Se per Veronesi la fede impedisce di ragionare
di Giorgio Israel
La filastrocca dell'incompatibilità tra scienza e religione sta diventando ripetitiva
e provoca un senso di stanchezza. In certi casi, ormai, il dialogo si rivela una pura
perdita di tempo. Ma Umberto Veronesi è un uomo di grande levatura e pare
impossibile che anche con lui si crei una simile incomunicabilità. Nessuno mette
in discussione la legittimità di essere ateo o agnostico, tanto meno si può
mancare di rispetto a una simile scelta, per esempio dicendo che l'ateismo
impedisce di ragionare. Ma non è per una questione di galateo e di reciprocità
che va evitata l'affermazione simmetrica: e cioè che la religione impedisce di
ragionare. Va evitata semplicemente perché è falsa. Sarebbe falso affermare che
l'ateismo impedisce di ragionare: basterebbe produrre l'esempio di tanti
scienziati e pensatori atei che hanno ragionato e ragionano benissimo. È non
meno falso affermare che la religione impedisce di ragionare e che scienza e fede
non possono andare insieme. Anche in questo caso basterebbe una lista di
scienziati credenti, gente che ragionava benissimo, senza cui la scienza neppure
esisterebbe - una lista talmente lunga che una pagina di giornale non basterebbe
a contenerla.
Non era forse un credente Keplero, al punto di motivare le sue leggi del moto
planetario come espressione dell'armonia impressa dal Creatore al mondo? Spero
a nessuno passi per la mente di dire che Galileo era ateo: se egli riservava alla
mente umana lo studio della natura, lasciava il resto alla sfera religiosa. E che
dire di Newton? Alla sua morte venne scoperto un baule contenente una massa di
manoscritti che rappresentava il 70% della sua produzione totale, dedicati
all'alchimia ed alla teologia. In una memorabile conferenza letta nel 1946, il
celebre economista John Maynard Keynes, che aveva acquistato all'asta questi
manoscritti da tempo scomparsi - ora è disponibile in italiano il Trattato
sull'Apocalisse -, diceva di essersi trovato di fronte all'«ultimo dei maghi» i cui
«istinti più profondi erano occulti, esoterici», un «monoteista della scuola di
Maimonide». Newton era un mistico, influenzato dal pensiero cabalistico, che
portava queste sue convinzioni persino nella definizione di spazio («sensorium
Dei»). Non era forse un pensatore razionale? Senza la sua razionalità la scienza
moderna semplicemente non esisterebbe.
La verità è che gli scienziati non credenti o atei sono stati sempre una ristretta
minoranza. E questo persino nel periodo dell'Illuminismo francese, peraltro una
breve parentesi dopo la quale di nuovo abbondano gli scienziati credenti, come
Louis-Augustin Cauchy, cui certamente la religiosità non impedì di ragionare
bene e di essere uno dei maggiori matematici dell'Ottocento.
Dice Veronesi che la religione è integralista mentre la scienza vive nel dubbio,
nella ricerca della verità. Ma accoppiare la parola «integralista» alla religione è
arbitrario. Essa si attaglia altrettanto bene a molti scienziati. Integralista è quella
forma di religiosità che vede nel testo rivelato qualcosa di scritto direttamente dal
dito di Dio e che va quindi preso alla lettera, in modo assolutamente testuale. Ma
nell'ebraismo e nel cristianesimo le Sacre Scritture sono scritte da uomini e la
rivelazione è mediata, per cui è fondamentale l'opera di interpretazione. L'esegesi
biblica costituisce un'opera sterminata che ha accompagnato secoli di religiosità e
che ha costituito una forma di pensiero razionale. Anzi, come è stato più volte
osservato, questa attività di interpretazione ha rappresentato un esercizio di
razionalità che ha favorito lo sviluppo dello spirito scientifico. Per spiegare
(razionalmente) la presenza importante degli ebrei nella scienza moderna dopo la
loro emancipazione, non occorre certamente evocare fattori razziali, ma proprio
l'abitudine all'esercizio della ragione derivante dalla pratica intensa dell'esegesi
biblica. I religiosi integralisti esistono certamente e li vediamo pullulare fra di
noi, e spesso trucidare chi non crede alle loro verità, anche se curiosamente sono
quelli verso cui si nutre la maggiore indulgenza. Ma esistono anche scienziati
integralisti, quelli che si nutrono di un dogmatismo della scienza che si chiama
«scientismo», ovvero della pretesa senza fondamento che qualsiasi fatto possa
essere ricondotto a una spiegazione basata sul metodo sperimentale o su un
approccio matematico. Ma anche guardando al procedere della scienza si danno
manifestazioni di dogmatismo. Il filosofo della scienza Thomas Kuhn, nel suo
famosissimo La struttura delle rivoluzioni scientifiche, ha descritto la tendenza
della scienza a cristallizzarsi attorno a un insieme di assunti (da lui detti
«paradigma») che la comunità ufficiale tende a difendere ad ogni costo, spesso
con spirito dogmatico. Non sempre gli scienziati sono mossi dal bisogno di
criticarsi e mettersi in gioco. Non di rado si chiudono in un atteggiamento di
conservazione. Per cui il progresso della scienza spesso deve passare attraverso
una rottura drammatica, un conflitto aperto di scienziati innovatori col
paradigma dominante (la «rivoluzione scientifica»).
In conclusione, i dogmatici e le menti incapaci di ragionare liberamente esistono
dappertutto. È inopportuno elevare contrapposizioni artificiose tra scienza e
religione, che oltretutto non hanno alcun riscontro nella storia, e in particolare
nella storia della scienza. Come disse Einstein, «la scienza senza religione è
zoppa, la religione senza scienza è cieca». L'analisi razionale della natura è
fondamentale, è lo sguardo che l'uomo porta verso il mondo che lo circonda; ma
la scienza da sola non può sopportare il peso di tutte le richieste dell'uomo, in
particolare delle domande che riguardano il senso del suo essere nel mondo o, se
si vuole, di quella sfera che Kant chiamava il mondo morale e che sfugge a
qualsiasi spiegazione naturalistica.