Paolo VI - Quali sono i bisogni maggiori della Chiesa?

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Paolo VI - Quali sono i bisogni maggiori della Chiesa?

Messaggioda Citocromo » ven dic 02, 2011 2:59 pm

Nell'Udienza generale del 29 novembre 1972 Papa Paolo VI si chiedeva quali fossero i maggiori bisogni del Popolo di Dio nel mondo contemporaneo. Tra le risposte date cito queste:

"La Chiesa ha bisogno della sua perenne Pentecoste; ha bisogno di fuoco nel cuore, di parola sulle labbra, di profezia nello sguardo.

La Chiesa ha bisogno d’essere tempio di Spirito Santo (Cfr. 1 Cor. 3, 16-17; 6, 19; 2 Cor. 6, 16), cioè di totale mondezza e di vita interiore; ha bisogno di risentire dentro di sé, nella muta vacuità di noi uomini moderni, tutti estroversi per l’incantesimo della vita esteriore, seducente, affascinante, corruttrice con lusinghe di falsa felicità, di risentire, diciamo, salire dal profondo della sua intima personalità, quasi un pianto, una poesia, una preghiera, un inno, la voce orante cioè dello Spirito, che, come c’insegna S. Paolo, a noi si sostituisce e prega in noi e per noi «con gemiti ineffabili», e che interpreta Lui il discorso che noi da soli non sapremmo rivolgere a Dio (Cfr. Rom. 8, 26-27).

Ha bisogno la Chiesa di riacquistare l’ansia, il gusto, la certezza della sua verità (Cfr. Io. 16, 13), e di ascoltare con inviolabile silenzio e con docile disponibilità la voce, anzi il colloquio parlante nell’assorbimento contemplativo dello Spirito; il Quale insegna «ogni verità» (Ibid.); e poi ha bisogno la Chiesa di sentir rifluire per tutte le sue umane facoltà l’onda dell’amore, di quell’amore che si chiama carità, e che appunto è diffusa nei nostri cuori proprio «dallo Spirito Santo che a noi è stato dato» (Rom. 5, 5); e quindi, tutta penetrata di fede, la Chiesa ha bisogno di sperimentare un nuovo stimolo di attivismo, l’espressione nelle opere di questa carità (Cfr. Gal. 5, 6), anzi la sua pressione, il suo zelo, la sua urgenza (2 Cor. 5, 14), la testimonianza, l’apostolato."
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Re: Paolo VI - Quali sono i bisogni maggiori della Chiesa?

Messaggioda Citocromo » ven dic 02, 2011 4:28 pm

"Noi ripetiamo: la Chiesa, o meglio noi tutti che abbiamo la fortuna di appartenere alla Chiesa, abbiamo bisogno di accrescere la nostra fede (Cfr. Eph. 4, 15): questo per vivere da credenti, da fedeli, da cristiani, coerenti al nostro battesimo, alla nostra professione cattolica, capaci di fronteggiare le negazioni e le confusioni di questo nostro tempo, che assale la nostra osservanza religiosa, fino nel suo intimo senso e nel suo naturale orientamento, con le sue certezze scientifiche e con la sua polarizzazione antropologica, cioè tutta rivolta all’uomo, orizzontale, come oggi si dice, secolarizzata e chiusa nei confini dell’esperienza vissuta e del tempo, della storia. [...] Ecco il problema che ci deve tutti interessare, dopo avere riconosciuto la necessità della fede: la possibilità della fede. È possibile la fede, anzi la crescita della fede? È una domanda molto grave, alla quale tutti siamo invitati a rispondere. [...]

Ciascuno provi a riflettere sopra questo duplice aspetto dell’immensa questione. A titolo di stimolo alla nostra ricerca, per elementare ch’essa sia, diremo dapprima che all’atto di fede concorrono tre coefficienti: primo, l’elemento oggettivo, cioè le verità della fede, la dottrina, il «credo»; e questo coefficiente è spesso manchevole per difetto di istruzione. Le crisi di fede sono tante volte dovute all’ignoranza. Neghiamo ciò che non conosciamo. Ora questo non è serio, non è degno di persone moderne, istruite e intelligenti, specialmente in ordine alla religione, la quale, volere o no, si pone come criterio decisivo per la guida della vita e per la misura dei suoi valori. Potremo incontrare molti, moltissimi problemi, anche su questo sentiero della conoscenza religiosa; ma questo, più che arrestare il nostro studio, dovrebbe sollecitarlo a migliore approfondimento, anche per evitare che giunga a noi, come un rimprovero, l’eco della voce dell’antico apologista cristiano, Tertulliano, il quale fino alla fine del secondo secolo, scriveva circa la religione cristiana, allora ufficialmente avversata e perseguitata: ne ipnorata damnetur, non sia condannata per ignoranza (TERTULL. Apol. 1). E lo studio onesto e perseverante della dottrina della fede avrà certamente, di per sé, un primo risultato positivo, quello di mostrare all’intelligenza e allo spirito dell’uomo moderno non l’estraneità, ma l’attraente affinità delle verità della nostra religione (nonostante il mistero che le avvolge), con le aspirazioni profonde dell’uomo stesso.

Secondo: l’elemento soggettivo, l’accettazione della Parola di Dio, cioè del «credo», da parte dell’uomo, che per ciò stesso diviene credente. È questo l’aspetto specifico della fede; ed è quello oggi più compromesso e più reagente contro l’adesione autentica alla dottrina della fede. Perché? perché la mentalità contemporanea è più che mai prevenuta contro una forma di conoscenza basata sulla parola altrui e non sull’esperienza propria, effettiva o soltanto possibile che sia. L’argomento fondato sull’autorità della parola altrui, sulla testimonianza e non sulla verifica razionale, è certamente il più debole; e così dicevano, da sempre, anche i maestri della nostra scuola (Cfr. S. TH. 1, 1, 8 ad 2). Prevale oggi la conoscenza razionale e scientifica, anzi fisica e quantitativa e sperimentale, nella quale la mente umana si sente soddisfatta e anche più di quanto sia, a buon diritto, consentito di esserlo; si sente sicura per un genere di certezza connaturato alla mente umana (Cfr. P. H. SIMON, Questions aux savants, Seuil, Paris). E adagiandosi a questo livello della conoscenza, l’intelligenza umana non si accorge d’aver compiuto una grande abdicazione, quella dell’impiego della sua facoltà alla conquista della verità superiore, cioè essenziale e metafisica; livello questo, veramente umano e spirituale, dove l’incontro con Dio, sia naturalmente raggiungibile, sia, e tanto più, per via di rivelazione, può verificarsi in certa adeguata misura.

In altri termini: l’uomo moderno manca di quella sana formazione filosofica sufficiente, la quale, anche se limitata a quel grado a tutti accessibile che si chiama il senso comune, è indispensabile per accedere al colloquio col mondo religioso. La nostra mentalità, già dicevamo, non è «in fase» idonea e felice per captare le onde misteriose del linguaggio divino. Ancora una volta ricordiamo la esortazione di Pascal: dobbiamo fare lo sforzo di pensare bene. Vedremo allora che l’argomento d’autorità, sul quale si fonda la fede, trae la sua forza dalla credibilità di colui che lo impiega; nel nostro caso, Dio; e perciò diventa fortissimo anche se rimane nella sfera delle verità misteriose (Cfr. S. TH. cit.).

E non ci sorprenderà quindi d’incontrare un terzo elemento, un coefficiente a noi estraneo e superiore, che interviene nel nostro spirito per abilitarlo all’atto di fede, il soffio dello Spirito di Cristo, la grazia (BENZ.-SCH. 1525 ss.; 1553-1554 ss.). La fede è un dono di Dio, è una virtù possibile all’uomo mediante un impulso soprannaturale, che non ci mancherà, se noi ci porremo in condizione di accoglierlo.
Perciò: desiderio di Dio, umiltà, preghiera, attesa fiduciosa, ed anche esperienza spirituale quale la partecipazione alla vita di fede della comunità ecclesiale, domestica o pubblica che sia, ci spianeranno le vie alla fede, e la renderanno non solo possibile, ma facile e vittoriosa." (Udienza generale, 4-10-1972)
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Re: Paolo VI - Quali sono i bisogni maggiori della Chiesa?

Messaggioda Citocromo » ven dic 02, 2011 4:35 pm

"Ascoltiamo il Concilio. «Questo è il fine della Chiesa: con la diffusione del regno di Cristo su tutta la terra a gloria di Dio Padre, rendere partecipi tutti gli uomini della salvezza operata dalla redenzione, e per mezzo di essi ordinare effettivamente il mondo intero a Cristo. Tutta l’attività del Corpo mistico ordinata a questo fine si chiama "apostolato", che la Chiesa esercita mediante tutti i suoi membri, naturalmente in modi diversi; la vocazione cristiana infatti è per natura sua anche vocazione all’apostolato» (Apostolicam Actuositatem, 2).

Sì, l’apostolato è uno dei bisogni essenziali e primari della Chiesa; ma oggi più che mai. Prima di tutto perché è sempre stato così. Le parole conclusive del Vangelo non cessano di risuonare nel corso dei secoli a quanti hanno la fortuna, come cristiani, di accoglierne l’eco tuttora squillante ed imperativo: «andate e ammaestrate tutte le genti . . .» (Matth. 28, 19). In secondo luogo perché lo sviluppo storico dell’umanità dimostra con evidenza drammatica a chi lo sa cogliere il travaglio dello spirito umano impegnato, fino al fanatismo talvolta, a spegnere ogni senso religioso (siamo nell’epoca del secolarismo e dell’ateismo, antireligioso e anticristiano, ed anticlericale), e subito tormentato dalla carenza e dalla fame, che si producono nel medesimo spirito umano, del cibo che solo lo fa vivere in pienezza, la fede nella Parola di Dio (Cfr. Matth. 3, 4). Diciamo semplicemente: oggi più che mai, e proprio in funzione del suo progresso, l’uomo, lo sappia o no, ha fame di Cristo. E allora ci domandiamo: chi può e come portare all’uomo del nostro tempo il contatto vitale con Cristo?

Qui si pone, come la scoperta d’una chiave esplicativa del disegno divino circa la salvezza del mondo, la necessità del mezzo umano fra Dio, fra Cristo, fra il Vangelo e l’uomo da salvare. La grande economia religiosa della salvezza suppone ed esige una rete intermediaria, un ministero, una trasmissione organizzata e autorizzata di uomo ad uomo. Il «Kerygma», cioè il messaggio evangelico, esige un messaggero, esige un apostolo, cioè un inviato, un missionario. La comunicazione di Dio all’uomo può essere diretta; lo Spirito di Dio può effondersi senza alcun tramite; ma non è questo il modo ordinario scelto da Dio per rivelare il regno soprannaturale ch’Egli apre, come un convito (Cfr. Luc. 14, 16; Matth. 22, 2) ai singoli uomini e all’intera umanità. Il fatto religioso rimane, sì, nella sua essenza, un fatto interiore e personale; ma di solito ha bisogno d’essere provocato da uno stimolo esterno; anzi, per il fatto religioso soprannaturale, ch’è quello più vero e reale, si richiede un servizio qualificato, un annuncio autentico, un magistero autorizzato (Cfr. Rom. 10, 14 ss.). La fede non nasce da sé; essa è frutto d’una trasmissione, d’un apostolato.

Ed eccoci allora alla ricerca dell’apostolato. È su questo tema che si svolge la storia della vita pubblica di Gesù. Egli sceglie fra i suoi discepoli alcuni nominatamente, che poi chiamerà apostoli (Luc. 6, 13), e manderà in giro ad annunciare il regno di Dio (Cfr. Matth. 10). La missione diventerà specifica e permanente; diventerà pastorale e gerarchica (Cfr. Io. 21, 15 ss.). Così nasce e così si struttura ancor oggi la Chiesa. Anzi la Chiesa stessa, nel suo insieme, è apostolica, è missionaria; è lo strumento, è il veicolo, l’organo storico e sociale, sacramento, cioè segno e causa, della duplice unione soprannaturale dell’uomo con Dio e degli uomini fra loro (Lumen Gentium, 1). [...]

Così il cristiano; è un uomo in cui è stata accesa la fede; se egli è credente, egli è perciò stesso un diffusore della sua propria luce, della sua propria fede. Lo sarà per il fatto che egli appartiene e si dimostra membro della comunione cristiana, e poi della comunità dei fedeli, della Chiesa. Appartenere alla Chiesa, con aperta semplicità, con certo coraggio, se occorre, è già un valido apostolato. [...]

Un cristiano, se davvero cattolico, dev’essere oggi un apostolo: con la preghiera, con l’esempio, con l’oblazione, con la sofferenza, con l’attività, con la disciplina, con l’organizzazione. Uno stato di tensione nello sforzo diffuso della fede è il dovere di quest’ora, critica e decisiva, grande e propizia, d’ogni membro del Corpo mistico di Cristo. Perché invece tanta atonia? tanta diminuzione di vocazioni? tanta dispersione di forze in attività particolari ed effimere? tanta supina acquiescenza alla moda della contestazione? tanto interesse al capriccio delle divisioni e delle rivalità anche fra molti che operano in istituzioni ispirate da sentimenti cristiani? Tanta apologia d’un pluralismo, che va oltre la legittima libertà promossa dalla stessa unica fede, e alimenta la critica, il dubbio, la disobbedienza? Non sia questo il nostro atteggiamento." (Udienza generale, 18-10-1972)
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