottrina cattolica tradizionale sul dovere morale dei singoli e delle società verso la vera religione e l’unica Chiesa di Cristo” 8. Abbiamo in queste ultime parole una ribadita, benchè velata condanna dell’indifferentismo ed una riaffermazione dell’oggettività della verità e quindi del dovere da parte di tutti di adeguarvisi.
Questa dichiarazione del Concilio Vaticano II ha un valore dogmatico, in quanto, per espressa dichiarazione del Concilio “questa dottrina sulla libertà affonda le radici nella Rivelazione divina, per cui tanto più va rispettata santamente dai cristiani. Quantunque infatti la Rivelazione non affermi espressamente il diritto all’immunità dalla coercizione esterna in materia religiosa, fa tuttavia conoscere la dignità della persona umana in tutta la sua ampiezza, mostra il rispetto di Cristo verso la libertà dell’uomo nell’adempimento del dovere di credere alla Parola di Dio e ci insegna lo spirito che i discepoli di un tale Maestro devono riconoscere e seguire in ogni cosa. Con tutto ciò vengono illustrati i princìpi generali sopra cui si fonda la dottrina della presente dichiarazione sulla libertà religiosa. Soprattutto la libertà religiosa nella società è in piena rispondenza con la libertà dell’atto di fede cristiana”9.
Da qui segue che il retto uso della libertà di coscienza in campo religioso comporta l’appartenenza implicita ed inconscia ma salvifica alla Chiesa da parte di coloro che senza colpa non conoscono il Vangelo, ma si sforzano di seguire il retto dettame della coscienza naturale. Questa dottrina, insegnata in più luoghi dal Concilio è logicamente collegata con la suesposta dottrina della libertà religiosa, ed era già stata anticipata, come abbiamo visto, dallo stesso Pio IX e più di recente dalla Lettera del Sant’Offizio all’Arcivescovo di Boston, dell’8 agosto 1949, sotto Pio XII10: “Per infinita sua misericordia Dio volle che gli effetti necessari alla salvezza di quegli aiuti della salvezza, che sono ordinati per sola divina istituzione e non per intrinseca necessità al conseguimento del fine ultimo, anche in certe circostanze potessero ottenere l’effetto salutare, allorché fossero usati soltanto in voto o per desiderio. Il che lo vediamo enunciato nel sacrosanto Concilio Tridentino sia a proposito del sacramento della rigenerazione che di quello della penitenza. Parimenti si deve dire a suo modo della Chiesa, in quanto essa è l’aiuto generale per la salvezza. Affinchè ogni volta ognuno ottenga la salvezza, non è sempre richiesto che egli sia effettivamente incorporato come suo membro, ma si richiede soltanto che vi aderisca in voto o per desiderio. Tuttavia non è necessario che questo voto sia sempre esplicito, come avviene nei catecumeni, ma nel caso che l’individuo sia soggetto ad un’ignoranza invincibile, Dio accetta anche il voto implicito, chiamato con tal nome, perché esso è contenuto nella buona disposizione dell’anima, per la quale l’uomo vuole che la sua volontà sia conforme alla volontà divina” .
Come dunque vediamo, il principio della libertà religiosa è strettamente collegato alla grave questione delle condizioni per l’appartenenza alla Chiesa, cosa che coincide con la questione delle condizioni per ottenere la stessa salvezza. Ciò peraltro è da intendersi non in contrasto, ma in linea col Concilio di Firenze del 1439-1442, sempre che si tenga presente il criterio ermeneutico che ho enunciato sopra, ossia che mentre il Magistero medioevale è più preoccupato del dato di fede oggettivo indipendentemente dalle condizioni soggettive della coscienza, il Magistero moderno, che ha una sua eminente espressione nel Vaticano II, è maggiormente attento alla dignità della coscienza personale, non perché influenzato dai cosiddetti “errori moderni”, ma perché non fa altro che sviluppare ciò che è implicitamente contenuto nella dottrina evangelica della persona, sia pur nell’intento di recuperare quanto di positivo è contenuto nella modernità, in quanto erede appunto dei princìpi del Vangelo.
Il tema della libertà religiosa si sposa altresì perfettamente con gli insegnamenti del Concilio relativi all’ecumenismo ed al dialogo interreligioso, insegnamenti che sono in continuità con la Tradizione e che si radicano nei valori fondamentali del cristianesimo, come autentici correttivi della falsa concezione della libertà rintracciabile nel pensiero moderno.
Bologna, 17 agosto 2011
1 Vedi il mio libro Karl Rahner. Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009
2 Cfr. la Lettera del S.Offizio all’Arcivescovo di Boston del 8.8.1949.
3 Lumen Gentium, n.16
4 Cf Pio XII, discorso radiofonico del 23 marzo 1952.
5 Gaudium et Spes, n.16
6 Enciclica Quanta cura, dell’8.XII.1846, Enchiridion delle encicliche, Ed.Dehoniane, Bologna 1996, vol.II, p.505
7 Dalla Lettera Quanto conficiamur moerore del 10 agosto 1863, Enchiridion delle Encicliche, vol.2, Edizioni Dehoniane, Bologna 1996, p.467
8 Dichiarazione Dignitatis humanae, n.1.
9 Ibid., n.9.
10 Denz.3869-3871.
fonte:
http://www.riscossacristiana.it/index.p ... Itemid=123