La modernità della Chiesa. Corriere della Sera 13/8/2008
Inviato: ven ago 15, 2008 2:49 pm
[b]Società e politica
La modernità della Chiesa
di Giuseppe De Rita
E’nell’ordine del prevedibile che a settembre ricominceremo a ragionare sul ruolo dei cattolici nell’attuale realtà sociale e politica. C’è solo da sperare che non riprenderemo a dividerci fra libertari e credenti; fra difensori della laicità dello Stato e difensori dei «valori non contrattabili »; e, specialmente, fra chi si lamenta che i cattolici siano troppo vogliosi di potere e chi si lamenta che i cattolici siano in via di emarginazione nella vita dei partiti e del governo. Sono articolazioni dialettiche molto coltivate da tutti, ma che non portano frutti significativi; libero naturalmente chi vorrà continuare a cavalcarle per darsi importanza e ruolo, ma il giuoco sarà sempre più oggettivamente al ribasso. Se il passato anche recente è consumato, cosa ci possiamo aspettare per il futuro?
Posso sbagliare, ma ho la sensazione che la Chiesa, e a ruota il mondo cattolico, stiano lentamente innovando le proprie linee di presenza e di azione, coltivando tre prospettive che avranno peso crescente nella vita sociale e nei destini collettivi del nostro Paese: l’insediamento sempre più significativo nel territorio, per «fare anima» nella vita delle comunità locali; l’attenzione privilegiata ai giovani ed ai loro delicati problemi di identità; la ricerca di una pur difficile sintesi fra richiami forti al valore del «sacro» ed altrettanto forte impegno nel «santo», cioè fra il legame con il mistero divino e l’immersione della fede nella dinamica sociale. Il primo impegno riguarda la conferma e progressiva intensificazione della presenza comunitaria. Di tutte le istituzioni oggi operanti in Italia la Chiesa è quella che più presidia il territorio, con la diffusa attività di parrocchie, case religiose, movimenti, associazioni, centri di volontariato, ecc...
In passato è anche capitato che tali strutture siano state mobilitate su temi di politica ecclesiastica o di politica tout-court; ma i soggetti in esse operanti (dai parroci ai quadri associativi) privilegiano ormai il rapporto con la comunità locale e con i suoi concreti problemi di evoluzione della vita collettiva e del tessuto umano. Si faccia o non si faccia il federalismo, questa è una società dichiaratamente localistica: nei borghi storici come nei distretti industriali come nelle cinture di espansione urbana. In alcune di queste realtà locali c’è già «anima», una coesione sociale cioè capace di innervare comportamenti di iniziativa e di responsabilità; in altre, più confuse e sconnesse, si tratta di costruirla per non cadere nell’orribile indistinto abitativo che già stiamo sperimentando in alcune regioni. Se si parla con tanti vescovi, si capisce che proprio in tale intendimento comunitario sta la base della loro ansia pastorale.
Nell’inesistenza territoriale di tanti altri soggetti, la Chiesa sta quindi diventando la struttura che considera la vita locale e la sua dinamica come strutture portanti di una più complessa evoluzione della società; ed è su tale opzione, e non nei meandri della opinione di massa, che si svolgerà la competizione con tutti gli altri soggetti sociopolitici. Il secondo campo di impegno è quello di una privilegiata attenzione al mondo giovanile. Nelle ultime settimane i mezzi di comunicazione di massa sono stati pieni delle cronache della Giornata Mondiale della Gioventù a Sydney e delle impegnative riflessioni (alcuni hanno scritto «troppo impegnative» per la cultura media dei giovani presenti) di Benedetto XVI. Riflessioni che sono certo originali e personali, ma che vengono anche dalla quotidiana sensibilità che sul tema esprime il clero italiano, ogni giorno alle prese con le labilità caratteriali dei nostri ragazzi; con la loro prigionia nella continua esasperazione delle emozioni; con la conseguente difficoltà di operare il passaggio dall'emozione al sentimento e alla coscienza individuale; con la fatica di fare catechesi per i giovani, per aver poi l’effetto della loro scomparsa dalla vita ecclesiale dopo la Cresima.
La Chiesa avverte quindi sulla sua pelle che i giovani sono il problema più grave della nostra società e si sente prioritariamente impegnata (facendo antico asse con la famiglia) quasi ad una nuova missione: per la loro crescita culturale, psichica, umana, prima ancora che religiosa. Ne nascerà una delicata dialettica con le altre centrali di formazione (la scuola, l’università, le aziende) e con quelle forze sociali e politiche che aspirano anch’esse a coltivare il mondo giovanile. Chi fra tutti avrà più filo da tessere? Per lavorare sui giovani — segnati dal peso delle emozioni, dell’esperienzialità, dell’attrazione misterica, dell’irrazionalità voluta—la Chiesa si appresta a sperimentare un più complesso contemperamento delle due polarità su cui essa si muove da sempre: il sacro e il santo. Se esse vengono espresse su un piano di pura cultura, anche di massa, restano polarità esercitate a pendolo («abbiamo fin troppo seguito l’opzione della fede che si misura con il sociale e con la storia, dobbiamo ritornare al sacro, alla misteriosa percezione e adorazione della divinità» ha detto Mons. Ravasi) o addirittura in contrapposizione, come fanno sapere le migliaia di preti che mai tornerebbero (malgrado le esortazioni del Papa) alla Messa recitata fronte al Santissimo, escludendo il rapporto comunitario con i fedeli.
Ma più realisticamente la Chiesa — Papa, clero e fedeli — è convinta che la società moderna, e soprattutto i giovani, abbiano bisogno di un complesso processo di maturazione, incorporando sia il valore del mistero (e il sacro è certo mistero più profondo degli esoterismi stravaganti e sballati che vanno oggi per la maggiore) sia una convinta partecipazione ai destini collettivi, che solo una grande fede nel futuro e nello sviluppo umano può innervare. Dovremo quindi aspettarci grandi ed anche mediatici richiami alla sacralità (della vita come della morte, del matrimonio come dei riti religiosi) ed al tempo stesso presenze di forte animazione sociale e pastorale alla vita di tutti. E’ prevedibile che nei prossimi anni tutti gli operatori sociali, politici e d’opinione, dovranno fare i conti con queste tre silenziose scelte strategiche della Chiesa: attenzione alla vita delle comunità locali; attenzione privilegiata ai giovani; gestione articolata del mix fra sacro e santo. Tre scelte che allargheranno il ruolo del mondo cattolico nella vita nazionale, e che verosimilmente faranno scattare tentazioni di duro contrasto, magari ancora una volta ricorrendo al primato della laicità, sia individuale che dello Stato. Ma si comincia ormai a capire che queste due armi sono spuntate, essendo eredità dei tempi in cui la Chiesa faceva controllo dei comportamenti per difendere i suoi valori religiosi o faceva supplenza sociale nelle pieghe delle inefficienze pubbliche in campo sanitario o scolastico. Oggi che i processi sociali sono più sottili e complessi, si deve prendere atto che l’interpretazione e gli impegni che ne traggono Chiesa e mondo cattolico sono così sofisticati da imporre agli avversari, se vogliono restare in gara, un impegnativo salto di qualità culturale.
13 agosto 2008
La modernità della Chiesa
di Giuseppe De Rita
E’nell’ordine del prevedibile che a settembre ricominceremo a ragionare sul ruolo dei cattolici nell’attuale realtà sociale e politica. C’è solo da sperare che non riprenderemo a dividerci fra libertari e credenti; fra difensori della laicità dello Stato e difensori dei «valori non contrattabili »; e, specialmente, fra chi si lamenta che i cattolici siano troppo vogliosi di potere e chi si lamenta che i cattolici siano in via di emarginazione nella vita dei partiti e del governo. Sono articolazioni dialettiche molto coltivate da tutti, ma che non portano frutti significativi; libero naturalmente chi vorrà continuare a cavalcarle per darsi importanza e ruolo, ma il giuoco sarà sempre più oggettivamente al ribasso. Se il passato anche recente è consumato, cosa ci possiamo aspettare per il futuro?
Posso sbagliare, ma ho la sensazione che la Chiesa, e a ruota il mondo cattolico, stiano lentamente innovando le proprie linee di presenza e di azione, coltivando tre prospettive che avranno peso crescente nella vita sociale e nei destini collettivi del nostro Paese: l’insediamento sempre più significativo nel territorio, per «fare anima» nella vita delle comunità locali; l’attenzione privilegiata ai giovani ed ai loro delicati problemi di identità; la ricerca di una pur difficile sintesi fra richiami forti al valore del «sacro» ed altrettanto forte impegno nel «santo», cioè fra il legame con il mistero divino e l’immersione della fede nella dinamica sociale. Il primo impegno riguarda la conferma e progressiva intensificazione della presenza comunitaria. Di tutte le istituzioni oggi operanti in Italia la Chiesa è quella che più presidia il territorio, con la diffusa attività di parrocchie, case religiose, movimenti, associazioni, centri di volontariato, ecc...
In passato è anche capitato che tali strutture siano state mobilitate su temi di politica ecclesiastica o di politica tout-court; ma i soggetti in esse operanti (dai parroci ai quadri associativi) privilegiano ormai il rapporto con la comunità locale e con i suoi concreti problemi di evoluzione della vita collettiva e del tessuto umano. Si faccia o non si faccia il federalismo, questa è una società dichiaratamente localistica: nei borghi storici come nei distretti industriali come nelle cinture di espansione urbana. In alcune di queste realtà locali c’è già «anima», una coesione sociale cioè capace di innervare comportamenti di iniziativa e di responsabilità; in altre, più confuse e sconnesse, si tratta di costruirla per non cadere nell’orribile indistinto abitativo che già stiamo sperimentando in alcune regioni. Se si parla con tanti vescovi, si capisce che proprio in tale intendimento comunitario sta la base della loro ansia pastorale.
Nell’inesistenza territoriale di tanti altri soggetti, la Chiesa sta quindi diventando la struttura che considera la vita locale e la sua dinamica come strutture portanti di una più complessa evoluzione della società; ed è su tale opzione, e non nei meandri della opinione di massa, che si svolgerà la competizione con tutti gli altri soggetti sociopolitici. Il secondo campo di impegno è quello di una privilegiata attenzione al mondo giovanile. Nelle ultime settimane i mezzi di comunicazione di massa sono stati pieni delle cronache della Giornata Mondiale della Gioventù a Sydney e delle impegnative riflessioni (alcuni hanno scritto «troppo impegnative» per la cultura media dei giovani presenti) di Benedetto XVI. Riflessioni che sono certo originali e personali, ma che vengono anche dalla quotidiana sensibilità che sul tema esprime il clero italiano, ogni giorno alle prese con le labilità caratteriali dei nostri ragazzi; con la loro prigionia nella continua esasperazione delle emozioni; con la conseguente difficoltà di operare il passaggio dall'emozione al sentimento e alla coscienza individuale; con la fatica di fare catechesi per i giovani, per aver poi l’effetto della loro scomparsa dalla vita ecclesiale dopo la Cresima.
La Chiesa avverte quindi sulla sua pelle che i giovani sono il problema più grave della nostra società e si sente prioritariamente impegnata (facendo antico asse con la famiglia) quasi ad una nuova missione: per la loro crescita culturale, psichica, umana, prima ancora che religiosa. Ne nascerà una delicata dialettica con le altre centrali di formazione (la scuola, l’università, le aziende) e con quelle forze sociali e politiche che aspirano anch’esse a coltivare il mondo giovanile. Chi fra tutti avrà più filo da tessere? Per lavorare sui giovani — segnati dal peso delle emozioni, dell’esperienzialità, dell’attrazione misterica, dell’irrazionalità voluta—la Chiesa si appresta a sperimentare un più complesso contemperamento delle due polarità su cui essa si muove da sempre: il sacro e il santo. Se esse vengono espresse su un piano di pura cultura, anche di massa, restano polarità esercitate a pendolo («abbiamo fin troppo seguito l’opzione della fede che si misura con il sociale e con la storia, dobbiamo ritornare al sacro, alla misteriosa percezione e adorazione della divinità» ha detto Mons. Ravasi) o addirittura in contrapposizione, come fanno sapere le migliaia di preti che mai tornerebbero (malgrado le esortazioni del Papa) alla Messa recitata fronte al Santissimo, escludendo il rapporto comunitario con i fedeli.
Ma più realisticamente la Chiesa — Papa, clero e fedeli — è convinta che la società moderna, e soprattutto i giovani, abbiano bisogno di un complesso processo di maturazione, incorporando sia il valore del mistero (e il sacro è certo mistero più profondo degli esoterismi stravaganti e sballati che vanno oggi per la maggiore) sia una convinta partecipazione ai destini collettivi, che solo una grande fede nel futuro e nello sviluppo umano può innervare. Dovremo quindi aspettarci grandi ed anche mediatici richiami alla sacralità (della vita come della morte, del matrimonio come dei riti religiosi) ed al tempo stesso presenze di forte animazione sociale e pastorale alla vita di tutti. E’ prevedibile che nei prossimi anni tutti gli operatori sociali, politici e d’opinione, dovranno fare i conti con queste tre silenziose scelte strategiche della Chiesa: attenzione alla vita delle comunità locali; attenzione privilegiata ai giovani; gestione articolata del mix fra sacro e santo. Tre scelte che allargheranno il ruolo del mondo cattolico nella vita nazionale, e che verosimilmente faranno scattare tentazioni di duro contrasto, magari ancora una volta ricorrendo al primato della laicità, sia individuale che dello Stato. Ma si comincia ormai a capire che queste due armi sono spuntate, essendo eredità dei tempi in cui la Chiesa faceva controllo dei comportamenti per difendere i suoi valori religiosi o faceva supplenza sociale nelle pieghe delle inefficienze pubbliche in campo sanitario o scolastico. Oggi che i processi sociali sono più sottili e complessi, si deve prendere atto che l’interpretazione e gli impegni che ne traggono Chiesa e mondo cattolico sono così sofisticati da imporre agli avversari, se vogliono restare in gara, un impegnativo salto di qualità culturale.
13 agosto 2008