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ABIURA di una cristiana cattolica. -Il Foglio 2 Ottobre 2008
Inviato:
ven ott 03, 2008 9:43 pm
da Leonardo
Abiura di una cristiana laica “Questo è un addio. E’ un addio a qualunque collaborazione che abbia una diretta o indiretta relazione alla Chiesa italiana. Monsignor Betori nega la coscienza e la libertà ultima di essere una persona. Si rende conto?” Questo è un addio. A molti cari amici – in quanto cattolici. Non in quanto amici, e del resto sarebbe un fatto privato. E’ un addio a qualunque collaborazione che abbia una diretta o indiretta relazione alla chiesa cattolica italiana, un addio anche accorato a tutti i religiosi cui debbo gratitudine profonda per avermi fatto conoscere uno dei fondamenti della vita spirituale, e la bellezza. La bellezza delle loro anime e quella dei loro monasteri – la più bella, la più ricca, e oggi, purtroppo, la più deserta eredità del cattolicesimo italiano. O diciamo meglio del nostro cristianesimo. L’eredità di Benedetto, di Pier Damiani, di Francesco, dei sette nobili padri cortesi che fondarono la comunità dei Servi di Maria, di tanti altri uomini e donne che furono “contenti nei pensier contemplativi”. E anche l’eredità di mistici di altre lingue e radici, l’eredità, tanto preziosa ai filosofi, di una Edith Stein, carmelitana che si scalzò sulle tracce della grande Teresa d’Avila.
Questo addio interessa a ben poche persone, e come tale non meriterebbe di esser detto in pubblico. Ma se oggi scrivo queste parole non è certo perché io creda che il gesto o la sua autrice abbiano la minima importanza reale o morale: bensì per un senso del dovere ormai doloroso e bruciante. Basta. La dichiarazione, riportata oggi su “Repubblica”, di Mons. Betori, segretario uscente della Cei, e “con il pieno consenso del presidente Bagnasco”, secondo la quale, per quanto riguarda la fine della propria vita, alla volontà del malato va prestata attenzione, ma “la decisione non deve spettare alla persona”, è davvero di quelle che non possono più essere né ignorate né, purtroppo, intese diversamente da quello che nella loro cruda chiarezza dicono.
E allora ecco: questa dichiarazione è la più tremenda, la più diabolica negazione di esistenza della possibilità stessa di ogni morale: la coscienza, e la sua libertà. La sua libertà: di credere e di non credere (e che valore mai potrebbe avere una fede se uno non fosse libero di accoglierla o no?), di dare la propria vita, o non darla, di accettare lo strazio, l’umiliazione del non esser più che cosa in mano altrui, o di volerne essere risparmiato. Sì, anche di affermare con fierezza la propria dignità, anche per quando non si potrà più farlo. E’ la possibilità di questa scelta che carica di valore la scelta contraria, quella dell’umiltà e dell’abbandono in altre mani. Ma siamo più chiari: quella che Betori nega è la libertà ultima di essere una persona, perché una persona, sant’Agostino ci insegna, è responsabile ultima della propria morte, come lo è della propria vita. Fallibile, e moralmente fallibile, è certo ogni uomo. Ma vogliamo negare che, anche con questo rischio, ultimo giudice in materia di coscienza morale sia la coscienza morale stessa? Attenzione: non stiamo parlando di diritto, stiamo parlando di morale. Il diritto infatti è fatto non per sostituirsi alla coscienza morale della persona, ma per permettergli di esercitarla nei limiti in cui questo esercizio non è lesivo di altri. Su questo si basano ad esempio i principi costituzionali che garantiscono la libertà religiosa, politica, di opinione e di espressione.
Oppure ci sono questioni morali che non sono “di competenza” della coscienza di ciascuna persona? Quale autorità ultima è dunque “più ultima” di quella della coscienza? Quella dei medici? Quella di mons. Betori? Quella del papa? E su cosa si fonda ogni autorità, se non sulla sua coscienza? Possiamo forse tornare indietro rispetto alla nostra maggiore età morale, cioè al principio che non riconosce a nessuna istituzione come tale un’autorità morale sopra la propria coscienza e i propri più vagliati sentimenti? C’è ancora qualcuno che ancora pretenda sia degna del nome di morale una scelta fondata sull’autorità e non nell’intimità della propria coscienza? “Non siamo per il principio di autodeterminazione”, dichiara mons. Betori, e lo dichiara a nome della chiesa italiana. Ma si rende conto, Monsignore, di quello che dice? Amici, ve ne rendete conto? E’ possibile essere complici di questo nichilismo? Questa complicità sarebbe ormai – lo dico con dolore – infamia.
di Roberta de Monticelli
Re: ABIURA di una cristiana cattolica. -Il Foglio 2 Ottobre 2008
Inviato:
ven ott 03, 2008 9:54 pm
da Leonardo
PRIMA RISPOSTA :RISPETTOSA OBIEZIONE ALLA PROFESSORESSA DE MONTICELLI Chiedo anch’io la libertà di coscienza. Altra cosa dall’auto-determinazione GIUSEPPE BETORI
Sul ' Foglio' di ieri, Roberta de Monticelli prende spunto da alcune mie dichiarazioni, nel contesto di una conferenza stampa, per dare il suo « addio » « a molti cari amici - in quanto cattolici » , « un addio a qualunque collaborazione che abbia una diretta o indiretta relazione alla chiesa cattolica » .
Trovarmi coinvolto in una così seria decisione mi turba, ma vorrei ricordare che quella parola, « addio » , percepita di primo acchito sinistra, contiene in sé una radice promettente. E’ la preposizione ' ad' che spinge verso altro, in ogni caso fuori dal soggetto.
E in effetti visto che l’argomento del contendere è la ' fine della vita', tutto cambia a seconda se la vita è destinata oppure senza scopo. In altre parole se la vita si spiega da sé o sottostà come tutta la realtà a quel principio per cui nessuno trova in se stesso la spiegazione del proprio essere. Se si tiene conto di questo, forse si riesce a capire cosa nasconda la parola ' autodeterminazione', che vorrebbe fare a meno di questa evidenza.
E se la signora de Monticelli avesse colto tale passaggio, avrebbe certo compreso che dietro le mie parole « non spetta alla persona decidere » si cela non la negazione della coscienza, ma semmai dell’autosufficienza. Per questo, proprio appellandomi alla coscienza, che l’illustre interlocutrice difende con tanta passione, non posso non prendere le distanze dalla posizione che mi costruisce addosso e che mi viene attribuita senza fondamento.
Sono infatti sinceramente amareggiato che la mia dichiarazione sia stata letta come « la più diabolica negazione di esistenza della possibilità stessa di ogni morale » . Insomma, sarei io – e la Chiesa con me – ad autorizzare il male, negando la possibilità di fare il bene, e farei tutto questo perché non sono per « il principio di autodeterminazione » . Qui si sta costruendo un grande malinteso, legato a cosa significhi in questo contesto il « principio di autodeterminazione » : non si può confondere la libertà di coscienza con la possibilità di fare quello che ci pare. Anche se ragionassi in termini puramente laici, non potrei giustificare un assassinio dicendo che l’ho fatto per rivendicare la mia libertà di coscienza. La legge che punisce l’omicidio non elimina la libertà di coscienza: anzi la piena libertà dell’assassino è il primo presupposto della condanna.
Non possiamo confondere, insomma, la libertà della nostra coscienza con la legittimità delle nostre azioni. Il « principio di autodeterminazione » non è mai stato un caposaldo della dottrina della Chiesa: quando S. Agostino scrive « ama e fa’ ciò che vuoi » , indica che le nostre azioni sono buone solo quando si ispirano a Dio, che è Amore. La coscienza è la sede della nostra scelta, è il luogo dove decidiamo, ma non è il criterio della scelta. Il criterio non ce lo diamo da soli: ce lo dona Dio, che è Amore, ed è percepibile ad ogni indagine razionale come il fondamento della nostra stessa identità o natura. Allo stesso modo, la vita non ce la diamo da soli, ma ci viene donata. Difendere questo dono è difendere il bene: difendere la vita significa difendere la possibilità della coscienza, non negarla. Se non sono vivo, certo non posso scegliere. È proprio questa precedenza della vita rispetto ad ogni scelta, questo dono che mi viene fatto, che mi orienta nel valutare le opzioni di fronte a me. Del resto, anche la mia coscienza non me la sono data: genitori, insegnanti, amici mi hanno insegnato a parlare e a pensare.
Questo tipo di considerazioni porta San Tommaso a insistere tanto sulla prudenza come regola per l’azione: se non si può scegliere in astratto, ma solo a partire dalle concrete situazioni della vita personale, non si può essere buoni in astratto, come vorrebbe l’astratto « principio di autodeterminazione » .
Bisogna cercare di essere « il più buoni possibile » nelle circostanze date: per questo la Chiesa si è decisa per una legge sul ' fine vita'. Un realismo, il suo, che è da sempre il criterio ispiratore della riflessione cattolica, nello sforzo di rendere possibile una scelta buona nella vita di tutti i giorni.
La vita che viviamo è frutto di relazioni che la generano, sia nel momento del concepimento, sia durante tutto il suo corso. Queste relazioni non terminano con la sofferenza: il dolore non colpisce solo chi soffre – a volte in condizioni estreme – ma anche chi attorno è testimone di tale sofferenza. Tale comune sentire umano – direi questo consentire – sta da sempre a cuore alla Chiesa: davvero non vale niente? E questa passione per l’uomo sarebbe davvero « nichilismo » come conclude l’articolo su Il Foglio? O forse nichilismo è credere che non ci sia nulla oltre l’individuo e la disperata coscienza della sua solitudine?
Spero che Roberta de Monticelli – e quanti sono interessati a un dialogo sulla bellezza, la libertà, la vita – non rinunci alla possibilità di un incontro con chi segue Gesù, che è venuto non « per condannare il mondo, ma per salvare il mondo » ( Gv 12,47). Per questo mi auguro che il suo sia solo un ' arrivederci'.
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Re: ABIURA di una cristiana cattolica. -Il Foglio 2 Ottobre 2008
Inviato:
ven ott 03, 2008 10:02 pm
da Leonardo
RISPOSTA 2: Il Foglio 3 ottobre 2008 il Direttore Giusiano Ferrara.
La coscienza libera di De Monticelli è abissale fino a diventare un’incognita
La libertà di coscienza e l’abiura di una cristiana laica
Ieri Roberta De Monticelli ha abiurato su questo giornale ogni relazione personale con la chiesa cattolica, che ama e nella quale non si riconosce più, e lo ha fatto con dolore (come ha scritto). De Monticelli è una filosofa e una cristiana laica di idee ferventi, notevole erudizione, sensibilità nell’interpretazione dei testi e chiara scrittura (mi sono occupato di un suo libretto interessante e vivido sulla relazione tra cristianesimo ed etica qualche tempo fa nel Foglio). Il punto di rottura la filosofa (e donna di fede) lo ha individuato in due dichiarazioni di monsignor Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, rilasciate alla stampa nella sua qualità di segretario uscente della Conferenza episcopale italiana. La prima dichiarazione dice che, in materia di vita e morte (perché di questo poi si tratta, quando si parla di testamento biologico e affini), “la decisione non deve spettare alla persona”. La seconda dichiarazione reca un sonante: “Non siamo per il principio di autodeterminazione”.
Naturalmente non m’immischio nella questione personale dei rapporti tra la credente De Monticelli e la chiesa, per quanto sia considerata simbolica e necessariamente pubblica dalla stessa scrittrice che la pone, perché dalla chiesa sono fuori, e non ho la fede cristiana pur cercando di essere un tipo d’uomo cristianissimo. Ma il resto, ovvero le idee, l’etica, l’antropologia, la storia, la verità, l’autorità, la coscienza e la libertà, questo è pane per i nostri denti di liberali metodologici, di radicali e conservatori, di laici devoti che non si sottomettono al conformismo ideologico del mondo ultrasecolarizzato. Anche perché le due dichiarazioni ecclesiali incriminate, secondo le quali non è necessariamente e sempre il soggetto che decide di sé, e l’autodeterminazione è un principio da respingere, sono miele per le mie orecchie (disimpegnate dall’autorità del vescovo, ma non dalla rilevanza delle sue idee). Miele, proprio miele. In un senso che tutto il nostro lavoro giornalistico, lato filosofico e antropologico, cerca di mostrare. E che ora cerco di precisare.
La coscienza libera di Roberta De Monticelli è, come direbbe il geniale antropologo e filosofo tedesco Odo Marquard, abissale. Abissale fino a diventare un’incognita. Io liquido il diavolo, come scrisse Joseph Ratzinger, fonte ispiratrice di Marquard, e mi faccio imputato umano, troppo umano, per la questione del male. Non è più Dio, come nella antica e medievale teodicea, che porta il fardello del male nel mondo, magari attraverso il suo angelo caduto. Eliminato Dio, il compito tocca all’uomo, che inventa con la filosofia della storia la ipertribunalizzazione della storia stessa, si fa imputato e giudice contemporaneamente, e alla fine naturalmente si assolve in questo grande teatro antigiuridico.
Lo strumento della grande assoluzione è la libertà di coscienza intesa come un assoluto misterioso, originario, spiritualmente indipendente dalla società, dalle istituzioni, dalla religione, dal costume, dalla cultura e dalla storia. Un assoluto soggettivo che non è oggettivabile, che non si forma nella società razionale e politica ma nel cuore. La coscienza mi porta a decidere quando devo morire, e con la stessa cogenza mi impedisce di considerarmi colpevole quando a morire per volontà della mia libera coscienza è un bambino nella mia pancia. Posso anche socialmente dare la morte, disidratare e affamare i corpi, perché la legge della mia coscienza è formalisticamente, nonché spiritualmente, superiore alla carità, all’amore.
Per invocare la libertà soggettiva senza confini in fatto di vita e di morte, in regime di piena autodeterminazione personale, così come fa la De Monticelli, bisogna considerare la coscienza libera e padrona come l’unica voce di Dio che l’uomo debba ascoltare, come un sostituto della parola, della liturgia e, in termini laici, della comunità politica e della socialità morale dell’esistenza umana. La coscienza interiore diventa legge obbligante, la nuova tavola dei comandamenti riscritta dall’umanità per il suo uso moderno. In nome di quella assolutizzazione della libera coscienza, una concezione di derivazione teologica luterana, dunque spiritualmente immensa e impregnata di genio religioso, una sorta di sintesi esplosiva di certi aspetti del paolinismo e dell’agostinismo, tutto è affidato al lato irrazionale e misterioso della fede, niente resta per la fede petrina che è tenuta a spiegare la sua ragione. Niente resta, appunto, per la chiesa e per il Papa, e niente resta per il fondamento naturale indiscutibile delle costituzioni liberali moderne, per la Grundnorm, la norma fondamentale.
Il problema posto da De Monticelli va rovesciato. Come ha suggerito tra gli altri un illuminista e laico americano, Austin Dacey, nel suo libro sulla coscienza secolare moderna, di cui si è parlato in un bel colloquio con lui di Amy Rosenthal nel Foglio del 16 settembre. Per generazioni in occidente si è affermata l’idea che le questioni di coscienza sono faccende private che non hanno un loro posto nella vita pubblica. Ma questo, ci ha detto Dacey convergendo con una linea di ricerca del Foglio attiva da molti anni, è “un tradimento della tradizione del liberalismo laico”, perché “le questioni di coscienza devono essere sottratte al potere dello stato, ma questo non significa che siano private nel senso di soggettive o personali”. Dacey cita Spinoza, Kant, Locke, Jefferson, Madison e Mill per dire che questi colossi del liberalismo moderno non pensavano che lo statuto della coscienza, anche di quella etica e teologica, consista “in ragioni private che non hanno posto nella politica”. Per quei profeti del mondo moderno, al contrario, “l’ordine liberale è quello che fa emergere queste verità aprendo uno spazio nella vita pubblica in cui i cittadini possano discuterne insieme nel corso di una conversazione libera e priva di ogni ipoteca esterna”.
Lo stato non ti può imporre un suo pensiero in tema di vita o di morte, in tema di morale e distinzione del bene e del male. Ma la norma pubblica in materia, quando ce ne sia bisogno, non è la semplice autorizzazione procedurale a fare ciascuno quel che crede. La norma o la scelta di sottrarre un certo campo dell’azione umana alla norma devono nascere da una discussione informata in cui trovi spazio, in senso pieno e ricco, il punto di vista religioso, cioè quello di una fede che si incarna in un’istituzione. Con la coscienza misteriosa e abissale dell’homo compensator, quell’uomo senza Dio che secondo Marquard si assolve mentre si fa giudice di se stesso, non si fanno le leggi, non si praticano né il terreno della morale né quello del diritto, al massimo si fa il caos interiore di una fede fervente che rifiuta di dire le sue ragioni. E che nel mascheramento moderno, un secolarismo che diventa religione dei diritti individuali, si fa chiamare libertà dell’individuo e autodeterminazione.
di GIULIANO FERRARA
Re: ABIURA di una cristiana cattolica. -Il Foglio 2 Ottobre 2008
Inviato:
sab ott 04, 2008 6:09 pm
da algoritmo70
Sono una Cattolica convinta e spesso mi sono chiesta fin dove può arrivare la libertà di coscienza , ma la risposta è sempre una < Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a Te>. Cosa voglio dire ? Voglio dire che se la mia coscienza mi porta a fermare una vita sia pur travagliata vado contro l'Amore di Dio Padre e contro i fratelli,poi c'è anche un fatto che mi dico < Ma sono forse io più buona di Dio che posso permettermi di decidere l'altrui vita,e se Dio stesso vuole ancora agire in quella vita? Io la fermo la cancello con quale diritto?> San Francesco di Assisi mentre moriva dava lode al Suo Signore,mi dispiace pensare all'addio della signora Roberta alla Chiesa le auguro di scoprire tuto intero l'Amore di Dio che certamente è un Tenero Padre. Anna Amicucci.
Re: ABIURA di una cristiana cattolica. -Il Foglio 2 Ottobre 2008
Inviato:
lun ott 06, 2008 7:01 pm
da Leonardo
LETTERA ALL’AMICA E COLLEGA ROBERTA DE MONTICELLI
In nome di quel Dio che ci abita la persona non è legge a se stessa
PAOLA RICCI SINDONI
Nei giorni scorsi, la filosofa Roberta De Monticelli ha fortemente polemizzato con la posizione espressa dal segretario generale della Cei, Giuseppe Betori, in merito all’auspicata legge sulla «fine vita», al punto da «dire addio a qualunque collaborazione che abbia relazione alla Chiesa cattolica». Una prima risposta di monsignor Betori è già stata ospitata su queste colonne.
C ara Roberta, prima di dire addio a quanti come me condividono il tuo lavoro, la filosofia, e la tua amicizia, pur appartenendo, come me, alla Chiesa cattolica, permettimi di esprimere qualche pensiero sotto forma di lettera – un genere che a te, come a me, piace molto – in risposta al tuo duro, sofferto quanto ingeneroso attacco ad alcuni rappresentanti della gerarchia ecclesiastica. Non è tanto per difenderli, quanto per dirti che come credente di questa istituzione religiosa che amo e in cui in profondità mi riconosco, non posso che condividere con te il valore supremo della coscienza, che è «il nucleo più segreto, e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio la cui voce risuona nell’intimità propria», come recita il punto 1776 del Catechismo della Chiesa cattolica (che qui recupera le intuizioni luminose di Agostino, un pensatore che tu conosci bene). Edith Stein, altra filosofa che tutte e due abbiamo studiato e che tu citi nel tuo articolo, è andata più a fondo, affermando che Dio stesso si ferma alla soglia della coscienza e dimora in essa solo se lo si fa entrare. Quando lo si fa entrare, però, non si può ignorarne la presenza, cosicché lo spazio della coscienza credente sa di doversi misurare con questo Ospite, con cui non negozia certo il bene della propria libertà, ma la orienta, accrescendola nella consapevolezza di essere donata a se stessa.
Anche per una cattolica credente la coscienza, che tu con tanta passione difendi, è quell’intimità inviolabile, oltre che luogo delle scelte personali, della libertà praticata, ma questo perché è lo spazio condiviso con l’Altro e con gli altri, non certo il punto in cui individualisticamente muoversi dentro il mondo, secondo un ordine morale autogestito, che il diritto, come tu dici, ha il compito di delimitare e di proteggere. E la Chiesa?
Perché ti ostini a vederla come un esclusivo appannaggio di un gruppo di gretti illiberali, pronti a dominare l’opinione pubblica con le loro infamanti (la parola è tua) condanne? La Chiesa non è dei preti – abbandona, per favore, questo anticlericalismo stantio –; anch’io sono Chiesa, come lo sono i tanti credenti che non hanno dismesso la loro capacità di pensare dentro questa istituzione ricca di tante e diverse anime, unite però nella convinzione che questa Chiesa ha un solo Capo, che continua ad accompagnare il suo cammino storico. I prelati che tu citi nell’articolo non possono che fare quello che fanno: custodire il patrimonio spirituale e morale della tradizione ecclesiale, in cui la fedeltà e l’amore alla Chiesa si traducono anche in orientamenti pastorali, in indicazioni etiche sui difficili nodi morali che in questo momento attraversano il nostro Paese.
Detto questo, ascoltami Roberta, come io ho ascoltato te. Le drammatiche questioni legate alla fine della vita non possono trovarci su fronti opposti, segnati da chiusure irriducibili (non accetto il tuo 'addio'…): citare alcune dichiarazioni apparse sulla stampa secondo cui «la decisione non deve spettare alla persona», cui segue, secondo te, il misconoscimento del principio di autodeterminazione significa che, secondo l’orientamento della Chiesa – sia che parli Betori o un altro credente – la persona non è legge a se stessa. La persona cioè, non è libera di disporre di sé e degli altri, ma è libera di prendersi cura di sé e degli altri, in nome di quel Dio che abita dentro la coscienza, così che essa non è lo spazio autoreferenziale, ma il luogo di mantenimento del bene che ogni vita custodisce.
Non mi pare, cara Roberta, che questo sia nichilismo… Affido questi pensieri al tuo cuore attento, certa di ritrovarti ancora.
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Re: ABIURA di una cristiana cattolica. -Il Foglio 2 Ottobre 2008
Inviato:
lun nov 24, 2008 8:18 am
da Sandro
Secondo me questa presa di posizione di Monticelli è costruita sull'equivoco, tutt'altro che infrequente, della parola "libertà".
Il mondo laico ateo - e dico ateo perché esiste un mondo laico perlomeno agnostico che non rifiuta la razionalità che scopre l'esistenza di un'etica nativa nella mente umana - ha diffuso e gioca sul concetto di libertà dandolo ad intendere come sinonimo di "liceità". Se questo fosse vero sarebbe normale e giusta la pseudo etica che ne deriva, che sarà giocoforza di stampo libertario-libertinista.
Il punto è che l'etica non esiste senza Dio. Senza Dio gli uomini, per evitare la "logica" della sopraffazione del più forte che li disgregherebbe come società, sono costretti a darsi comunque un'etica. La cui base più "ragionevole" che sia stata trovata è quella del consenso democratico. Si badi bene, da questo consenso non deriva loro l'idea di giusto o ingiusto, di bene o male, ma solo del "si deve fare così o non si deve fare, perché questo è il comportamento legale". In tal modo l'etica laicistica spera di lasciarsi una via di fuga contro l'accusa di decisioni che alcuni denuncerebbero come immorali e ingiuste. Quando ciò fosse percepito e condiviso di nuova da una massa sufficiente di persone, si passerà a riformare, abrogare, sostituire la norma precedente dichiarandola, non già sbagliata, ma... "incostituzionale, obsoleta, poco funzionale, desueta..." e aggettivazioni simili, sostituendola con la nuova, senza che si possa mai pervenire al valore di bene-male o giusto-ingiusto oggettivi. Si passa cioè da legalità a legalità. Con buona pace della razionalità quando il consenso democratico "di maggioranza" viene stabilito sulla base risibile del 51%!...
Sto dicendo che laddove il "laico" percepisca un valore di bene-male nelle scelte umane, allora egli sarebbe un laico non "onorevolmente cattivo" (Machiavelli), che indulge al sentimento e al compromesso. Agli altri laici più coerenti egli apparirà come un fenomeno patologico da rieducare perché sta slittando verso posizioni "di fede".
Il danno maggiore che ci siamo autoinferti noi credenti, immersi nella società secolarizzata, è stato, a mio avviso, quello di tacere (quando si doveva protestare ad alta voce) quando i "laici" relegavano tout-court sul piano della fede certe nostre scelte etiche che, se pur avallate dalla fede, erano e restano profondamente razionali, e perciò umane, e perciò non solo condivisibili ma condividende dai "laici di buona volontà", quei laici di razza del tipo che abbiamo incontrato a Roma nei famosi "Dialoghi in Cattedrale".
E' un trucco che il laicismo usa ancora, e con buon successo perfino nel mondo credente che non sa distinguere quando una cosa "è vera perché la dice il Papa" (una questione di fede) da una che "il Papa la dice perché è vera" (questione di etica umana, esclusivamente razionale). E' vero o non è vero che questo laicismo spinge concordemente affinchè la "società civile", che si professa "secolare e agnostica" releghi ogni presa di posizione della gerarchia cattolica in sagrestia? la faccia diventare cioè privata, valida solo per chi ha fede? Etichettare ogni per quanto geniale sforzo etico dimostrativo di un bene-male, giusto-ingiusto, vero-falso oggettivi come posizione dettata e sorretta esclusivamente dalla fede e perciò non avente voce in capitolo per chi fede non ha non è la mossa scontata di quasi tutti i mass media quando la gerarchia si pronuncia su certe proposte di legge? Se è vero che la gerarchia prende luce "anche" dalla fede, chi è che avverte che essa pone alla riflessione del mondo laico argomenti di ragione che qualificano quelle proposte come disumanizzanti?
Torniamo alla Monticelli. Se questa cara sorella cattolica avesse avuto un'etica sia derivante dalla pura ragione che arricchita, e confermata in ogni conquista vera razionale, dalla fede, io non credo che avrebbe sentito l'intervento gerarchico come una offesa alla libertà in nome della fede. L'eutanasia, la fecondazione in vitro, l'omosessualità, l'aborto, la dignità umana, la libertà e tante altre cose di questo tipo vengono strutturate primariamente a livello razionale. E' la stessa razionalità a far capire che se una persona è umana solo perché segue certi valori (che l'animale non segue perché non ne percepisce neanche l'esistenza) allora la sua libertà deve essere lecitizzata da una razionalità di scelta. E la razionalità di scelta non consente che una persona - essere costituzionalmente, nativamente, geneticamente sociale - veda se stesso come avulso da ogni dovere verso la società, libera cioè di togliersi la vita. Quella vita non è soltanto sua. Non è sua né per origine giacché è derivata da esseri sociali, né per collocazione storica giacché sta fra esseri sociali che l'hanno sorretta e strutturata e hanno diritto di aspettarsi uno scambio donativo corrispondente, anche quando questo scambio significasse, al limite, l'accettazione di una condizione debilitata e mortificata da cui la società però ricava energie e spinta di bene scientifico e di umanizzazione. E potrei aggiungere - si badi bene, facendo un discorso collocato sul piano laico agnostico - che quella vita non è sua neanche come finalità ultima per cui è venuta al mondo. Si viene infatti al mondo perché un Regista ha deciso un giorno di aver bisogno di... Monticelli per cui ha previsto lo svolgimento di un copione preciso, che può comportare di tutto fuorché il diritto di uscire di scena di testa propria. Di questa mossa se ne ha la libertà ma non il diritto e quindi non la liceità.
Altrimenti il formicaio, ove i soggetti inefficienti vengono eliminati anche se non lo vogliono con libertà propria, è dietro l'angolo. E questa di trasformare la società umana in "colonia" (cf il cartone sulle formiche) sarebbe una scelta irrazionale e perciò non etica perché costrittiva e basata sulla legge del più forte; quelli nella categoria del più forte la dichiarerebbero "libera e legale" ma ciò non la renderebbe "lecita".
Siamo liberi ma condizionati dal volere solo una libertà di bene. Come lo è Dio stesso! E se ci sta Lui, l'unico davvero libero, a questa regola...
PS
Sia ben chiaro che il pensiero della Chiesa dicendo che "la decisione di porre fine alla propria vita non spetta alla persona" non intende dire che spetta ad altre persone. Intende dire che non spetta a nessun essere umano (salvo il caso di legittima difesa contro ingiusto aggressore). Deve avvenire per eventi naturali, ove non esista alcuna causa che vi concorra e che faccia capo a una decisione di intelligenza.