Sulla dottrina evangelica del perdono.Testo tratto da:
http://www.esserecattolici.com/modules. ... cle&sid=32di Trianello
Ci serviremo di alcuni suggerimenti che il biblista Ariel Alvarez Valdes ci fornisce nell’ottavo volume del suo Cosa sappiamo della Bibbia?, ed isg, pp. 107-116, per chiarire uno dei concetti più fondamentali dell’etica evangelica: quello relativo al perdono.
E’ noto a tutti l’episodio in cui Gesù, mentre insegnava ai suoi discepoli nella città di Cafarnao, fu interrogato da Pietro relativamente a quante volte fosse necessario perdonare chi pecca contro di noi. “Signore,” dice costui, “quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?” (Mt 18,21)
Gesù rispose che sette volte non era ancora abbastanza, ma che i peccatori andavano perdonati per settanta volte sette (Mt 18,22). Ovviamente, con questa espressione Gesù voleva indicare una quantità indefinita di volte, vale a dire che non c’è limite al perdono per coloro che peccano contro di noi.
L’episodio preso in esame non è affatto l’unico in cui Gesù ha sottolineato l’importanza del perdono, persino nell’insegnarci a pregare disse che bisogna chiedere a Dio: “Perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo a ogni debitore” (Lc 11,4).
Nonostante questa enfasi posta sul perdono da parte di Gesù, a molti Cristiani il perdonare costa estrema fatica. Ciò però è dovuto, in una certa misura, alla concezione errata che molti hanno del perdono così come ce lo ha insegnato Cristo.
In primo luogo, molti credono che perdonando si faccia un favore al nostro nemico. In realtà, quando si perdona si fa un favore a se stessi. L’esperienza, infatti, ci insegna che quando serbiamo rancore verso qualcuno o proviamo risentimento verso un’altra persona, siamo noi gli unici a soffrire un danno reale, sprecando il nostro tempo prezioso ad alimentare uno sterile rancore, il quale non fa che minare i nostri rapporti sociali e i nostri affetti. E’ colui che serba rancore a danneggiare la propria esistenza, passando notti insonni, fantasticando vendette e avvelenando il proprio animo con inutili fantasie di rivalsa. Nel mentre, il suo nemico vive inconsapevole d’essere oggetto di siffatta attenzione, e non è certo responsabile dell’altrui processo di autodistruzione (persino la medicina oggi riconosce che molte disfunzioni organiche e malattie sono causate dalla dispersione di energie fisiche e mentali causata dai sentimenti negativi e dall’odio verso altre persone).
Chi perdona, quindi, non perde nulla e il primo a cui fa un favore è proprio se stesso. Chi perdona vince la partita della vita e dell’Amore, poiché perdonare è come togliersi dal cuore un pungiglione velenoso, capace di inquinare la nostra esistenza. Chi serba rancore ed odio, invece, rimane schiavo del ricordo ed incatenato alla presenza emotiva dell’avversario.
Per tale ragione, quando Gesù chiede di perdonare non lo fa soltanto per coloro cui offriamo la pace, ma lo fa anche per il nostro interesse, perché nel suo progetto di amore egli vuole che a seguirlo siano persone sane e capaci di vivere pienamente la propria esistenza (Gv 10,10).
La seconda idea sbagliata che molti Cristiani hanno del perdono è credere che perdonare significhi necessariamente giustificare. Se perdoniamo è perché, in qualche modo, “comprendiamo” l’atteggiamento dell’altro e lo minimizziamo. Proprio come se perdonare fosse un modo di dire a noi stessi “in fondo, non è successo nulla”.
Le cose, però, non stanno così. Quando, ad esempio, presentarono a Gesù una donna sorpresa in flagrante adulterio, egli la perdonò, ma non la giustificò, né le disse che era bene ciò che aveva fatto! Al contrario, egli le disse di non peccare più (Gv 8.3-11).
Il nostro perdonare, quindi, non deve essere uno “scagionare”, non deve essere un voler liberare l’altro dalla colpa, anche perché non spetta a noi giudicare gli altri, ma solo a Dio (Mt 7,1). Tuttavia, il perdono è sempre un’azione necessaria, perché ci permette di liberarci di un sentimento di frustrazione e di tristezza che può prendere il sopravvento. Perdonare le offese, gli oltraggi, la stupidità degli insulti non è minimizzare la differenza tra il Bene e il Male, ma significa “arrendersi” di fronte alla nostra creaturalità, il prenderne piena coscienza, e lasciare a Dio il giudizio.
La terza idea sbagliata che spesso i Cristiani hanno del perdono è pensare che questo implichi necessariamente l’oblio della colpa sofferta da parte della vittima. Ma non è così. Gesù, infatti, non chiese mai ai suoi discepoli di dimenticare le offese ricevute, e ciò per un motivo assai semplice: dimenticare dipende dalla memoria che abbiamo, e la memoria non dipende dalla nostra volontà. L’esperienza stessa ci insegna che molte volte, pur volendo dimenticare determinati eventi spiacevoli, questo ci è impossibile.
La quarta idea errata che molti hanno del perdono è credere che perdonare voglia dire restaurare, ricomporre le cose come stavano. Anche qui, le cose non stanno propriamente in questo modo. Non sempre, infatti, possiamo restituire la nostra fiducia a chi ci ha deluso, anche se lo abbiamo sinceramente perdonato per quello che ha fatto. Non sempre possiamo tornare ad ammirare che ci ha offeso, né restituire la nostra amicizia a chi ci ha ingannato. Anzi, potrebbe essere un atto davvero imprudente da parte nostra il dare piena fiducia a chi già una volta ci ha ingannati. Eppure, noi non dobbiamo negare a nessuno il nostro perdono.
Il perdono non è un atto irragionevole, né è contrario alla giustizia: se ho perdonato qualcuno, non significa che io non debba reclamare l’indennizzo dei diritti violati da chi mi ha offeso, o la riparazione dell’ingiustizia che ho sofferto, o la meritevole punizione che il danno esige (sempre che nel voler punire il reo, ovviamente, io non vada in cerca di vendetta, poiché questo sì che sarebbe contrario alla dottrina evangelica del perdono).
Il quinto errore riguardo al perdono consiste nel credere che per perdonare qualcuno è necessario attendere che egli si penta di ciò che ha fatto e ci chieda perdono. Le cose non stanno così, poiché in questo caso, infatti, il perdono non dipenderebbe da noi, ma dall’altro. La nostra possibilità di perdonare chi ci ha offeso dipenderebbe in tutto e per tutto dal fatto che egli voglia darci o meno la possibilità di perdonarlo. Il nostro perdono, invece, deve essere un atto libero ed incondizionato.
A questo punto, però, qualcuno potrebbe sollevare una difficoltà. Gesù ci ha insegnato che per ricevere il perdono da parte di Dio noi dobbiamo chiederglielo, dobbiamo essere pentiti per i nostri peccati, perché invece il nostro perdonare deve essere incondizionato?
La risposta a tale interrogativo risiede nel fatto che il perdono di Dio e quello degli uomini sono sostanzialmente diversi. Dio perdona per risanarci dagli effetti del peccato e per confermarci la sua amicizia; per questa ragione è necessario che noi ci pentiamo e gli chiediamo perdono. Quando l’uomo, invece, perdona un suo simile, lo fa prima di tutto per se stesso, per liberarsi dal peso autodistruttivo che l’odio ed il rancore portano nel nostro animo. Per questo motivo noi non abbiamo bisogno che gli altri vengano a chiederci il nostro perdono per poterglielo accordare.
Per concludere, se il perdonare non è una cortesia che si fa al nemico, né un giustificare la sua condotta, né un trascurare un danno da lui causato, né restaurare la reciproca amicizia, né aspettare le sue scuse, in che cosa consiste il perdono?
Il perdono è una deliberazione che prendiamo in completa autonomia, essa è indipendente dal sentimento: possiamo e dobbiamo perdonare anche quando non ci sentiremmo pronti a farlo. Il perdono è una disposizione del nostro cuore indipendente dal comportamento del nostro stesso avversario. Il perdono non è subordinato a nulla, né soggiace al comportamento postumo più o meno pentito di chi ci ha offeso. Si deve perdonare semplicemente perché si desidera mettere in atto il perdono. Il perdono è una decisione esclusivamente personale. Il perdono non esige alcun confronto verbale: dobbiamo perdonare il nostro avversario anche se egli non ha alcuna voglia di starci a sentire e non sa che cosa farsene del nostro perdono. Se vi fosse la necessità di un approccio di qualunque natura con chi ci ha arrecato un danno, il nostro perdono rischierebbe una frustrazione. Il perdono è un processo di maturazione intimo e personale, privato ed esclusivo rispetto ad ogni influenza esterna: unico nostro interlocutore è Dio, il quale rimetterà a noi i nostri debiti come noi li avremo rimessi ai nostri debitori (Mt 6,12).